Per diventare generale sul campo, ci vuole la guerra.
Lo scoprirà fra qualche giorno Giuseppe “Pino” Di Paolo, da un lustro assistente allenatore a Chieti, dove ha servito la patria (teatino doc) collaborando con Domenico Sorgentone, Nino Marzoli, Massimo “Cedro” Galli e Maurizio Bartocci (due volte), che ha sostituito dopo la decisione della Società biancorossa, a seguito della sconfitta delle Furie nel primo turno di playout contro la Viola Reggio Calabria.
Conosco Pino – e il suo garbo – dai tempi in cui era “trice” in Serie A a Teramo, con Emanuele Di Paolantonio vice e Alessandro Ramagli coach.
Ho stretto poi i rapporti grazie a “Slums Dunk”, progetto ideato da Bruno Cerella che vede Pino fra i principali animatori.
Poi l’ultimo periodo – umanamente parlando – con la gioia per la nascita della sua figliola e il dolore per la morte del padre.
Coach Pino Di Paolo è oggi chiamato a una prova da far tremare i polsi: salvare una squadra, alla deriva, che è il risultato di molti cambiamenti e qualche errore di troppo.
Una squadra “senza testa”, se è vero che dopo il cambio di guida tecnica Galli/Bartocci l’unico play puro della compagine – Andrea Piazza – fu dirottato in tribuna (e lui scelse, logicamente, di togliere le tende), accettando il rischio di ritrovarsi una squadra con mezza dozzina di attori e nessun regista.
Può una squadra “senza testa” salvarsi in una serie secca – e cioè nell’ultimo turno e decisivo di playout – contro una fra Scafati e Forlì?
Io dico di sì, per almeno due ragioni.
Prima ragione. Una squadra “senza testa” può – stringendosi intorno a un patto siglato alla presenza del “notaio” Pino – lanciarsi contro l’avversario all’arma bianca, supplendo per un numero variabile da 3 a 5 partite alla mancanza di un regista classico, difendendo alla morte e per questo vivendo.
Seconda ragione. Pino, reduce da un lustro di assistentato e, soprattutto, da qualche anno di baraccopoli africane (dove ha portato benessere col basket grazie a “Slums Dunk”), dovrebbe aver maturato dentro di sé quel mix fra conoscenza centimetro per centimetro del territorio in cui opera e capacità di parlare al cuore e agli attributi delle persone, avendo vissuto settimane faccia a faccia con chi – nel ventunesimo secolo – fa ancora i propri bisogni all’aperto, non dispone di acqua pulita né di energia elettrica.
Insomma: spero vivamente che Pino e i suoi riescano a salvare Chieti. Perché l’Abruzzo non può perdere una delle due squadre di Serie A2 e perché il derby esiste solo se due avversari si affrontano nella stessa categoria.
E poi lo spero per Pino. Per quel suo sorriso schivo e sognante, al limite del misticismo. E, soprattutto, per quella birra poggiata sulla lapide del padre scomparso, quale insopprimibile inno alla vita esorcizzando la morte.
Pino, spero tu riesca a trasmettere alla tua squadra la forza che ti ha portato a brindare con lo spirito di tuo padre. Sarebbe una solida base sulla quale costruire il miracolo sportivo che sei chiamato a compiere.
In bocca al lupo.