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Cinema
CRISTIANO MORI: DAL PREMIO BORSELLINO AL FESTIVAL DEL CINEMA DI CANNES, GRAZIE A ‘IL SARTO DEI TEDESCHI’.
Giulianova, 10 novembre 2012. Cristiano Mori legge la motivazione del Premio Borsellino a Roberto Scarpinato, all’epoca Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta.
[Mimmo Cusano]


La locandina del cortometraggio ‘Il sarto dei tedeschi’.

2016. Antonio Losito e Cristiano Mori al Festival del Cinema di Cannes.

Intervista all’attore conosciuto sul palco del Premio Borsellino, che sta ottenendo grandi consensi e vincendo molti premi con il suo cortometraggio.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Sabato, 28 Maggio 2016 - Ore 12:00

Ho conosciuto Cristiano Mori nel 2012, al Palazzo Kursaal di Giulianova. Io ero il conduttore della giornata finale del Premio Nazionale Paolo Borsellino e lui era fra gli attori che il fondatore del Premio, Leo Nodari, portò da Roma per leggere le motivazioni.
 
Una consuetudine iniziata nel 2010 e proseguita nel 2011, con l’attore e doppiatore abruzzese Luca Luciani, perché, per dirla con le parole di Leo Nodari: «È importante che il pubblico comprenda perfettamente le motivazioni del Premio Borsellino. E siccome noi le scriviamo col cuore, è giusto che ci siano professionisti a leggerle».
 
Cristiano e altri attori fecero egregiamente il loro lavoro a Giulianova, bissando l’anno successivo a Roma, nella splendida cornice della sala della Protomoteca al Campidoglio.
 
Un lavoro fatto non solo di lettura delle motivazioni, ma di tanti spettacoli di teatro civile, capaci di coinvolgere sia i giovani delle scuole sia il pubblico serale delle sale, facendoli riflettere sui sacrifici dei protagonisti della lotta alle mafie.
 
Grazie ai social media, con Cristiano Mori è rimasta un’amicizia fatta di saluti e qualche bella conversazione, per tenersi aggiornati sui rispettivi percorsi umani e professionali. Così, un giorno ho saputo del suo cortometraggio “Il sarto dei tedeschi”, che ha realizzato con la cura che si riserva a un figlio e che gli sta dando grandi (e meritate, mi permetto) soddisfazioni.
 
E allora, fresco di ritorno dal Festival del Cinema di Cannes, dove lo ha presentato, ho bloccato virtualmente Cristiano per una intervista, che mi ha volentieri concesso e che dedico a tutti gli amici – staff e premiati – del Premio Borsellino conosciuti in questi anni.
 
Cristiano, iniziamo dalla cosa che ci ha fatto conoscere: che esperienza è stata “dare voce” alle motivazioni del Premio Borsellino?
«Il Premio Borsellino è stato importantissimo nella mia carriera. Per la prima volta ho assaporato la gioia di mettere a disposizione la mia arte per una causa che io ritengo superiore. Le immagini che tuttora ho in mente sono quelle di uomini che hanno dato e stanno dando la vita per un mondo migliore. Gli spettacoli, che abbiamo fatto con i miei colleghi, prendevano significato profondo solo dopo aver incontrato i premiati, i magistrati e spesso le rispettive scorte dopo lo spettacolo, di solito a pranzo. È lì che ho sempre notato un’umiltà e una semplicità che solo le persone con obiettivi sinceri hanno. In questa esperienza non smetterò mai di ringraziare Leo Nodari, per l'opportunità che ci ha dato».
 
“Il sarto dei tedeschi” è una storia struggente, ambientata nella seconda guerra mondiale, di forze contrapposte sia sul territorio sia dentro un essere umano. Come e quando nasce?
«L’idea della sceneggiatura è nata dopo una mia profonda crisi artistica e personale. In quel periodo fu importante per me ritornare a conoscere me stesso e, di conseguenza, le mie radici. La mia famiglia, che mi appoggia da sempre, da quando nel 1999 mi trasferii a Roma, mi supportò e sopportò. Un giorno, parlando con mia nonna uscì fuori una storia molto interessante che riguardava mio nonno paterno. Paolo Mori faceva il sarto a San Miniato anche durante la seconda guerra mondiale. Sembra che un giorno gli venne ordinato un vestito da uno straniero. La particolarità è che mio nonno dovette confezionare quel vestito senza mai incontrare il proprietario. Mi sono immaginato, quindi, che l’ordine fosse venuto da parte di un occupante scomodo per poter fuggire dal paese dopo l'armistizio dell’8 Settembre 1943. All’interno della storia ho cercato di immedesimarmi nei sentimenti contrapposti del sarto, pensando anche all'imminente incursione della Resistenza partigiana. Volevo far passare l’ineluttabilità del conflitto interiore delle persone in una situazione così straordinaria come la guerra. Questo concetto ho cercato di farlo mio fino in fondo, fino a quando Paolino, il protagonista, dovrà obbligatoriamente scegliere da che parte stare».
 
