Milano: lo Scudetto dopo 18 anni.
MASSIMO CANCELLIERI: VICE TRICOLORE.

Intervista all’assistente di coach Luca Banchi sulla panchina dell’Olimpia Milano.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Sabato, 28 Giugno 2014 - Ore 16:30
Ieri Milano ha vinto lo Scudetto, dopo 18 anni, e io ho subito pensato – con un sorriso – al terzetto di “amici targati Abruzzo” che ho nella squadra dei nuovi Campioni d’Italia: il Vice Allenatore Massimo Cancellieri, il trainer Giustino Danesi e il giocatore Bruno Cerella.
 
Inizio il mio giro – fra telefonate ed e-mail – dal primo, provando a fare qualche “intervista Tricolore”.
 
Chi è Massimo Cancellieri? Riprendo una descrizione del 2011, perché per me “Canc” (il suo soprannome) è sempre lo stesso, dunque non c’è motivo di scrivere altra roba.
 
Massimo Cancellieri, allenatore di basket classe 1972, sta al gruppo dei suoi colleghi coach come la Ribolla Gialla di Josko Gravner (di cui era ghiotto il raffinatissimo Norman Nolan) sta al gruppo dei vini bianchi “colleghi” del prezioso nettare tendente al colore arancio. E cioè: è uno del gruppo, ma si nota già prima di parlarci che è un po’ diverso dagli altri.
 
Magro come un chiodo, filo di barba da uno che gli mancano 30 righe per finire il suo personalissimo “giovane Holden”, concavo verso la vita e di pensieri convesso, Canc è un po’ uno stilita della palla a spicchi, immerso in letture e ascolti musicali di nicchia, nutrito di spirito e vento. Perciò te lo immagini facilmente vagare per musei o partecipare a improbabili performance artistiche, piuttosto che vederlo sbraitare a omaccioni di due metri in mutande e canottiera, chiamati ad eseguir schemi correndo dietro ad un pallone.
 
Ridetto questo, anzi riscritto, provo a telefonargli nella pace postprandiale del sabato, il giorno dopo lo Scudetto, perché qualcosa mi dice che di certo non sarà ubriaco, a letto, a smaltire i postumi dei bagordi. E infatti... ecco la nostra chiacchierata.
 
Canc, complimenti per lo Scudetto!
«Grazie, Lù».
 
Senti, nella bolgia televisiva non ti ho visto ieri sera... ma sei magro come al solito?
«Caro Luca, mi sono un po’ rotto le palle di farmi dare del “magro” in accezione negativa (ride, n.d.r.). Trovandomi io in un ambiente di maschi muscolari, dove il fisico la fa da padrone, ritengo opportuno affrancarmi pubblicamente da quella immagine. Voglio essere considerato per il mio cervello, anche perché, ovviamente, con il mio fisico non potrei mai competere. Intelligenza, furbizia, iniziativa e fortuna: ecco quattro sostantivi a prova di qualsiasi bicipite. E poi non dimenticare lo stimolo dell’ambiente indie-rock Anni ’80, dove la gente pesava dai 60 chili in giù. Essendo io appassionatissimo di quel periodo e di quella musica, sono magro in maniera consapevole e di proposito, oltre ad essere vegetariano, perché a quei tempi essere magri era considerata una condizione necessaria e sufficiente».
 
Ecco, Canc... dopo questa risposta l’intervista sarebbe praticamente finita... ma mo’ altre due cose, e magari una sola di basket, io vorrei pure provare a sviscerarle...
«Vai pure».
 
Confessa: per uno che a 34 anni è stato il capo allenatore, in Legadue, di Boni e Niccolai a Montecatini (era il 2005/2006, l’anno in cui la società termale puntata alla valorizzazione dei giovani), riuscendo pure a entrare nei Playoff invece che entrare in un reparto psichiatria, fare il vice della Milano di Gentile, Hackett, Langford e compagnia ingombrante è stata una passeggiata di salute...
«Fra le due esperienze c’è di mezzo una decina d’anni di esperienza in più, con alti e bassi, che mi hanno fatto crescere e affrontare situazioni diverse in maniera più equilibrata. Ne abbiamo parlato ieri sera con alcuni componenti dello staff dirigenziale milanese, che penso abbiano apprezzato proprio l’equilibrio che ho avuto nei momenti di difficoltà che indubbiamente abbiamo vissuto. Saper prendere le persone è fondamentale nel nostro lavoro e in questo incide l’esperienza. Io penso di non stare sulle palle a nessuno e questo mi sembra già un grande traguardo. Sia chiaro: nessuno della mia squadra, perché poi a qualcuno sto sullo stomaco, ma non sono della mia squadra e questo mi pare molto importante».
 
