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Mario Boni
SUPERMARIO LASCIA DA INVICTUS
Mario Boni, in maglia Roseto nella Serie A1 2000/2001.
[Ciamillo&Castoria]


Mario Boni si ritira. Tanto non è vero...

Roseto degli Abruzzi (TE)
Martedì, 30 Settembre 2014 - Ore 10:45

“Capisci che stai invecchiando quando le candeline costano più della torta”.
Così, più o meno, il comico Bob Hope.
 
Non vale per Mario Boni. Uno che le candele non le ha mai accese, manco in chiesa, né tanto meno rette a qualcuno o qualcosa.
 
Protagonista indiscusso del basket italiano, catalizzatore, ha sempre preferito essere il primo in provincia, piuttosto che uno dei tanti (o pochi) della capitale, essendo poco avvezzo a nuotare nel limaccioso della laguna politica.
 
Così, in una carriera sui campi che è andata oltre i 50 anni di età (il Nostro è classe 1963), ha messo in fila, giocandole da protagonista sempre e comunque, 18 finali, perdendone una sola (con Roleveto, contro Cento). Riassunto: 10 Promozioni, 5 Coppe, 1 Titolo Mondiale Militare, 1 Titolo Mondiale Over 50.
 
Ieri Marione ha lasciato il Monsummano, squadra di Serie B in cui giocava lo scorso anno e con la quale ha vinto la Serie C. Troppi, per le sue giunture, 8 allenamenti settimanali oltre alla partita.
 
Quindi comunicato congiunto con il suo presidente e ciao ciao ai campi e all’agonismo. Per chi ci crede.
 
Già, perché uno come Mario Boni di giocare non smetterà mai. Ha mai smesso Omar Sivori di far dannare terzini tagliagambe?
 
Ha mai smesso Maradona di infilare la porta da tutti i punti del campo, riscrivendo le regole della scienza applicata al pallone?
 
Quelli come SuperMario non smetteranno mai, perché la scia di emozioni provocate a seguito delle loro imprese (scia composta, beninteso, da applausi e accidenti, glorificazioni e auguri di pronta morte dolorosa) si è propagata nell’aria, come un fresco profumo di libertà.
 
Saluto perciò questo ennesimo intervallo fra i tempi della sua saga, dedicandogli una poesia scritta da William Ernest Henley.
 
L’opera si chiama “Invictus” e servì a Nelson Mandela a sopportare 27 anni di carcere. Il poeta, giornalista ed editore britannico (1849-1903) la scrisse in ospedale nel 1875, a 26 anni, minato dalla tubercolosi e dal conseguente Morbo di Pott, a causa del quale gli fu amputata la parte inferiore della gamba sinistra. Per dire di che pasta d’uomo – e di poeta – stiamo parlando.
 
Wikipedia, trattando di Henley, racconta che Robert Louis Stevenson, amico del poeta, creò la figura del pirata Long John Silver nella sua opera “L’isola del tesoro” basandosi proprio sulla figura di Henley. Il figlioccio di Stevenson, Lloyd Osbourne, avvalorò la cosa, dicendo che il poeta si presentava come: “Un grosso, sanguigno individuo dalle spalle larghe con una gran barba rossa e una stampella; gioviale, sorprendentemente arguto, e con una risata che scrosciava come musica; aveva una vitalità e una passione inimmaginabili; era assolutamente travolgente”.
 
Un “Invictus”, insomma. Che non significa “Invincibile”, bensì “Non vinto”, oppure “Mai sconfitto”. E la differenza è sostanziale.
 
E allora un abbraccio a Marione, uno della confraternita dei “mai sconfitti”.
 
Gli “invincibili” lasciamoli alla plastica delle confezioni che li avvolgono e alle loro batterie scariche.
 
 
INVICTUS

Dal profondo della notte che mi avvolge
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all'altro,
ringrazio qualunque dio esista
per l'indomabile anima mia.

Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l'angoscia.
Sotto i colpi d'ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l'orrore delle ombre
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita.
Io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.

William Ernest Henley

Luca Maggitti
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