Donne che fanno imprese [Giannicola De Antoniis Bacchetta]
FRANCESCA D’EMILIO

Giannicola De Antoniis Bacchetta, business coach rosetano, intervista imprenditori e liberi professionisti che hanno avuto successo.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Luned́, 29 Luglio 2019 - Ore 19:00

In questa quindicesima intervista ho incontrato Francesca D'Emilio, Medico chirurgo e Nutrizionista, libera professionista. Ci dirà cosa intende per Nutrizione, perché è diventato un Business, cosa significa il cibo e la sua valenza simbolica, l'importanza del ricordo, del territorio, dell'incontro tra paziente e dottore, tra familiari, con la tradizione e con se stessi. Ci dirà quali sono i Valori alla base del suo Successo, in più ci suggerirà straordinarie e inaspettate combinazioni di pasti e tanti consigli per piccoli cambiamenti di stile di vita che passano per la tavola e tanto altro ancora…

Come succede sempre, in questa rubrica, condividiamo punti di vista utili grazie ad imprenditori, Liberi Professionisti e Manager a chi ci legge. I consigli che daranno oggi i nostri due ospiti sono di inestimabile valore sia dal punto di vista della vita personale che professionale.

In più ci tengo a precisare che queste interviste non servono per far emergere, incensare o adulare il personaggio di turno ma esclusivamente per dar loro la possibilità di essere utili. Ci offrono spunti pratici e pensieri interessanti per dar forma ad un futuro migliore, per chi sa e vuole approfittarne, attraverso questa memoria scritta.

Niente è più interessante del Modello Mentale, dei Pensieri, dei Presupposti, delle Credenze, della Visione di Persone e Manager che ce l’hanno fatta, di Imprenditori Innovativi, di Liberi Professionisti all’avanguardia, che si raccontano con il loro personale modo di esprimersi, con il loro singolare linguaggio.

Perché, alla fine, l’elemento indispensabile è sempre lo stesso: le Persone.
E nessuno dovrebbe mai fare l’errore di preferire un oggetto ad una bella conversazione…

Per questo spazio ringrazio Luca Maggitti, perché senza di lui tutto questo non si sarebbe realizzato.

Ognuno come può…
Abbi Gioia!


Giannicola De Antoniis
Business Coach


PS - Alla fine, trovi il link per vedere il video integrale dell’intervista
https://www.singolarmente.net/francesca-d-emilio e in più, una volta dentro l’area riservata, puoi scaricare 4 report in omaggio che ti aiuteranno nel tuo Business e molte altre risorse preziose.

              
Quindicesimo appuntamento con “uomini che fanno imprese” e oggi, ovviamente, la declinazione è al femminile perché abbiamo con noi la dottoressa Francesca D’emilio, medico chirurgo, nutrizionista e libera professionista. Come al solito diamo consigli per quanto riguarda il business e quindi oggi parleremo della sua professione e della della sua attività nello aiutare le persone sia dal punto di vista nutrizionale ma anche dal punto di vista umano, personale, di aiuto. Se devo pensare a Francesca quello che mi viene in mente sono due cose: che con il cibo e con il sorriso si aiutano le persone a vivere meglio. Oggi conosceremo la sua professionalità e la sua umanità che mette a disposizione di tutti i suoi clienti.

Giannicola: Francesca ben arrivata e iniziamo subito con la prima domanda: cosa significa nutrizione?
Francesca: bella domanda! Anche perché ha un'accezione nuova, è un termine nuovo, degli ultimi 40 anni. Prima si parlava di dietologo alimentarista. Nutrizione, quindi nutrirsi, fa riferimento invece ad una funzione biologica involontaria. Il primo atto è quello che porta il cibo alla bocca e fin li è una funzione volontaria, dopodiché ‘nutrizione’ fa riferimento invece ad una funzione biologica. Infatti le sostanze vitali e i principi nutritivi che l’alimento contiene compiono, nel nostro organismo, attraverso quel mirabile sistema che è il metabolismo. Ecco quindi che si fa riferimento alla funzione biologica che è cosa diversa invece dall’alimentarsi e dal mangiare, perché con questi termini si intende invece un atto volontario. Con il termine ‘mangiare’ infatti noi indichiamo assunzioni non solo di cibo come pezzi solidi ma noi mangiamo anche la tradizione, anche le regole: per esempio mangiamo con la forchetta. Mangiamo le usanze, le abitudini, etc… Quindi il termine ‘mangiare’ evoca molto di più e rappresenta molto di più di ciò che è.
 