Come hai scelto il regista?
«Questa è stata la mia opera prima, sia come sceneggiatore sia come produttore, e per un cortometraggio così “personale” avevo bisogno di un regista che mi conoscesse bene. Antonio Losito lo conosco da anni, poiché abbiamo recitato in teatro a Roma in diversi spettacoli. Antonio mi conosce sia artisticamente sia personalmente e ha confezionato la regia di cortometraggi molto premiati, tra i quali “A questo punto...”, con Pietro De Silva. Quando gli ho proposto la sceneggiatura lui ha accettato immediatamente. Antonio è un regista molto eclettico e ancora non si era cimentato con un lavoro storico-autobiografico. Le sue indicazioni nella pre e post produzione sono state decisive e sul set ha saputo tirar fuori da ogni persona, attore o tecnico, il meglio».
 
La scelta del cast?
«Anche per scegliere il cast ho adottato lo stesso criterio. Alessandra Flamini (Lucia) e Mauro Fanoni (Capopartigiano) li conosco da molti anni e, oltre a essere attori straordinari, sono persone che mi conoscono profondamente. Giada Benedetti (Marisa) è l'attrice che più poteva rappresentare la moglie di Paolo Mori. Altro discorso è stato per la scelta di Christoph Hulsen (Rudolf Schmidt) che doveva essere necessariamente tedesco, ma in grado di parlare perfettamente l'italiano. Un piccolo ruolo l’ho assegnato anche a un familiare, Giacomo Caciagli (Partigiano), facendolo debuttare, così, nel mondo del cinema. Giacomo Caciagli ha anche contribuito alla produzione del corto, insieme a Francesco Mori».
 
L’impegno della produzione: ci credevi a tal punto?
«Quando ho affrontato, con l’aiuto organizzativo di Antonio Losito, la programmazione finanziaria del cortometraggio, mi sono reso conto dello sforzo che avrei dovuto fare. Credevo e credo tantissimo in questo cortometraggio: quest’opera ha un significato immenso per me. Ricordo ancora le parole di mia madre nei miei momenti di crisi artistica, parole di conforto e di incitamento a non mollare mai, ad andare avanti perchè anche lei sentiva e mi diceva spesso: “Questo dell'Arte è il tuo mondo è la tua strada!”. Mia madre si chiamava Lucia e non a caso è una delle protagoniste del film. Il progetto ha un altro protagonista silenzioso, un uomo che ha saputo e tuttora sa darmi i consigli giusti, un uomo che nonostante mi veda a quasi quarant’anni ancora lottare per vivere di arte, non ha mollato nemmeno un centimetro nell’aiutarmi sia moralmente sia finanziariamente: Fernando Mori, “i mi babbo”».
 
Tanta fatica, premiata dalla soddisfazione dell’acquisizione del cortometraggio da parte della Rai e dei premi vinti...
«“Il Sarto dei Tedeschi” è approdato in Rai grazie a un Festival molto importante: “Tulipani di Seta Nera”. Questo Festival si svolge ogni anno nella cornice romana e ha profonde motivazioni sociali e culturali. Abbiamo raggiunto circa 30 finali di Festival Nazionali e Internazionali, vincendo 10 Premi tra Giuria e Pubblico e alcune Menzioni Speciali. Il cortometraggio sarà in Concorso in decine di altri Festival quest’anno e nel 2017 ed è inserito nei 30 cortometraggi che parteciperanno al Globo d’Oro 2016».
 
Lo hai presentato al Festival del Cinema di Cannes. Con l’obiettivo di farne un film?
«Abbiamo portato il cortometraggio a Cannes con l’obiettivo di farlo conoscere al maggior numero di addetti ai lavori possibile. Questo ha dato modo a me, Antonio Losito e Giada Benedetti, presenti a Cannes durante le giornate del Festival, di confrontarci con un ambiente internazionale e di altissima qualità e professionalità. Non nascondo che sia già pronto il soggetto per il lungometraggio del film e che a Cannes ho incontrato diversi produttori interessati al progetto. Cercare finanziatori per la sceneggiatura e per la realizzazione è uno dei miei obiettivi primari di quest’anno».
 
Quanto è difficile fare l'attore oggi, magari fuori dai circuiti “soliti” cinema/tv?
«Credo fermamente che la difficoltà sia soprattutto nella motivazione necessaria ad andare avanti, nonostante la grande concorrenza. Ho sempre fatto tantissimi lavori per mantenere la mia passione viva, ma questo non mi ha mai tolto la voglia di migliorarmi. Quando approdi nei grandi circuiti di cinema e televisione, la cosa non ti garantisce la continuità creativa. Essa deve rinnovarsi ogni giorno, solo così puoi definirti un artista».
 
Progetti per il futuro?
«Oltre al lungometraggio del “Sarto”, sto scrivendo una sceneggiatura per un nuovo cortometraggio e creando le basi per un mio spettacolo, che debutterà in teatro nella stagione 2016/2017. Comunque, quello che voglio è anche fare cinema e tv e la mia partecipazione ai provini sarà costante quest’anno».
 
Un tuo pensiero finale, su questo cortometraggio...
«Risponderò alla tua domanda con una citazione dal soggetto del lungometraggio: “Cucire un vestito”, diceva Ulisse, il suo maestro, “è come scolpire una statua. I materiali sono per tutti gli stessi: il marmo per gli scultori e la stoffa per i sarti, ma è il cuore dell’artista che fa la differenza!”».
 
IL SARTO DEI TEDESCHI

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Luca Maggitti
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