Teramo Calcio promosso in Serie B
MARCELLINO, CUORE IMPAVIDO E CERVELLO FINO.

Intervista a Marcello Di Giuseppe, direttore sportivo del Teramo Calcio.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Sabato, 02 Maggio 2015 - Ore 23:45
Roseto degli Abruzzi, metà Anni ’80 del secolo scorso, Campo dei Preti. Un ragazzo che gioca in difesa, un secondo dopo essere stato uccellato dall’attaccante nonostante il raddoppio portato e la chiusura sulla bandierina del corner, scoppia a ridere e caccia un urlo: “Fermati, Marcè! Fammelo rivedere...”.
 
“Marcè” era Marcello Di Giuseppe e il difensore ebbe il grande merito di “prenderla bene”, sdrammatizzando l’immaginifico dribbling subito da lui e dal suo compagno attraverso l’insolita richiesta, richiamando l’attenzione anche di noi ragazzi amanti della pallacanestro, che giocavamo a fianco del campo da calcio e gettammo l’occhio seguendo divertiti il siparietto.
 
Era successo che “Marcellino” Di Giuseppe era uscito da un “culo di sacco”, composto dalla bandierina del corner e da due difensori che lo avevano chiuso, con un gioco di prestigioso tanto inspiegabile quanto bello e che uno dei due difensori voleva rivedere la lisergica carambola che aveva permesso a quel ragazzino, non troppo alto e massiccio (coi capelli a caschetto, se ben ricordo), di ritrovarsi solo e palla al piede.
 
Questo è il ricordo che ho di Marcello Di Giuseppe, classe 1968, sposato con Simona e padre di Federico di 8 anni. Oggi l’immagine è diversa. Smessi i panni del calciatore (e lasciata buona parte dei capelli sulla strada degli anni), Marcello è il direttore sportivo del Teramo Calcio che da poche ore ha ottenuto la storica promozione in Serie B.
 
Di Giuseppe, che dal campionato 2011/2012 è al Teramo, prima di fare il dirigente sportivo è stato calciatore. Bomber con una lunga carriera tutta in Abruzzo, dopo gli inizi a Roseto ha giocato a Sant’Egidio, Teramo, Nereto, Notaresco, Morro D’Oro, Roseto, Alba Adriatica e Francavilla.
 
Ecco l’intervista all’ennesimo “rosetano da esportazione”, bravissimo nel suo lavoro.
 
Marcello, un calciatore a Roseto, terra di basket. Come mai?
«Da piccolo, come tutti i rosetani, giocavo anche a basket. Ho scelto il calcio perché avevo più passione e fisicamente ero più adatto, ma mi ricordo perfettamente il Roseto Basket della prima Serie A, con Pondexter, Quercia, Fortunato, e Speicher arrivato al posto del tagliato Norris».
 
Non è automatico per un calciatore diventare allenatore o dirigente sportivo. Tu come sei diventato direttore sportivo?
«In modo naturale. Nel mio ultimo anno da giocatore, ad Alba Adriatica, il presidente Di Cristofaro decise che avrei fatto anche il direttore sportivo».
 
Oltre la figura dell’allenatore/giocatore! Sei stato un precursore, direi...
«Sì. Ero giocatore, anche capitano, e direttore sportivo, ma non ricordo frizioni. Con il mister e la squadra la vivemmo tutti bene. Per me, poi, fu un anno molto formativo».
 
Dal campionato 2011/2012 sei il direttore sportivo del Teramo. Com’è nato il contatto e com’è stata, finora, questa esperienza professionale?
«Non è mio costume propormi e infatti fu il presidente Campitelli a cercarmi. Dopo un colloquio approfondito firmai ed eccoci qua».
 
Dire che sono stati anni ricchi di soddisfazione appare, dopo la Serie B, persino riduttivo...
«3 campionati vinti e una finale playoff in 4 stagioni, oltre a un campionato vinto da calciatore. Diciamo che Teramo mi porta bene».
 
C’è un aggettivo per questo quadriennio?
«Non riesco a dirti nulla adesso, sono ancora troppo coinvolto. Nel mio ruolo, gestendo circa 40 persone, il coinvolgimento e il mettere tutto se stesso in un progetto è fondamentale, anche per motivare chi ti sta vicino. Per cui adesso direi che ancora non mi rendo conto. Però so che il Teramo, in 102 anni di storia, così in alto non c’era mai arrivato. Quindi direi che l’aggettivo “fantastico” può andare bene».
 
In queste quattro stagioni gli allenatori sono cambiati, ma il direttore sportivo è rimasto. Qual è il segreto per durare, vicino ad un patron vulcanico come Luciano Campitelli?
«Un bravo direttore sportivo, e un bravo dirigente più in generale, deve capire con chi ha a che fare e comportarsi di conseguenza. Quando sei a fianco di un presidente come Campitelli, che ama apparire, devi prima di tutto saper stare un passo indietro. Anche perché tu puoi essere anche bravo, ma se non hai un presidente che ci mette i soldi non vai da nessuna parte».
 
Perché hai ingaggiato mister Vivarini?
«Dopo due anni alla grande con Cappellacci, i risultati erano arrivati ma i rapporti non erano più ottimi e quindi bisognava cambiare. Io avevo l’idea Vivarini per due motivi. Il primo, ovviamente, è il suo indiscutibile valore. Il secondo è invece il fatto che lui era reduce da un esonero stranissimo, quindi vedevo in lui non solo un ottimo tecnico, ma anche un allenatore con dentro la rabbia positiva di chi sa di aver subito un’ingiustizia».
 
