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Via Seneca [Il privè di ROSETO.com]
IO, SCOLARO E STUDENTE A ROSETO.
2011. Nino Bindi presenta il suo libro al Nome della Rosa di Giulianova.
[Cristian Palmieri]


2011. Nino Bindi presenta il suo libro al Nome della Rosa di Giulianova.
[Cristian Palmieri]


2009. Luca Maggitti e Nino Bindi: il selfie... prima che andasse di moda (e quando il telefonino si doveva girare e andare a intuito, vista la mancanza di telecamera frontale).

Il mio contributo al libro ‘Lettere e pagelle a un Professore’ di Nino Bindi, che oggi compie 75 anni. Buon compleanno, Prof!

Roseto degli Abruzzi (TE)
Domenica, 06 Marzo 2016 - Ore 10:45

A fine 2008 ritrovai, grazie alla posta elettronica, l’amatissimo professor Nino Bindi – da noi studenti ribattezzato “Findus” e “Tacco Country” –, che alle ragionerie mi insegnò Diritto ed Economia.
Aveva in animo di scrivere un libro e mi chiese un aiuto a divulgare la notizia, perché aveva bisogno di reperire questionari e testimonianze dei suoi ex alunni.
Ci scrissi un pezzo (https://www.roseto.com/scheda_news.php?id=8575) e Roseto.com – che il prossimo 24 marzo compirà 18 anni – fece il suo lavoro, consentendo al Professore di avviare il “tam tam” mediatico di cui aveva bisogno.
Il pezzo piacque pure al collega Antonio D’Amore, che lo pubblicò sul quotidiano La Città. Lo ringrazio ancora.
Le cose andarono avanti, Nino Bindi mi ricontattò e così, nel 2010, gli consegnai questionario e mio contributo al suo libro, pubblicato nel 2011 e intitolato “Lettere e pagelle a un professore”.
Questo, di seguito, è il mio contributo (titolo e sottotitolo li ho inviati ma non sono stati pubblicati, per fortuna, sul libro), che ha l’onore e la responsabilità di aprire il libro di Nino, dopo la sua premessa.
Oggi il mitico Professore atriano compie 75 anni e io gli mando così i miei auguri di buon compleanno, ricordando la dedica che mi ha fatto sulla copia del suo libro: “a Luca che... prima di sé... gli altri.”.
Grazie di tutto, grazie per tutto, Prof!
 
SQUOLA ;o)
Ricordi per Findus.
 
Sono nato nel 1969. La Scuola Elementare che ho frequentato a Roseto degli Abruzzi è quella di Via Piemonte. Ogni volta che ci passo davanti in bicicletta solcando Via Manzoni – l’arteria che pompa il sangue alla zona interna di Roseto – vorrei fermarmi per rientrare nel posto in cui manco da poco più di 30 anni. Ma ogni volta è chiusa o il lavoro mi attende battendo nervosamente il piede per terra. Crescere, oltre al tempo che passa, è una questione di orari che non si accordano più.
 
Via Piemonte era l’avamposto del Maestro Donato Norante, abile sarto – seppi poi – con la passione dell’alta moda e dei costumi. Per noi della classe era invece il maestro che girava con la bacchetta di legno sottile come un grissino sotto il braccio, portandola come i francesi portano la baguette. Era il maestro con le guance butterate e gli occhialoni d’osso da ayatollah. Il Maestro “troppo bravo”.
 
Aperto, esigente, assolutamente originale rispetto alle distinte casalinghe con il registro che si vedevano insegnare nelle altre classi, il Maestro Norante chiedeva impegno e rispetto, trattandoci alla stregua di tanti figli, che reputava intelligenti al punto da coinvolgerli in cose che mi sembravano assolutamente inavvicinabili per la nostra età e per le nostre capacità.
 
Per cui quando una volta Raffaele – mio compagno di classe – gli chiese: “Maestro, ma perché l’uomo sente il bisogno di entrare dentro la donna?” ricordo il mio e l’altrui sbigottimento. Forse eravamo in terza. Lui sorrise, prese un piccolo sospiro e ruppe il ghiaccio rispondendo: “Raffaele, questa è una buona domanda…”.
 
“Sto lavorando come un negro!” si imbufaliva, invece, quando voleva farci venire i sensi di colpa perché non stavamo facendo abbastanza nel supportarlo nei suoi progetti innovativi.
 
Il vulcano, costruito e fatto eruttare con una specie di carburo.
La palafitta, la cui costruzione era irta di pericoli a causa della stabilità.
La domus romana, con la mia personalissima folgorazione per l’impluvium.
Il castello, edificato utilizzando i fustini cilindrici del detersivo che diventavano, merlati, splendide torri di difesa. E quanta precisione nell’incollare la carta, disegnare le mattonelle, colorarlo, regolare il ponte levatoio sul fossato…
 
Il Maestro coordinava il lavoro e lavorava lui per primo, grazie alla sua strepitosa abilità con le forbici e con gli altri attrezzi del bricolage. Noi lo seguivamo e ad ogni progetto miglioravamo.
Mentre il modellino cresceva, crescevano le nostre competenze specifiche sia teoriche sia pratiche. Perché il Maestro ci faceva incollare un pezzo solo se gli sapevamo dire in quale ottica si inquadrava, a cosa servisse e di cosa si stava parlando. Un apprendimento, fatto con il sorriso sulle labbra, che mi ha inculcato una fortissima curiosità per la vita nel suo complesso ed in ogni sua sfaccettatura.
 
