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Giovedì, 25 Aprile 2024 - Ore 2:02 Fondatore e Direttore: Luca Maggitti.

Stefano D’Andreagiovanni
IL BASKET E GLI SPONSOR. ANNI ’50, ANNI ’60.
Stefano D’Andreagiovanni.

Adolfo Bogoncelli, a sinistra.

Giovanni Borghi.

Stefano D’Andreagiovanni ci racconta del rapporto fra aziende e pallacanestro in Italia. Un viaggio a puntate, estrapolato dalla sua tesi di laurea. 1^ Puntata.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Sabato, 09 Agosto 2014 - Ore 11:15

La struttura societaria per i club di pallacanestro è stata fino ai primi anni cinquanta del tutto amatoriale e dilettantistica, il portato della passione dei praticanti, che si appoggiavano alle strutture delle preesistenti società ginniche, dalle quali il più delle volte erano derivate[1].
 
Una prima evoluzione del basket a livello manageriale si ebbe quando Adolfo Bogoncelli nel 1947 diede vita all’Olimpia Milano con il contributo finanziario dell’industriale Borletti (produttore di sveglie e contachilometri), che versò la prima sponsorizzazione del basket italiano di 300.000 lire per il primo anno, e del doppio per quello successivo. L’Olimpia fu anche la prima società a dotarsi di una struttura con il parquet per il gioco, comprata a saldo dagli americani[2].
 
Bogoncelli, pur talvolta intervenendo con le sue disponibilità, per la prima volta gestiva una società in modo manageriale. Importanza veniva data anche a dal vivaio, che garantiva ricambio giocatori e una voce al bilancio delle entrate, che comprendeva oltre ai contratti di sponsorizzazione, gli introiti degli incassi delle partite.
 
Sulla scia di Bogoncelli anche altre società cercarono una simile struttura organizzativa, nonostante una ritrosia della cultura economica ed imprenditoriale in ambito sportivo. Il ricorso agli abbinamenti del nome delle squadre con quello delle aziende divenne un fatto consueto: negli anni cinquanta comparvero sempre più numerose sigle pubblicitarie come Minganti, Benelli, Junghans, Storm, Milenka, Necchi, Moto Morini, Arrigoni, Cama, Oransoda, Santipasta, Stock.
 
Il 1956 vide la sponsorizzazione dell’Olimpia Milano da parte della Simmenthal di Sada, destinata a diventare un connubio storico, così come nello stesso anno quello tra la Pallacanestro Varese e la Ignis di Giovanni Borghi, il quale acquisì anche la proprietà della società, ponendosi al suo vertice in qualità di presidente.
 
Per la prima volta, quindi, la capacità imprenditoriale legata all’economia si associava con la gestione della società sportiva. Borghi, come altre aziende, aveva visto nello sport e nel basket nello specifico ma non solo, un agile vettore per veicolare la pubblicità dei propri prodotti. Il basket si dimostrava particolarmente attrattivo per la piccola e media impresa italiana, come nel caso di Peppino Fumagalli, patron della Candy, che investì sulla Virtus Bologna, tentando di farne una nuova Milano: l’obiettivo era quello di ottenere un importante ritorno di immagine. Si trattava inoltre in gran parte di aziende legate ai nuovi prodotti di consumo di larga diffusione per le famiglie italiane, come appunto gli elettrodomestici, le cucine, prodotti per il tempo libero, alimentari[3]. Cresceva la consapevolezza della pallacanestro come spettacolo da offrire, con la gestione di costi e ricavi, tuttavia le differenze e la distanza tra gli esempi di vertice e le altre realtà era notevole.
 
Al termine del boom economico, il basket aveva raggiunto un livello di sport di massa, aperto a una tipologia dal tratto generazionale e giovanilistico. La relativa innovatività della pallacanestro però non spinse i club a strutturarsi in un modello gestionale indipendente e dinamico. Nei primi anni settanta infatti si continuava ancora a ragionare in termini di appetibilità del basket come traino ai consumi per le aziende, la maggior parte delle quali però non entravano direttamente nella gestione delle società, il che non permise una trasformazione in chiave professionistica dello sport a partire dalla propria mentalità e struttura aziendale, dovuto anche alla mancata apertura in questo senso da parte delle istituzioni sportive[4].
 
La Federazione andava verso la direzione opposta alla creazione di un modello di professionismo di stile americano, seppur adattato alla realtà italiana, perché voleva mantenere unito il movimento tutelando le tante piccole società con disponibilità finanziare nettamente inferiori a quelle dei grandi club. Le piccole società, che fungevano da base per la diffusione della pallacanestro in modo omogeneo su tutto il territorio, erano scettiche sulla via del professionismo. Una via che non aveva comunque solide basi a livello strutturale, innanzitutto all’interno delle società stesse, i cui organigrammi rispecchiavano la realtà dell’imprenditoria familistica, piuttosto che un moderno management industriale[5].
 
In alcuni casi, di fronte alla crisi economica che si avvicinava, le aziende lasciarono il basket come nel caso della Candy a Bologna e della famiglia Casella a Cantù, titolare dell’azienda di acque minerali e bevande che faceva capo alla Levissima, che nel 1969 si defilarono sia dalla proprietà che dalla sponsorizzazione.
 
NOTE
[1] Cfr. S. Battente, T. Menzani, Storia sociale della pallacanestro in Italia, op. cit., pagg. 166-167.
[2] Ibid.
[3] Ivi, pag. 168.
[4] Ivi, pag. 172.
[5] Cfr. Cfr. S. Battente, T. Menzani, Storia sociale della pallacanestro in Italia, op. cit., pag. 33.
 
[continua]
 
 
[BASKET & TELEVISIONE]
Il basket italiano in TV, dagli Anni ’50 ad oggi, splendidamente raccontato da Stefano D’Andreagiovanni.
Puntata 1 – ANNI 50, 60, 70. https://www.roseto.com/scheda_news.php?id=11978
Puntata 3 – ANNI ’90 (1^ Parte). https://www.roseto.com/scheda_news.php?id=12014
Puntata 4 – ANNI ’90 (2^ Parte). https://www.roseto.com/scheda_news.php?id=12037
Puntata 5 – ANNI 2000 (1^ Parte). https://www.roseto.com/scheda_news.php?id=12062
Puntata 6 – ANNI 2000 (2^ Parte). https://www.roseto.com/scheda_news.php?id=12103
 
 
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