Carlito Corazon Gitano
HONDURAS: DOVE FINISCE LA TERRA E INIZIA IL CIELO.

Carlo Tacconelli in Honduras, nel 2012, soccombendo contro il dolce far niente.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Venerd́, 22 Marzo 2013 - Ore 08:00
Il primo impatto è sempre il più forte: prima visita alle comunità di pescatori della zona della Moskitia, giungla bagnata dal Mar dei Caraibi, a confine tra Honduras e Nicaragua.
 
La pista di atterraggio per il nostro charterino turboelica da 12 posti è su un campetto da calcio di terra rossa. I ragazzini sembrano pure irritati per avergli interrotto una partitella piuttosto importante. Quant’è suggestiva questa sconfinata laguna, sperduta tra le paludi di mangrovie, un posto accessibile sono in aereo oppure in barca dalla costa dell’Atlantico.
 
Si parte verso le comunità di Puerto Lempira, villaggi di palafitte così remoti che al mio arrivo gli indigeni stessi mi hanno chiesto dove cavolo si trovassero!
 
In missione, come sempre, per esportare il nostro ideale di sviluppo, secondo una necessità derivante dalla nostra convinzione di provenire da un mondo in cui le condizioni di vita sono oggettivamente migliori. Mentre qui ci sembra solo una pattumiera di fango e di miracoli.
È sempre la solita inquietudine a portarmi quaggiù nell’Inframundo, questa vigliaccheria che non mi dà tregua e con cui fingo di non saper convivere. Appena si è presentata l’occasione non ho esitato un attimo ad abbandonare l’Italia in odor di crisi. E non credo di risalire la biscaggina a breve…
 
L’ormai ben noto desiderio di distruzione e ricostruzione (palesemente alleatosi con il destino) stavolta mi ha trascinato in questa terra satura d’acqua, sul cui suolo ancora si adagiano mollemente i templi degli antichi Maya, un territorio fortemente indigeno sebbene terra di conquista e territorio sottratto ai legittimi sudditi di questa repubblica delle banane. Dove la faccia della povertà è quella delle case di fango, dove c’è chi non riesce ad avere accesso nemmeno a qualche tronco di legno per potersi costruire un riparo, nonostante l’80% del territorio dell’Honduras sia area boschiva.
 
Mi rendo conto che tendo a mettere assieme sempre la stessa scenografia. Ma non è quello che, in fondo, facciamo tutti?
Girare il mondo per cercare qualcosa che abbiamo dietro l’angolo, ma che i nostri occhi non hanno ancora assaporato, appropriarci di queste sensazioni, renderle parte della nostra vita e crearne un soffice e comodo ricordo.
 
Si, il viaggio, dicevamo: dopo aver guadato 3-4 fiumi si prosegue verso la prossima destinazione, stavolta nella foresta tropicale della Biosfera del Rio Platano. Il buon vecchio Alejo, honduregno tuttofare ed estremo conoscitore di queste zone remote, si era appisolato in macchina, nonostante la strada impervia provocava diversi inevitabili scossoni. Si sveglia di soprassalto un attimo prima che finiamo in una buca, che gli causerà una gran capocciata sul finestrino, svenendo e trovando finalmente pace per un paio d’ore.
 
Non è la prima volta che mi trovo immerso in questo tipo di cultura, e comincio a sentirmi sempre più affine a questa indole di superficialità verso le convezioni e le sovrastrutture: prendere in giro il tempo, dando appuntamenti poi non rispettati, prendere in giro lo spazio, dando informazioni approssimative e spesso sbagliate, insegne fasulle. A volte sembra di essere in un film surreale, quasi pulp: una volta ricordo di essere entrato in una sorta di fast food locale chiedendo un panino e mi hanno portato una birra e un sacchetto di banane fritte dopo un’ora e mezza dicendo di non essere riusciti a trovare della frutta. Mah...
 
Per questo loro non si incazzano mai, anche di fronte a casi di grossolana ingiustizia: ad esempio c’è il caso dei poveri pescatori dei Cayos Cochinos (l’Isola dei Famosi) che per 4 mesi non possono uscire a pescare per non turbare il panorama incontaminato delle riprese tv. A titolo di compensazione ricevono 1.000 dollari dalla produzione televisiva italiana. In totale. All’anno. E la troupe Rai non si degna neanche di fare una visita ai villaggi dei pescatori, addirittura si portano le scorte di cibo dall’Italia.
 
La mia vita ha la parvenza di un continuo viaggio indietro nel tempo, forse per la curiosità di sapere come girava il mondo prima della mia nascita, o forse perché sento la mancanza di mio nonno che mi avrebbe spontaneamente descritto la sua gioventù con nostalgia. E continuo a soffrirne la mancanza, reagendo non con la placida rassegnazione di mia nonna, bensì cercando di ricostruire la realtà che avrebbero potuto vedere i suoi occhi 50 anni fa.
 
Nel frattempo questo vento tropicale continua a far svolazzare le pagine avanti e indietro, quasi anche lui non riuscisse a decidere la sua collocazione nello spazio-tempo.
 