Eravamo la classe del Maestro Norante, quelli sporchi di colla e macchiati di pennarello, quelli che ritagliavano cartone, quelli che alla fine esponevano le loro opere e le illustravano a tutta la scuola, avendole comprese appieno. E quelle opere mi risulta siano rimaste per anni, forse decenni, negli spazi interni pubblici della scuola. Come sarebbe bello se ci fossero ancora…
 
Il Maestro Norante andò in pensione proprio al termine della quarta classe. Così in quinta ci toccò un nuovo insegnante. Era una donna molto anziana – credo avesse rifiutato la pensione, ammesso che fosse fattibile – e viveva a Roseto degli Abruzzi, in una stanza del vecchio Albergo Roma, dove oggi c’è la Casa della Torta.
 
La maestra si chiamava Elisa Arru ed era molto diversa da Donato Norante. Tanto il Maestro era un padre originale ed alternativo, tanto la Maestra era una severa zia-istitutrice, per di più bruttina.
 
Ma non ci mise molto tempo, Elisa Arru, a calare il suo asso nella manica, coinvolgendoci tutti: l’Esperanto!
 
Se Donato ci aveva rapiti strutturando con noi una specie di “Quark” ante litteram, Elisa ci stregò con la “Lingvo Internacia” inventata da un medico polacco. La lingua in cui la “e” congiunzione si diceva “kaj” (sempre se ben ricordo), “arrivederci” faceva più o mano “gis revido” e Cappuccetto Rosso era “Capuciulino”.
 
Dopo il ciclone Donato, la piccola maestra sarda inossidabile aprì un’altra breccia nei nostri cuori, inculcandoci – con tutto l’amore che gli si leggeva negli occhi protetti da orrendi occhialoni con la montatura grigia – la consapevolezza che con una lingua artificiale, rispettando quelle naturali, le barriere mondiali sarebbero crollate. Un inno alla globalizzazione (negli Anni ’70!), per cui ogni volta che ci ripenso mi chiedo: quale provveditore agli studi illuminato avrà autorizzato l’esperimento dell’Esperanto in una classe di quinta elementare, per di più coordinato da una attempata maestra con una manciata di denti in bocca?
 
Nel 2001 mancò il Maestro Norante. Andai a trovarlo al cimitero portandogli un vasetto colmo di vezzosi fiorellini rossi. Non ho invece più saputo nulla della Maestra Arru. E me ne dispiace.
 
Dopo un simile lustro, il salto nella scuola media non fu altrettanto ricco di stimoli. Eppure saltai da un solo insegnante ad una pluralità di docenti. Sarà che c’era la docente esaurita che veniva a scuola quasi piangendo dopo l’ennesima discussione con il marito e che quindi spesso urlava, la professoressa che delegava una compagna di classe a tenerci d’occhio mentre lei si assentava, il professore truculento, chiamato “gommaliscia” per via della calvizie, che insegnava in dialetto abruzzese. Insomma, salvo qualche rara eccezione, la scuola media – trascorsa alla Fedele Romani – non fu granché.
 
Andò decisamente meglio alle superiori, grazie ad alcuni professori decisamente sopra la media. In Nino Bindi ritrovai l’anticonformismo e la vena artistica di Donato Norante, in Nello Iachini la durezza di Elisa Arru, nella compianta Rita Cioci una autorevolissima sostenitrice, che mi spinse a scrivere sempre e comunque, incoraggiandomi dopo aver letto i miei temi ed emettendo l’inappellabile sentenza: “L’ho sempre detto io che quelli che sanno scrivere si trovano alle ragionerie e non al liceo classico”. Fui perciò onorato quando, nel decennale della sua prematura scomparsa, suo fratello Angelo (il mio medico di famiglia) mi chiese di condurre una serata in ricordo della Professoressa, imperniata sull’attualità del pensiero politico di Dante Alighieri, nobilitata dalla presenza del professore universitario Ezio Sciarra e conclusasi parlando di sonno R.E.M., con divagazione nella musica dell’omonimo gruppo rock statunitense originario della Georgia.
 
Non sono andato all’università. La vanità del titolo di dottore mi ha spinto ad iscrivermi a 35 anni ad un corso di laurea breve. Ma non ho tempo di studiare, per cui ho dato un numero di esami vergognosamente basso e aspetto di diventare milionario col Superenalotto, per prendermi il mio anno sabbatico e laurearmi in pompa magna.
 
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Luca Maggitti
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