Come definisci Luciano Campitelli?
«Un perfezionista che vuole sempre il massimo e ti stimola in continuazione in tal senso. Sia a lui che a me non piace tanto partecipare... forse è per questo che siamo insieme da tanto tempo. Io amo correre sempre per vincere e non guardarmi indietro, se non a fine stagione quando si fanno i bilanci. Lui è un vincente che vive di entusiasmo, quindi vietato deprimerlo parlandogli di salvezza, sofferenze e altre cose tristi. Anche perché lui spende soldi e si merita di gioire, non di stare male».
 
L’esonero di mister Vivarini analizzato in chiave rivincita, l’entusiasmo di Campitelli da rinfocolare... anche da giocatore avevi questa raffinato talento da psicologo?
«No, sono cambiato moltissimo rispetto a quando ero giocatore. E, parlando di psicologia, direi che oggi più che mai è importantissima. In tutte le cose».
 
La vostra cavalcata trionfale va oltre il calcio. Siete coscienti di avere una funzione di tonico per una città intera o, meglio, un intero territorio?
«Teramo, come del resto l’Italia intera, vive da anni le difficoltà della crisi economica. Per questo aver creato qualcosa di inaspettato, che porta entusiasmo a una città intera e alla provincia, è stupendo e ci soddisfa oltre lo storico risultato sportivo».
 
Campionato 2015/2016 di calcio di Serie B. Ci sarà anche il Teramo. È un pensiero che ti dà più paura o più carica?
«La paura lasciamola per altre cose. Con la promozione finisce un ciclo. Adesso bisogna riprogrammare e capire come andare avanti e con quali obiettivi. Bisognerà mettersi al tavolo e affrontare un discorso articolato, ma questo mi dà tanto entusiasmo».
 
Qual è il tratto principale del tuo carattere?
«Come ti dicevo, sono cambiato moltissimo rispetto a quando ero un giocatore. Adesso direi di me che sono pacato e cioè il contrario di com’ero in mezzo al campo. Adesso prima di rispondere conto fino a 10, magari a 100, perché il mondo del calcio è particolare e ricchissimo di pressione. Bisogna ponderare, ragionare. Io non ero così, ci sono diventato. Altrimenti non potrei fare il lavoro che faccio».
 
Il tuo campione preferito?
«Quando giocavo, e nonostante io sia juventino, ero matto per Maradona. D’altronde, era il più forte di tutti. Crescendo, oggi ti dico che un campione “totale” è Marco Van Basten».
 
Il tuo allenatore preferito?
«Pep Guardiola, perché racchiude in sé tutto: un grande gestore, uno dei pochi ancora in grado di insegnare calcio, uno capace di dare una propria impronta vera a una squadra. In Italia, vorrei menzionare Maurizio Sarri, allenatore dell’Empoli in cui gioca il rosetano Daniele Croce. È davvero bravo ed è un peccato che sia arrivato così tardi in Serie A, ma spero che possa fare ancora tanta strada nella massima serie».
 
Hai un modello di riferimento fra i direttori sportivi?
«Guardo tutti e cerco di apprendere da tutti, senza però dipendere da nessuno. Imitare non aiuta ad avere le idee chiare ed essere se stessi è sempre la cosa migliore, anche se la più difficile. A livello alto, ti dico Walter Sabatini della Roma. Fra gli emergenti, ammiro il lavoro di Cristiano Giuntoli, direttore sportivo del Carpi promosso in Serie A, che ho il piacere di conoscere e che ha dimostrato come fare calcio di vertice anche senza essere una piazza importantissima e senza avere una società che spende e spande, bensì lavorando sodo e programmando il futuro».
 
Un buon direttore sportivo, in 3 concetti?
«Riflessività, pacatezza, capacità di gestire lo stress».
 
Se non avessi fatto il tuo lavoro, cosa ti sarebbe piaciuto fare?
«Non lo so, perché sto facendo quello che amo fare e non mi sono mai posto il problema di fare altro. E questo è stato possibile soltanto grazie al grande aiuto dei miei genitori e di mia moglie, che non mi hanno mai fatto pesare le mie scelte né ostacolato in ciò che amavo fare».
 
La tua idea di felicità?
«La famiglia. Lavorare a Teramo e tornare la sera in famiglia nella mia città. Sono rosetano, devo vedere il mare almeno una volta al giorno».
 
Cosa fai per gestire lo stress?
«Di notte dormo poco e lavoro tanto. Stare solo e lavorare nella tranquillità notturna mi aiuta a scaricare le tensioni accumulate durante il giorno».
 
Hai un hobby?
«Il tennis. Gioco contro il mio amico d’infanzia, che per uno scherzo del destino è anche il medico del Teramo Calcio, Carlo D’Ugo».
 
Torniamo alla famiglia. Di cosa non si parla mai in casa tua?
«Non abbiamo censure. Parliamo di tutto, avendo cura, mia moglie ed io, di fare da guida a nostro figlio su alcuni argomenti delicati».
 
La qualità che preferisci in una persona?
«L’umiltà, anche se sembra un concetto banale. Essere sempre te stesso, ricordandoti da dove vieni».
 
Il personaggio pubblico più ammirato?
«Pepe Mujica, l’ex presidente dell’Uruguay che gira con un vecchio “maggiolone” e dice cose eccezionali».
 
Hai un motto?
«No, ma mi emoziona sempre il discorso di Mel Gibson, che interpreta William Wallace, nel film “Braveheart – Cuore impavido”. Sono le parole di uno che aveva coraggio e non si tirava indietro».
 
Grazie della disponibilità, Marcello. E complimenti per questa storica promozione. Ti meriti di rivedere il discorso di Braveheart...
 
 






Stampato il 09-17-2025 05:42:06 su www.roseto.com