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Roseto Basket Story
ROSETO-PALESTRINA: LA FINALE INVISIBILE (1/3).
Il Roseto Basket 1987/1988, vincitore del Campionato di B2.

Coach Piero Bianchi

Titti Stama, a sinistra, e Antimo Di Biase si allenano nel ritiro estivo di Isola del Gran Sasso prima del Campionato 1987/1988.

Coach Piero Bianchi ci racconta in 3 puntate un pezzo di storia cestistica rosetana. Puntata 1 di 3.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Lunedì, 12 Settembre 2011 - Ore 18:30

Niente tifosi al seguito per motivi di ordine pubblico. Niente telecamere. Nessun documento filmato. Nessun testimone esterno a squadra e staff, se non l’autista del pullman e un ospite particolare. Solo i 17 protagonisti, due dei quali peraltro non ci sono più, possono raccontare la partita “invisibile”. Quella al termine della quale Roseto fu promossa in B1, 23 anni fa.  
        
Campionato di B2 1987-88, chi ha meno di 23 anni non era ancora nato. Dal suo “bunker” sul lato est del palazzetto Giovanni Giunco portava avanti con fede incrollabile la sua opera di ricostruzione, dopo che solo due stagioni prima la società aveva rischiato di sparire.
Giunco era fatto così: ogni volta che la nave affondava, mentre i topi scappavano arrivava lui a salvare il salvabile. Così, smaltite le due dolorosissime retrocessioni (1983 dalla A2 alla B, 1986 dalla B unica alla neonata B2) si arrancava sognando di tornare in alto.
 
Il capo allenatore era Domenico Sorgentone, richiamato alla base dopo due campionati vinti alle Forze Armate e a Vasto. Lo staff era allineato e compatto: il sottoscritto vice allenatore, Giancarlo Verrigni (il papà di Piergiorgio, a beneficio dei più giovani) preparatore atletico, il compianto Raffaele Battista medico sociale e showman, Matteo Fusco fisioterapista e degna spalla comica del medico. E poi Romano Mari, team manager e uomo di fiducia del presidentissimo.
 
La squadra: il blocco dell’anno prima (Di Biase, Battistoni, Stama, Palermo, Aureli) era stato puntellato con Luca Melioli, playmaker ex-Reggio Emilia, col pivot friulano Sandro Fanna (che poi avrebbe deciso di stabilirsi a Roseto per la vita) e con l’ala Nico Faraone, scovato a Ortona. Poi c’erano i bambini che io allenavo nella Juniores: Dante Battista, Massimo Chiappini (oggi assistant coach del nuovo Roseto), Armando Cistòla, Carlo D’Emilio, Marco Verrigni, il più bimbo di tutti coi suoi 17 anni.
 
L’annata era partita molto in sordina. Precampionato zoppicante (“Vi facciamo tutti a fette”, disse ai giocatori la buonanima di Fernando “Baione”, dopo un Torneo a Termoli nel quale arrivammo ultimi), entusiasmo non certo alle stelle, pubblico freddino. Il palazzo era tutt’altro che pieno.
Alla decima giornata (5 vinte, 5 perse) nessuno pensava che potessimo inserirci nel giro dell’alta classifica. Così, quando verso la fine dell’andata ingranammo la quinta marcia e cominciammo a vincere con regolarità impressionante in casa e fuori, furono in molti a rimanerci di stucco.
 
Eravamo la squadra più bassa del campionato. Stama (1,90) giocava ala piccola e marcava i “3” di due metri. Aureli (1,98) difendeva sui “5”. Gli avversari erano tutti più grandi e grossi di noi. Ma noi in campo volavamo. Aureli e Palermo erano inafferrabili, non li teneva nessuno. Melioli e Di Biase spingevano il contropiede come due forsennati e colpivano da 3 punti. Titti Stama e Willy Battistoni erano le punte di diamante. Segnavano in tutti i modi: uno contro uno, contropiede, uscita blocchi, da 3 punti. Titti 23 di media, a ruota Willy 18. Un incubo per qualunque difesa.
   
Filammo su, su, su verso il primo posto, scavalcando fior di squadroni (Palestrina, Affrico Firenze, Chieti, Campi Bisenzio) ben più accreditati di noi. Nel girone di ritorno davamo 20 punti a tutti. Vincemmo la stagione regolare in scioltezza, apparentemente con un filo di gas. In semifinale playoff stroncammo la strenua resistenza di Campi Bisenzio, piegato con un sofferto 2-1. Eravamo in finale.
 
Ovviamente con le vittorie era tornato il grande pubblico, da mesi il Palas era pieno come un uovo. I tifosi erano colorati, organizzati, caldissimi. Gli scettici continuavano a chiedersi come diavolo avevamo fatto ad arrivare fin lì. Noi no. Noi ci ricordavamo perfettamente che il sogno di vincere il campionato, magari con un pizzico di follia, ce l’eravamo messi in testa fin dal 10 agosto, primo giorno di ritiro a Isola del Gran Sasso.
E venne l’ora della finalissima contro Palestrina.
 
Domenica 22 maggio 1988, atmosfera da grande evento. All’epoca la curva degli ultrà non era la Nord (incredibile, a pensarci oggi…) ma la Sud, vicino alla nostra panchina. Un’ora abbondante prima della partita era già piena. Nella Nord invece dovevano prendere posto i tifosi ospiti. Che arrivarono a una ventina di minuti dal salto a due, non so con quanti pullman, rumorosissimi. Il tifo prenestino ve lo raccomando: gente dalla scorza dura, al limite della prepotenza, sicuri del fatto loro. Non per niente l’antica Preneste era là dov’è ora già molto prima di Roma.
 
“Occuparono” la Nord, piazzarono i loro vessilli arancio e verde e partirono subito a squarciagola col coro “PA-PA-PALESTRINA!!”, noto su tutti i campi della serie B.
Non so cosa passò in quegli istanti nella mente dei nostri tifosi. So solo che improvvisamente, mentre ero in campo a dirigere il riscaldamento pre-gara, li vidi venir giù dalla gradinata, tutti insieme, a decine. Entrarono in campo correndo all’impazzata, un’ondata irreale. Ce li vedemmo incredibilmente sfrecciare accanto, sfiorando i giocatori. Capimmo. Puntavano dritti sulla curva degli ultrà di Palestrina, incuranti del fatto di passare sul parquet durante il riscaldamento delle squadre. L’invasione di campo (15 minuti prima della partita…) più incredibile della storia del basket.
 
Tememmo il peggio. Ma non ci furono scontri, per fortuna. L’obiettivo del “blitz” erano le bandiere e gli striscioni arancio-verdi, che in un baleno furono sottratti agli avversari e portati indietro, nel covo del tifo di casa, come bottino. Il raid fu troppo veloce perché i prenestini, colti di sorpresa, potessero opporsi.
La presero malissimo.
 
Fine Puntata 1 di 3.
[continua]
 
Piero Bianchi
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