Enogastronomica [Cibo, Vino e Spiriti.]
IL VERO CIBO DEI PASTORI NOMADI? LA MICISCHIA…

Giovanni Tavano ci racconta della carne essiccata che per millenni ha nutrito i pastori in Abruzzo.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Domenica, 05 Agosto 2012 - Ore 09:00
In un post dedicato agli arrosticini smentivo una diffusa quanto erronea nozione, cioè l’antica e pastorale origine di quel piatto, attestandone invece la assai più “recente” provenienza balcanica. Se invece rimane, nella tradizione alimentare abruzzese, un preparato che è davvero antichissimo e assolutamente, ininterrottamente legato alle plurimillenaria pratica della pastorizia in Abruzzo, è la “Micischia” (o Vicischia, Vicicchia, Mucischia, a seconda delle varie dizioni locali).
 
In assoluta coerenza con le necessità delle popolazioni nomadi o seminomadi dedite alla pastorizia transumante, la Micischia non è altro che una carne secca, appositamente conservata e aromatizzata, che accompagnava e alimentava i pastori nel loro continuo peregrinare al seguito delle greggi. Com’è noto, infatti, le condizioni di vita e lavoro dei pastori transumanti costringono ad una costante mobilità, che impone di ridurre al minimo le esigenze e l’equipaggiamento, alleggerendo e “sintetizzando” al massimo il carico che ciascuno deve portare quotidianamente con sé per soddisfare le proprie necessità.
 
La carne secca è il più classico degli alimenti per chi si muove costantemente al seguito del bestiame (diffusissima, ad esempio, anche fra i cowboy del west americano, come fra i mongoli, i tartari, i cosacchi, i masai, tutte popolazioni di allevatori nomadi) e compare nell’equipaggiamento alimentare di tutte le popolazioni nomadi del pianeta.
 
La “Micischia” abruzzese viene di solito prodotta con carne di pecora, o occasionalmente di capra, non giovane e non troppo grassa che viene disossata, salata, pepata ed essiccata naturalmente all’aria. Questa carne, dall’aspetto compatto, consistente e dal colore bruno, ha un sapore deciso e sapido, piuttosto forte, forse non adatto a tutti i palati, ma vanta buone caratteristiche nutrizionali date dall’elevato contenuto proteico e dalla bassa quantità di grassi.
 
Durante la preparazione, la carcassa dell’animale viene innanzitutto privata di tutte le sue parti interne, sgrassata e disossata intera. Mantenuta in un unico pezzo, viene quindi aperta e distesa in modo da garantire uno spessore uniforme e non molto alto, e favorire così la penetrazione del sale e delle spezie (pepe, peperoncino, rosmarino e altre erbe aromatiche); infine viene steccata con rametti di salice o di canna ed appesa in locali adeguatamente aerati per l’essiccazione.
 
Una volta essiccata, per il consumo viene in genere tagliata e conservata in sottili strisce, che rendono più facile sia il porzionamento individuale che il consumo (tagliata in lunghe strisce, la carne secca risulta infatti più facilmente masticabile e reidratabile con la saliva).
 
Con la transumanza, la “Micischia” si è diffusa lungo i tratturi che per secoli hanno legato la nostra regione alla Puglia. Purtroppo dagli anni sessanta del secolo scorso, con il venire meno della pastorizia transumante, la produzione ed il consumo di questa carne hanno subito un notevole declino, e oggi rimane un preparato occasionale e residuale, che ricompare solo per esercizio di memoria e non più per necessità oggettive di vita.
 
Resta intatto, invece, tutto il suo valore storico e simbolico, avendo rappresentato il nesso più diretto con un mondo che – dall’antichità italica preromana – è pervenuto pressoché immodificato nei modi e negli stili di vita sin quasi ai nostri giorni.
 
 
Pubblicato su SIAMOABRUZZESI.net
 
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