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IL GIOCO DELLE CARTE (LA PRETLOTTE)

Il mio contributo alla antologia sulla resilienza, curata da Cristian Palmieri.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Mercoledì, 19 Settembre 2018 - Ore 10:45

IL GIOCO DELLE CARTE
(La “pretlòtte”)


- Che carta è? Sterì, che carta è?


- Non lo so Giuvà… lasciami stare...

- Mo’ mi arrabbio! Guardala e dimmi che carta è…

- Un cinque…

- Un cinque di cosa? Forza, mo’ mi arrabbio ti ho detto…

- Un cinque... di spade…

- Brava. Dai, continuiamo…

- Non c’ho voglia Giuvà… lasciami stare.

Inverno 2006.
 
Nonno Giovanni, seduto sullo strapuntino del camino acceso per scaldarsi la schiena, dispone le carte su un piccolo sgabello a tre piedi e organizza una sorta di contro-solitario terapeutico.

Serve a Nonna Scolastica – detta Esterina, o Ester – per tenere allenata la testa.

Serve per distinguere, contare, mettere ordine. Una specie di palleggio fra spade, bastoni, coppe e denari.

Serve per tenere alta l’attenzione nelle lunghe sere d’inverno, quando fa notte presto e gli anni – 81 per la Nonna e 86 per il Nonno – si fanno sentire ancora di più.

Il “gioco delle carte” lo ha consigliato al Nonno il medico di famiglia e Giovanni, come fa per tutte le cose – dal travaso del vino dalla damigiana alle bottiglie alla bollitura delle bottiglie di pomodoro, dal maiale spezzato alla cura del giardino, fino alla pulizia delle scale – si è messo d’impegno: ogni sera fa sedere ‘Sterina e inizia ad incalzarla.

Gira una carta e chiede. Paziente, se la sua bella incespica, si ferma, le tende la mano e ricomincia. E 40 carte, a volte, non finiscono mai.

Una sera, salito per dare la buonanotte, li ho visti e ho seguito, tifando ‘Sterina, quel contro-solitario terapeutico a due.

Li ho salutati con un bacio a testa, poi, scendendo le scale, ho iniziato a vedere sfocato.

E ho capito cos’è l’amore.


Così scrivevo il 12 ottobre 2007, giorno del mio 38° compleanno, pensando ai miei nonni materni, alle prese con le prime avvisaglie di demenza senile di Nonna, combattute da Nonno con l’arma dell’amore e della cura.

Poi le cose, nel lento scorrere del fiume della vita, sono arrivate fino al delta che porta al mare della morte.

Nonna Scolastica, detta ‘Sterina, se n’è andata nel 2011 a 85 anni, Nonno Giovanni nel 2015 a 94, entrambi fiaccati dalla demenza senile che per Nonno è stata un maglio, mentre per Nonna la goccia che ha scavato la roccia.

Andandosene, mi hanno lasciato in un deserto quotidiano progressivamente più secco e arido, perché vicino a loro avevo deciso di vivere e crescere e a loro sono stato vicino – insieme ai miei genitori – accompagnandoli fino all’ultimo saluto.

Anno dopo anno, prima senza Nonna e poi senza Nonno, già adulto e legatissimo a loro (non ci sono stato soltanto nel 1989, l’anno del servizio militare in Marina, diviso fra un mese a Taranto e undici a Ravenna), è stato sempre più difficile riempire di contenuti una vita alla quale, da un giorno all’altro, sono mancate due gambe del tavolo affettivo composto dai due nonni materni e dai genitori.

Due gambe non bastano a tener in piedi un tavolo, perciò ho lavorato giorno per giorno per sublimare la rabbia per le due assenze, facendola diventare la terza gamba che mi serviva per tenere il piano e ritrovare un equilibrio, per quanto precario. In fondo, siamo pur sempre sotto il cielo...

Ho incanalato la rabbia nel fiume della serenità, scoperto ripercorrendo i moltissimi giorni felici passati insieme. E pure quelli cupi, in verità pochi.

Non ho mai perso un’occasione per abbracciarli, per baciarli, per dire che volevo loro bene e che la nostra unità familiare era più forte di qualsiasi maroso portatoci a riva dalla vita. Essersi detti tutto, sempre, è servito molto. Soprattutto ripensandoci.

Mi sono riappropriato dei moltissimi momenti belli e ho preso coscienza della mia fortuna, ad averli avuti al mio fianco fino a tarda età potendoci dividere l’esistenza nel modo più pieno e operoso.

Il sorriso definitivo mi è tornato all’alba di un mattino del 2018, quando mi sono svegliato di soprassalto, ricordandomi un sogno vissuto in modo incredibilmente vivido. Ero andato a trovare i miei Nonni in un posto in montagna: una radura piena di verde con una bella casetta. Erano lì ad aspettarmi e ho parlato loro a lungo, raccontando di questi anni in cui erano andati lontano. Ho chiesto quando sarebbero tornati e ricordo il sorriso di Nonno Giovanni, mentre inizia a rispondermi... poi il mio risveglio, con la paura che vira in serenità e accettazione.
 
Da quel giorno vado avanti col mio tavolo sghembo, che da quando non ci sono più i Nonni ha tre gambe. Come la “pretlòtte”, lo sgabellino con tre soli piedi per stare seduti vicino al camino o che qualche anno fa serviva per assistere a qualche pubblica manifestazione in piazza, quando ognuno si portava la sua.

Vado avanti con la mia “pretlòtte”: la stessa sulla quale Nonno disponeva le carte quando giocava con Nonna, difendendo la vita con l’amore e la cura.


Luca Maggitti


Autori Vari a cura di Cristian Palmieri
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Arte e cultura per rinascere
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