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Basket & Mass Media
STEFANO VALENTI: ‘IL PERSONAGGIO DEL FUTURO? DANIEL HACKETT’.
Daniel Hackett.

Stefano Valenti.

Intervista al giornalista di Superbasket e Repubblica.it, che fa il punto sulla gestione televisiva del movimento cestistico e individua un personaggio in grado di bucare lo schermo.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Mercoledì, 30 Maggio 2012 - Ore 08:00

Stefano, il basket va male perché non ha visibilità sui mass-media o non ha visibilità sui mass-media perché va male?
«Che il basket “vada male” è affermazione che non mi trova del tutto d’accordo. La gente nei palasport va, l’appeal del basket è tangibile. Le problematiche di difficoltà nella visibilità sono legate al fatto che è venduto male. E di conseguenza appare come un mondo attorcigliato su se stesso. Quando non immobile. Chiaro, nessuno va a vendere ad un media un prodotto che “va male”. Perché sa che nessuno lo comprerebbe. Semmai prova a venderlo perché è convinto che possa avere un mercato. La filiera però, a mio giudizio, si ferma qui. Non basta più vendere: è come acquistare un’auto con la convinzione, poi, di non dover mai avere bisogno dell’officina. L’assistenza è invece fondamentale. Ed il basket, pure se venduto, va poi assistito».
 
Per il basket di Serie A, dopo oltre un lustro di SKY si è passati a La7 e Rai Sport. Qual è il tuo giudizio, con voto finale da zero a 10 - del lavoro fatto da La7 e RaiSport?
«Un passo necessario e giusto da fare, sul quale lo scomparso Enzo Lefebre aveva spinto anni prima, ma senza trovare credito ed appoggi in Lega. Non si volle rinunciare a Sky, in realtà si succhiava da quel contratto, soddisfacente, ma senza voler guardare avanti. Ed improvvisamente, persa Sky, il domani è diventato l’oggi. Il contratto con La7 ha rappresentato la perla della stagione (voto 7) ma poi non è stato minimamente sostenuto durante l’anno (voto 4); quello con la Rai (voto 6,5) è stato un accordo logico. La produzione delle gare è stata fatta investendo capitali troppo esigui: magari è la crisi, o magari non s’è capito quel che il momento richiede quando si va in tv. Sky, negli anni, ha creato i suoi telecronisti, La7 e Rai non lo hanno fatto. Ma, del resto, non avevano il basket di Serie A. I club hanno preferito incassare pochi denari, piuttosto che investirli su un’operazione (il ritorno in chiaro+le tv locali) che andava sostenuta economicamente. Soldi che avrebbero aiutato, mentre nel bilancio di un club hanno spostato nulla».
 
Come giudichi la copertura del basket di LegaDue sui mass-media e in TV?
«Attenta a cercare di intercettare (grazie anche alle nuove piattaforme tecnologiche) tutto quello che la Serie A, per sue logiche, ha lasciato sul mercato: e parlo di tv tradizionale e web. La Legadue ha ricalcato la politica che Sportitalia ha perseguito con il basket e lo sport in generale: “prendo quel che gli altri lasciano”. Innegabile che, sul cartaceo, la forza della Legadue sia rimasta unicamente quella dei quotidiani locali, secondo una logica che quelli nazionali non possono perseguire. La Legadue ha un vantaggio, rispetto alla Serie A: sa che non è costretta a commercializzare il valore dei suoi diritti. Ma semplicemente divulgarli nel modo migliore. La Serie A non può limitarsi a questo».
 
Come giudichi la copertura del basket di DNA sui mass-media e in TV?
«Identica a quella di Legadue nei confronti della Serie A, frazionando ancora di più la torta. Ma non parlo di briciole, perché la DNA ha realtà molto interessanti e meritevoli di attenzione. Forse, globalmente, ne ha troppe ed allora la forbice tra la prima e l’ultima è eccessiva. Mondi troppo diversi dentro lo stesso campionato».
 