Il primo pensiero, dopo la sirena finale di Gara 7?
«Buttiamola sull’autoironia: “Spero di uscire vivo dalla bolgia, data la mia magrezza”. Detto questo, perché non volevo essere melenso che è una cosa che non amo, ti dico che il primo pensiero è stato per mio padre, che come sai è mancato l’estate scorsa. Il mio percorso a Milano è cominciato con la morte di mio padre la sera prima e il colloquio con Proli il giorno dopo. Io non avevo detto niente a nessuno del mio lutto. È stata una impronta fortissima, ma anche un fortissimo stimolo durante l’anno. Una spinta che mi ha accompagnato per tutta la stagione. Ho condiviso spiritualmente – perché in pratica non era più possibile farlo – il cammino con lui».
 
Tu stai alla mondanità come Bombolo stava al culturismo. Come vivi essere griffato Armani e incarnare uno stile di vita figo e di tendenza, in relazione a come sei tu veramente? Avvertenza: l’unica risposta non ammessa è: “Restandomene nell’ombra”...
«Tranquillo, nell’ombra non ci resto, anche perché ogni 3 giorni siamo esposti davanti a migliaia di spettatori e ai mass media. Semplicemente, penso che essere diversi rispetto alla situazione in cui si lavora e alle tendenze sia un arricchimento, nella misura in cui riesci a condividere questa cosa. Quindi, il mio essere diverso direi che è funzionale, in un posto in cui essere monocorde non dà suggestioni. Al contrario, avere persone diverse, con stimoli e culture differenti, aiuta a vivere meglio, perché ognuno riesce a trovare negli altri un qualcosa che in una situazione monocorde non troverebbe. La differenza fra le culture va valorizzata facendo interagire le culture stesse, senza una cultura dominante. Non è politica, è più socialismo “reale”, virgolettando la parola “reale” per non essere mal compresi. È un’applicazione sociologica della “Città del Sole” di  Tommaso Campanella. E io penso che sia anche per questo che abbiamo vinto lo Scudetto».
 
L’Olimpia Milano città perfetta su di un’isola felice: questa dovresti rivendertela a qualche creativo del gruppo Armani! Senti, ma continui sempre il tuo tour “alla Gabri Di Bonaventura”, perso dietro a libri, dischi e film d’essai? Qualcosa da consigliare?
«Film d’essai abbandonati, in favore delle 70 partite fra Eurolega e Campionato, moltiplicate per 4 e cioè il numero di partite che di solito guardo di ciascun avversario. E così ci siamo giocati i film. Libri veramente pochi, in favore però di tante riviste. Mi sono spostato ora, non so perché, su due riviste che parlano di sociopolitica. Una è “Pagina 99 WE”, settimanale che esce in cartaceo solo nel fine settimana di economia, politica, cultura, dischi, libri. È fatto da esodati del Manifesto e da leggere dura una settimana. Sono articoli molto incentrati su aspetti in cui l’economica si intreccia con la  cultura e la sociologia. Non è “Il Sole 24 Ore” con l’economia tecnica, bensì una rivista in cui l’economia è intrecciata con gli altri aspetti della vita umana: insomma, la direzione in cui sta andando il mondo. Poi c’è “East”, che è un bimestrale. Queste sono le mie letture preferite, insieme a due riviste di musica indie – sotto casa ho la Mondadori, che apre alle 9 e chiude a mezzanotte – che sono “Mojo” e “Uncut”. Poi la musica: ti dico solo che Amazon mi ha dato il premio fedeltà. Ovviamente, quasi tutta roba indie-rock. Anche se la canzone alla quale ho idealmente associato lo Scudetto è un pezzo più semplice e immediato».
 
Chi, a Milano, è quello che dice (in italiano o in inglese): “Palla a me e via tutti, zio cane!”, imitando il tuo Mario Boni di Casale Monferrato-Montecatini, qualche stagione fa?
«A turno lo hanno fatto tutti. Direi che è stata la forza di questa squadra».
 
