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Uomini di Basket
DOMENICO FARAGALLI: DA GIOCATORE E COACH DI PALLAMANO A PREPARATORE FISICO DI BASKET.
Domenico Faragalli.
[Mimmo Cusano]


Achille Polonara a 15 anni.
[Archivio Domenico Faragalli]


Achille Polonara a 20 anni.
[Archivio Domenico Faragalli]


Intervista all’uomo che ha ‘costruito’ fisicamente Achille Polonara, ricordando 25 anni di attività e parlando di Adams, Moss, Cerella, Marini, Moreno, Ferraro, Amoroso, Ambrosini, Verrigni, Francani, Carroll.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Sabato, 22 Agosto 2015 - Ore 13:15

Domenico Faragalli è l’attuale preparatore fisico del Roseto Sharks. Io me lo ricordo da più di 10 anni e l’ho visto lavorare con coach Gabri Di Bonaventura, a Silvi in Serie B, e poi negli anni di Serie A con il Teramo.
 
Proprio a Teramo, quando era il responsabile delle giovanili, ha lavorato su Achille Polonara, arrivato giovanissimo in biancorosso.
 
Questa è la chiacchierata che ho fatto con Domenico, 50enne da 40 anni nel mondo dello sport e da 25 in quello della preparazione fisica.
 
Domenico, “preparatore atletico” o “preparatore fisico”?
«Preparatore fisico, sicuramente. Mi piace vivere la mia professione come attività integrata con lo staff tecnico e medico. L’aspetto puramente atletico è solo una parte del mio lavoro, che è basato fondamentalmente sulla prevenzione e sulla valutazione funzionale di ogni singolo atleta. Conoscere a fondo morfologicamente il giocatore, entrare nella sua sfera psicologica mi aiuta a migliorare la performance degli atleti che alleno».
 
Come e perchè ti sei dedicato a questa carriera?
«Sono insegnante di Scienze Motorie, lo sport è sempre stato al centro della mia vita. Ho sempre creduto nella formazione e per questo ho iniziato a frequentare corsi e seminari specifici per la preparazione fisica. Contemporaneamente, allenavo la pallamano a Teramo e seguivo delle squadre di basket. Le circostanze mi hanno portato di fronte ad un bivio, se volevo fare bene dovevo scegliere il mio percorso. Ho scelto il basket, che poi mi ha regalato, fino ad oggi, una carriera ricca di tante soddisfazioni».
 
l tuo primo campionato, te lo ricordi? Dov’eri e con chi?
«Benissimo. Era il 1990, con Luca Di Polidoro coach del Teramo Basket di allora. Mi ha tallonato un’estate intera; lui dice perché credeva in me, io penso invece  che il budget messogli a disposizione dalla società lo abbia portato a rischiare, scegliendo un neofita volenteroso. È andata bene ad entrambi: gli sarò sempre grato». 
 
Oltre al basket, fatto anche altro?
«Sono nato in Venezuela. Fino a 10 anni ho giocato a baseball, poi mi sono trasferito a Teramo e ho iniziato a giocare a pallamano. Dalle giovanili ho fatto tutta la trafila dei vari campionati, fino ad arrivare in Serie A. All’improvviso ho abbandonato l’attività di giocatore, per assumere quella di allenatore e sono stato uno degli allenatori più giovani della Serie A. Ho disputato una finale di Coppa Italia da capo allenatore e l’anno successivo anche una Coppa europea. Avrei potuto ricoprire il doppio ruolo di allenatore e preparatore, ma ho preferito che le due figure fossero distinte. Per questo affidai l’incarico dell’area fisica al “giovane” Giustino Danesi».
 
Hai una carriera ormai lunga, quindi andiamo di ricordi. L'atleta più potente?
«Hassan Adams. Ha giocato a Teramo solo per un breve periodo, ma era devastante. Ricordo nitidamente una sua schiacciata dalla linea di fondo campo, durante una partita di campionato giocata a Udine: pubblico tutto in piedi ad applaudire».
 
Il più allenabile?
«Ho avuto la fortuna e il piacere di allenare David Moss e Bruno Cerella. Arrivavano sempre in anticipo di almeno un’ora agli allenamenti, per fare attività individuale e di prevenzione. Poi bisognava spegnere le luci per mandarli a casa. Oggi Moreno e Marini sono sulla buona strada».
 
Il più simpatico?
«“Il silenzioso” Innocenzo Ferraro e “l’istrionico” Valerio Amoroso».
 
Il più sfaticato?
«Qui ho un podio da menzionare. Medaglia d’oro a mani basse a Enrico Ambrosini, l’unico giocatore al mondo con il “gancio cielo” più efficace di Kareem Abdul-Jabbar. A ogni mia richiesta di esercitazione specifica rispondeva cosi: “Io faccio canestro”, ma poi si sacrificava. Medaglia d’argento a Marco Verrigni, dotato di un unico fondamentale di gioco: il tiro. Era fortemente “allergico” alla difesa: mai visto sudare. Medaglia di bronzo a “figurina” Nando Francani: fosforo ovunque, anche nei muscoli, per questo si risparmiava, ma era raro nella partecipazione alle sedute fisiche tanto quanto “la figurina Panini”, appunto, di Faustino Goffi (Serie B 1967-68, introvabile). Comunque non parlerei di giocatori sfaticati, ma di atleti “diversamente interessati” all’attività fisico-atletica».
 
Il più forte in campo? 
«Jaycee “bum bum” Carroll: incontenibile!».
 
Chiudiamo con un tuo “capolavoro”: Achi Polonara. Come e quando arrivò a Teramo l’attuale airone di Reggio Emilia e dell’Italia?
«Aveva 14 anni ed era un fuscello, con tante criticità fisiche da mettere a punto».
 
Su cosa hai lavorato con lui e per quanto tempo?
«Tanto lavoro posturale e solo alla fine del percorso, che è durato sette anni, potenziamento specifico, facendo molta attenzione ai carichi per massimizzare le sue potenzialità di salto».
 
Come te lo ricordi, “Achi”, a livello umano e di lavoro?
«Ragazzo solare e determinato. Dopo il primo anno di ambientamento, e dopo tanti perché, ha iniziato a prendere consapevolezza del duro lavoro che doveva svolgere. Così ha iniziato a seguirmi attentamente, con dedizione e tanta applicazione».
 
Adesso è una realtà del basket italiano e un giocatore della Nazionale. Dove può ulteriormente arrivare, secondo te?      
«È caparbio, forte, determinato e intelligente. Avete visto cosa ha combinato nella serie finale dei play-off di quest’anno? Nessun traguardo gli è precluso».
 
Luca Maggitti
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