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Cultura
SABATO TRANSUMANTE: I TRATTURI, I FAUGNI, GABRIELE D’ANNUNZIO E GAVINO LEDDA...
Atri, 6 dicembre 2014. Nino Bindi (a destra), Giuseppe Tracanna e un suo ritratto di Gavino Ledda.

Gavino Ledda, ritratto nel 2004 in Abruzzo da Giuseppe Tracanna insieme a Giulio, pastore abruzzese di Roccacaramanico.

Atri, 6 dicembre 2014. Giuseppe Tracanna e un suo ritratto di Gavino Ledda.

Cronaca di un pomeriggio atriano, badando a un gregge di emozioni.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Domenica, 07 Dicembre 2014 - Ore 18:45

“Ah perché non son io co’ miei pastori?”.
 
Così poetava Gabriele D’Annunzio. E io, anche se non è settembre ma un sabato pomeriggio dicembrino, salgo ad Atri per sentirmi un convegno su tratturi e transumanza al Teatro Comunale. Ecco, forse è mancata solo la recita de “I pastori”. Per il resto, pomeriggio molto interessante e relatori che si sono divisi i vari aspetti della transumanza e dei tratturi: dalla storia alle tasse, passando per l’architettura.
 
Dopo il convegno, dal Teatro al Municipio – il Palazzo Ducale degli Acquaviva – e giù nelle Cisterne Romane, per vedere, guardare, comprendere due mostre fotografiche.
 
La prima, entrando, si chiama “Tra mito e transumanza” ed è di Giuseppe Tracanna, l’altra si intitola “I Faugni – Reportage” ed è firmata da Massimo Losacco. Le mostre saranno visitabili fino a domani, 8 dicembre. A mio avviso, ne vale la pena.
 
Dal Teatro al Municipio, misuro i passi con il mio professore di diritto e economia delle ragionerie, Nino Bindi. Ritrovarlo è sempre un piacere: con lui, nessun minuto della vita è sprecato.
 
Entriamo e saluto il maestro Tracanna, fotografo conosciuto nel 2002, avendo curato anche insieme a lui il libro “CASOLI PINTA - Museo sotto le stelle”, voluto dall’allora attivista civico Domenico Felicione, che oggi è Assessore alla Cultura del Comune di Atri (uno dei pochi politici al posto giusto che io conosca) e ha organizzato la manifestazione.
 
Guardo le foto di Giuseppe e resto stregato da quelle in cui ha ritratto Gavino Ledda, un uomo molto importante della letteratura italiana: il suo libro autobiografico, “Padre padrone”, l’ho studiato a scuola.
 
Gavino Ledda mi ha sempre affascinato molto. Ritirato da scuola a 6 anni dal padre e avviato al lavoro di pastore, prese la licenza elementare ventenne, approfittando del servizio militare. Uno che si libera dall’analfabetismo quando in pratica è già un uomo, per poi laurearsi alla Sapienza in Glottologia, venendo quindi ammesso all’Accademia della Crusca e diventando assistente universitario di Filologia Romanza, possiede a mio avviso qualcosa di sovrumano, aspro e forte come la sua Sardegna.
 
Nino e Giuseppe mi raccontano di quando Ledda venne in Abruzzo nel 2004, grazie a un progetto di scambio culturale ideato dalla professoressa Pompea Mocciola, insegnante di lettere del liceo atriano. Mi parlano della sua gentilezza, della capacità di fare amicizia in un attimo, della sua voglia di andare incontro a pecore e pastori che portò il terzetto ad inerpicarsi verso l’Abruzzo interno e alle foto che il viaggio partorì e che oggi fanno parte della mostra.
 
Gavino Ledda e la sua dieta spartana: formaggi, verdure e niente carne. Gavino Ledda e la sua assoluta padronanza del mestiere di pastore, praticato in giovinezza, al punto da stupire alcuni “pecorali” abruzzesi, che gli misero una pecora in mano chiedendo l’età della bestia e restando di stucco quando lo scrittore, aperta la bocca dell’animale e controllata la dentatura, azzeccò in pieno.
 
Tracanna si spinge a definirlo un moderno San Francesco d’Assisi, visto il sorriso impavido con cui entrò in un ovile difeso da diversi cani di razza pastore abruzzese che parevano maldisposti ad accoglierlo, facendoseli amici in pochi secondi.
 
Oggi Ledda, a 76 anni – mi dicono il professor Bindi e la professoressa Mocciola – sta lavorando a un libro sul suo progetto di nuova lingua italiana. E ho detto tutto.
 
Guardo i miei amici Nino e Giuseppe, le foto del 2004 che ritraggono un Ledda che non dimostra assolutamente i suoi 66 anni dell’epoca e immagino loro tre 10 anni fa, felici sul tratturo della Doganella d’Abruzzo. So che Nino ama molto la montagna e passare lunghi periodi nel suo laico eremo di Roccacaramanico, quindi penso – con la comprensibile rabbia di non esserci stato – ai discorsi sviluppati da lui, Ledda e Tracanna.
 
Ledda e le sue parole nuove, struttura compresa, per una lingua italiana aggiornata. Ledda che dice a Giuseppe: «Perché “universo”? La parola va cambiata in “tuttoverso”!».
 
Le cisterne romane prendono a profumare di cibo. Si stappano Montepulciano e Cerasuolo d’Abruzzo, arrivano ravioli dolci e salati, pasta alla pecorara, pecora alla callara, crostate di ricotta e caggionetti. Il sapore buono del sabato pomeriggio diventa ottimo.
 
Un brindisi ancora, un abbraccio a Domenico, Nino e Giuseppe – ringraziandoli delle emozioni – e poi via verso Roseto, pensando un po’ a Gabriele D’Annunzio e un po’ a Gavino Ledda.
 
L’anagramma di Atri è Arti.
E ogni volta che ci torno per qualche iniziativa culturale, penso che sia logico.
 
Luca Maggitti
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