Riprendiamo il viaggio: attraversiamo campi di palme, piantagioni di caffé, sconfinate distese di banani e canna da zucchero destinati al mercato internazionale. Ma anche larghe zone devastate dalla deforestazione. Maledetti vegetariani: mangiando solo verdure e vegetali stanno provocando il precoce esaurimento delle risorse naturali, sono peggio delle cavallette. Scherzi a parte, il quadro generale dell’Honduras è quello di un paese con grandi risorse naturali, ma socialmente e politicamente completamente devastato a causa del transito di droga, che dalla Colombia attraversa verso nord tutto il corridoio centroamericano fino al Texas, con la sua scia di violenza e terrore. E tutto ciò perché qualche nordamericano annoiato vuole farsi una striscia per tirarsi su il sabato sera. Domanda-offerta.
 
Qui aleggia ovunque la presenza di questi Narcos.
Ci sono le NARCO-piste nelle foreste, dove di notte atterrano i superleggeri con le partite di coca, le NARCO-ville, residenze dei grossi trafficanti, NARCO-bar, ecc.
Una società parallela, clandestina ma neanche troppo. Da aggiungersi all’assodata consuetudine della religione che dove c’è povertà estrema si insedia facilmente come importatrice di speranza.
Dove c’è indigenza i falsi miti, come modello di vita, attecchiscono rapidamente. Ma vedere un sacerdote che celebra la Santa Messa col la maglietta di Flachi (Sampdoria) mi è sembrato troppo!
 
Non rimane che tornare a credere in ciò che è reale e positivo, riscoprire il feeling con la Madre Terra, come facevano i Maya. Oddio, i Maya credevano anche che la notte arrivasse perché il Dio Giaguaro mangiava il Sole e combatteva con i demoni dell’oltretomba finche, alla fine della battaglia spuntava l’alba. Poco credibili. Eppure quando parlano della fine del mondo fanno paura un po’ a tutti…
 
Comunque questa è l’anima del Centro America: dormire 4 ore a notte per poi svegliarsi e non fare nulla, rimanere seduti a guardare il giorno che scorre, ruminando il tempo in attesa di qualcosa che non verrà e che, in effetti, non stavamo neanche aspettando.
 
Qui non esiste l’espressione “che palle!”.
Quaggiù la gente sembra non provare noia. La noia è insoddisfazione alla ricerca di qualcosa che, una volta raggiunta, produce nuova noia. È un circolo vizioso di cui siamo tutti soci. E invece i latinoamericani no, restano seduti sorseggiando ogni attimo di vita tranquilla rubata alla sofferenza dei giorni bui.
 
Apprezzare il semplice fatto di essere vivi. Strano, vero?
Quante volte vi è capitato di sentire/dire: “Io non riesco a stare senza fare niente, se ho del tempo libero devo mettermi a fare qualcosa”. Schiavi, alla ricerca di emozioni effimere che sfumano nell’attimo esatto del raggiungimento. La caducità della nostra felicità.
 
Non mi tiro fuori da questa mischia, sono socio anch’io, ed è per questo ho bisogno di scappare ogni tanto, per potermi nuovamente estraniare ed annichilire di fronte alla sublime potenza della natura e della vita che scorre indisturbata. E poter riposare i muscoli dall’affannosa corsa del vivere moderno.
 
Ma la bottiglia di SALVA VIDA, la birra locale, quanto mai adatta a descrivere questa brezza precolombiana, è finita e questo tovagliolo su cui scrivo con orrenda calligrafia, a causa di enorme timidezza, è ormai tutto blu di inchiostro. Ed anche io non posso non farmi trascinare da questo torpore dilagante, ne sono profondamente contagiato e cominciano a pesarmi le palpebre, sarà che sono NARCO-lettico...
 
 
ROSETO.com > Archivio
CARLITO CORAZON GITANO
 
7 novembre 2007
PER TUTTI QUELLI CHE HANNO GLI OCCHI ED UN CUORE CHE NON BASTA AGLI OCCHI…
Carlo Tacconelli ci racconta la storia del suo viaggio nel deserto del Sahara.
 
15 luglio 2008
DIARIO DI UN PELLEGRINO BEATLESIANO
Carlo Tacconelli ci racconta la sua trasferta in Terra d’Albione per assistere al concerto di ‘Sua Maestà’ Paul McCartney.
 
18 marzo 2013
VENEZUELA: PANNELLI SOLARI E FRAGOLE ANDINE.
Carlo Tacconelli in Venezuela, nel 2008, per un laboratorio di autocostruzione con i contadini delle Ande.
 
19 marzo 2013
KENYA: NAIROBI DA MATTI...
Carlo Tacconelli in Kenya, nel 2009, alle prese con la scoperta del Continente Nero.
 
20 marzo 2013
MAL D’AFRICA: IL BENE INCURABILE.
Carlo Tacconelli in Tanzania, nel 2009, sotto il Kilimanjaro e sopra il consueto.
 
21 marzo 2013
HAITI E IL TERREMOTO
Carlo Tacconelli nell’isola di Haiti, nel 2010, alle prese con i soccorsi per il terremoto e con le reazioni della gente.
 






Stampato il 07-13-2025 00:22:21 su www.roseto.com