Luca Banchi ti ha voluto al suo fianco, nonostante venissi dalla retrocessione di Biella. Voleva uno con una inestinguibile sete di rivincita o cosa?
«Bella domanda. Non lo so e non mi sono mai chiesto il perché. Luca è persona schiva, che fonda tutto sul lavoro e sul sacrificio, perché lui è il primo a sacrificarsi e a lavorare duro. Io ho semplicemente cercato di immedesimarmi nello spirito di lavoro che lui da sempre ha e spero di essere stato funzionale alle sue necessità».
 
Luca Banchi è entrato nella storia del basket meneghino sfondando la porta principale. Nessuno aveva vinto a Milano al primo anno di conduzione. Un pensiero sul tuo capo allenatore?
«Dire che io abbia grande stima di Luca Banchi, il giorno dopo che ci ha portato tutti a vincere lo Scudetto, direi che è acqua fresca. Ti dico però che a me non basta apprezzare un coach perché è bravo nel suo lavoro. A me piace lavorare con persone che abbiano grandi valori di riferimento. Il curriculum di Luca e il suo palmares parlano per lui e io non posso aggiungere nulla di interessante, oggettivamente. Posso invece parlarti di come il mio capo allenatore sia uomo di principi e valori e che non ci sia mai passato sopra quest’anno. Questo è per me un aspetto molto importante, perché nei momenti più difficili avrebbe potuto essere paraculo e invece non lo è stato. Così come non è stato neanche testone. Io credo che la somma, fra essere uomo di valori piuttosto che testardo ed essere uomo di principi piuttosto che paraculo, ti porti ad allenare una squadra storica come Milano, altrimenti non ci arrivi. Luca ha saputo essere uomo di principi, fedele ai propri valori e intelligentemente flessibile. E abbiamo vinto lo Scudetto».
 
Sento voci di sottofondo, ma dove stai?
«Sono in bicicletta a Milano, stazione Porta Genova. Sto aspettando un amico di Teramo, che ieri sera ha visto Gara 7 e mi sta raggiungendo con i mezzi. Sto parlando con te ad alta voce ormai da un po’: per fortuna che lo faccio in una zona in cui non sono l’unico tipo strano. Però se continuo a parlare ad alta voce “da solo” per risponderti, fra un po’ mi toccherà schivare richieste di sostanze stupefacenti...».
 
Hai ragione. Provo a non farti arrestare per vagabondaggio: le ultime tre e ho finito. Ogni tanto, parlando con coach Stefano Vanoncini, osservo che fare l’assistente porti i casini di fare il coach, senza però darti le medesime soddisfazioni. Tu hai iniziato da coach nella femminile, poi l’assistentato a Gramenzi, poi di nuovo capo allenatore, adesso assistente Campione d’Italia e in Eurolega con Banchi. Il futuro che immagini?
«Assistente bicampione d’Italia e in Eurolega...».
 
Adesso che fai, te ne vai in vacanza in qualche paradiso tropicale?
«Me ne vado in vacanza una settimana intera, a Milano. Devo guardarla come non l’ho ancora mai vista. Conosco soltanto il mio quartiere, Fiera, che è bello. Ma Milano è anche molto altro e adesso voglio impiegare 7 giorni per conoscere meglio la città in cui vivo».
 
Forza, lasciaci con il programma del perfetto turista intellettuale...
«Prima di tutto Brera, in Vicolo Piero Manzoni. C’è questo “Bar Jamaica”, che trasuda arte e cultura. Ci sono già stato, ma devo tornarci, con calma, a mangiare. Poi voglio visitare i quartieri periferici di Milano. Io lavoro per l’EA7 e ho visto finora il meglio, il top. Perciò devo guardarmi qualche quartiere non del centro e osservare la vita di periferia di una metropoli del nord. Luoghi di aggregazione, baretti, ristorantini: insomma, voglio guardarmi un po’ intorno».
 
Grazie della chiacchierata, Canc. Dimenticavo... qual è la canzone alla quale hai associato lo Scudetto?

 
ROSETO.com > Archivio
MASSIMO CANCELLIERI
 
9 Giugno 2006
IL DIARIO DEL ‘CANC’
Massimo Cancellieri scrive a ROSETO.com il Diario della sua ottima stagione a Montecatini.
 
9 Dicembre 2011
MASSIMO CANCELLIERI: LA FORZA TRANQUILLA CHE SOGNA DI PORTARE UNA SQUADRA IN EUROLEGA.
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