Ha ancora importanza che il basket vada "in chiaro" sulle reti generaliste, oppure sono discorsi ormai inattuali?
«Mi piacerebbe un prodotto frazionato: sia in chiaro, a fini divulgativi; che in pay per gli appassionati più esperti e che possono permettersi l’abbonamento. Così metteremmo fine al confronto, spesso impostato su presupposti non corretti se non grossolani. Di tv parlano tutti, in realtà i suoi meccanismi reali sono noti a pochi. Offrendo la scelta, ognuno potrebbe accedere al basket che più gli si addice. Chiaro, c’è poi il problema dello spacchettamento dei diritti e della frammentazione dei ricavi. Ma non mi sembra che nel basket oggi qualcuno viva dei proventi della tv».
 
A livello FIP, a mio avviso, non fummo bravi a capitalizzare mediaticamente la Medaglia d'Argento delle Olimpiadi 2004. Adesso che la nostra Italia non ci va neanche alle Olimpiadi, su cosa bisognerebbe agire, a livello di movimento, affinché il basket faccia parlare di sé oltre "la nicchia"?
«La cessione dei diritti sulle gare delle squadre Nazionali a Sportitalia rappresenta il desiderio di avere dalla tv una visibilità superiore al passato. Poi si tratta di vedere se il contratto sarà onorato in tutte le direzioni e se l’abbandono della Rai avrà creato un regime di concorrenza, per la contrattazione del prossimo accordo, oppure un mesto ritorno all’ovile, se le cose dovessero andar male. Diamo tempo».
 
Passati i tempi di Carlton Myers e Gianmarco Pozzecco, con le loro incursioni a vario titolo (pubblicità, conduzione di programmi, etc.) nel "mondo generalista", sono troppo tranchant se dico che non si è riusciti più ad imporre un "viso" o una "storia", capaci di rompere i "confini settoriali"?
«Mi rifiuto di pensare che il basket non abbia i numeri per creare, proporre e lanciare personaggi. Che ci sono. E se lo sono in parte, su di loro ci si deve lavorare. Semmai è evidente che alle spalle c’è un vuoto di sceneggiatura, che calza pure bene visto l’argomento».
 
Chi, a tuo avviso, oggi potrebbe essere il volto (o la storia) del basket italiano, al fine di riprendere mediaticamente quota, assunto che serva un testimonial?
«L’unico personaggio che può bucare lo schermo è Daniel Hackett. Giovane, emergente, capace, look giusto, multietnico. Figlio di Pesaro come dei tempi attuali. Su chi poi lo debba rendere personaggio totale, il dibattito è aperto: il suo club? L’agenzia che lo rappresenta?».
 
Quanto deve ristrutturarsi - e in quali settori - la Lega Basket di Serie A, se vuole operare un rilancio incisivo del basket di Serie A in questo momento economicamente durissimo?
«Marketing e comunicazione. Ed ovviamente, fondi per poterlo fare».
 
Il prossimo pare sia l'ultimo campionato per la LegaDue. Quindi ti chiedo: la DNA e la cadetteria in genere di cosa hanno bisogno per vendere al meglio il loro prodotto rispetto alle strategie oggi adottate?
«Società serie e lanciare il proprio prodotto, ed i proprio personaggi, attraverso tutte le strategie di marketing e comunicazione che il Terzo Millennio offre in soccorso, di gran lunga superiori a quelli del Secondo».
 
Tre tue idee - da giornalista competente in materia - per il rilancio dello sport basket, sia professionistico sia dilettantistico.
«1.Regole buone, 2.regole certe, 3.regole rispettate».
 
 
ilmiobasketenonsolo
Quando il basket non è solo quello che vedi (con Stefano Valenti)
https://ilmiobasketenonsolo.wordpress.com/
 
Luca Maggitti
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