Carlo Tacconelli è un ingegnere rosetano – musicista e amante del basket – col cuore grande e con la voglia di girare il mondo e sentirsi in armonia con il creato. Per il nostro sito ha scritto 8 diari, raccontandoci le sue esperienze in paesi che hanno bisogno di aiuto (e una volta anche di una piacevole trasferta per omaggiare i Beatles). Finiti i diari, abbiamo voluto fargli questa intervista per conoscerlo meglio.
Carlo Tacconelli, laureato ingegnere ambientale. Professione?
«Energie rinnovabili, mitigazione del cambio climatico, accesso all’acqua. Più in generale, mi occupo di tutto ciò che abbia a che fare con lo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali e che non richieda di stare tutto il giorno davanti al computer».
In quale paese ti trovi attualmente e di cosa ti stai occupando?
«Attualmente mi trovo in Honduras e sto lavorando con l’Unitá Ambientale del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (www.undp.org). Mi sto occupando di strategie di sviluppo a basso contenuto di carbonio. In pratica, mi trovo ad avere a che fare con progetti di sfruttamento sostenibile delle risorse naturali dell’Honduras: dall’oro e le attività estrattive nelle miniere fino alla gestione di alcuni impianti ad energia idroelettrica e solare, passando per la depurazione dell’acqua attraverso tecnologie innovative esportabili in paesi in emergenza».
Quanto guadagna un cooperante laureato, che gira il mondo nelle zone più disagiate per l\'ONU?
«Diciamo che bisogna fare un po’ di gavetta. Dopo 2 o 3 anni di contratti a tempo, consulenze, semi-volontariato in qualità di personale “international specialist”, si guadagna non meno di 2.000, 2.500 dollari al mese, più tutti i privilegi che le Nazioni Unite (da buon organo politico internazionale) garantisce per i suoi impiegati: assicurazione familiare, voli di rimpatrio, liquidazione, esenzione tasse e imposte, rimborsi spese, diarie, ecc. ecc..».
Tre cose belle del tuo lavoro?
«Il calore della gente, il clima centroamericano, la prorompente energia della natura».
Tre cose brutte del tuo lavoro?
«È un lavoro che molto spesso fa sentire insignificanti i tuoi sforzi. A volte sembra che, nonostante l\'impegno che ci mettiamo, i risultati siano limitati o di poco impatto. Certo, nessuno si aspettava di poter cambiare il mondo. Poi c’è la difficoltà di instaurare una relazione disinteressata con gente che dipende dal supporto, anche non economico, tuo o del tuo lavoro. Infine, l’indifferenza dei governi, o disinteresse, verso problematiche devastanti quali il narcotraffico, la mancanza di accesso a scuole ed ospedali in zone remote con difficile accesso».
Il momento più difficile da quando hai iniziato questo lavoro?
«Ci sono stati momenti in cui ho avuto la lama di un coltello a pochi centimetri dalla mia pelle, a causa di un delinquentello di quartiere che sentiva violata la sua territorialità. Ma questo può capitare anche in Italia, allo stadio...».
Il momento più bello?
«Sentirsi dire “grazie”, alla fine del tuo lavoro. E sapere che quel “grazie” non è solo cortesia».
Dove vorresti andare in futuro e ad occuparti di cosa?
«Alcuni ci hanno definiti “vagabondi efficaci”. Non sappiamo dove andremo né che ci metteremo a fare, ma sicuramente continueremo a cercare luoghi, circostanze, sistemi in cui il nostro apporto possa davvero essere utile. Se non a cambiare radicalmente la situazione, almeno per essere una goccia in più nel mare».
Tua riflessione finale. Libera, come sei tu...
«Se avessimo capito subito che è l’amore a muovere ogni nostro passo, avremmo fatto a meno di litigare, soffrire, combattere e ci saremmo fatti guidare da questa folle bussola che, alla fine, ci porta sempre a situazioni in cui ci si sente al posto giusto. È una fortuna, per me, poter fare quello che ho sempre voluto fare. Ed è un onore poter fare quello che il destino mi ha riservato. Da sempre».
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