G: Esatto. Ottima introduzione che ci fa capire che c'è un mondo oltre quello scientifico che è anche sociale, è anche personale, è anche familiare e così via… Poi andremo a visitare insieme questi aspetti, dove il cibo diventa un simbolo. Tanto è vero che se penso a una manifestazione come lo sciopero della fame, ad esempio, il cibo può essere un rifiuto in senso di protesta. Quindi il cibo come simbolo. Ma di cosa?
F: Feuerbach diceva: “siamo ciò che mangiamo”. Sì, perché tutto ciò che mangiamo diventa unghia, pelle, sangue, ma anche idee, comportamenti e azioni. Quindi non mangiare qualcosa significa non essere solidali con quell’idea, con quel comportamento. Quindi è un segno molto forte. Il rifiuto del cibo vuol dire che io rifiuto questa funzione biologica che è la vita e che ci accomuna tutti. Rifiutandola è un grande segno di protesta, è dire no a qualcosa anche socialmente - ricordo Pannella - ma può essere anche un rifiuto nella patologia alimentare perché il cibo è molto più di ciò che è, ed oltre al valore nutrizionale e alla funzione biologica che svolge nella vita, come dinamicità, quindi porta con sé tutto ciò che rappresenta: usanze, tradizione, affetto, solidarietà o anche, quando è vissuto male, frustrazione, fallimento, rabbia, sofferenza. Quando si scollega a tutto ciò che rappresenta, ecco che può diventare esso stesso un simbolo unico. Cioè non è più lo strumento per sopravvivere, quindi non è più il cibo che ci aiuta a vivere ma è esso stesso - si dice - “il campo di una battaglia che si svolge altrove”. diventa lo strumento attraverso il quale io parlo e comunico e dico qualcosa quindi anche un no, anche una protesta.

G: Perché, e come, il nutrirsi è diventata una professione, un business?    
F: allora, molto interessante! Perché ci sono tre anelli di una catena: il primo anello è la prevenzione, il secondo è la diagnosi precoce e il terzo la buona cura. Di solito il medico arriva alla fine, all'ultimo anello, quasi in emergenza, quando la patologia purtroppo è già manifesta, quando già c’è una diagnosi. Ora quello che la medicina ha iniziato a capire, già cinquanta anni fa, è stata l'importanza della prevenzione e cioè agire sui fattori di rischio e su ciò che determina l’ammalarsi. Su questo campo della prevenzione possiamo agire tutti, perché tutti noi possiamo imparare a scegliere ciò che ci fa bene, quindi evitare ciò che in questo momento per la propria vita, per le proprie condizioni di salute ci fa male. Ecco che la prevenzione, la medicina preventiva, è stata sempre più oggetto di ricerca e la scienza dell'alimentazione e la nutrizione hanno aiutato i medici in questo arduo compito di prevenire le patologie e di agire sui fattori di rischio attivando i fattori di protezione. Tutti sappiamo come l'aumento del colesterolo nel sangue, della glicemia, l’ipertensione, la circonferenza vita, sono fattori di rischio per le patologie vascolari, le patologie metaboliche, che sono comunque la prima causa di morte nel mondo, quindi agire sui fattori di rischio significa prevenire la possibilità di ammalarsi.
          
G: Insomma, il messaggio è chiaro: “UOMO AVVISATO MEZZO SALVATO”. Carlo Petrini - fondatore di slow food - dice: “ho bisogno di conoscere la storia di un alimento, devo sapere da dove viene e devo immaginarmi le mani che hanno coltivato, lavorato e cotto ciò che mangio”. Quindi la tua Singolarità, oltre ovviamente ad aiutare le persone a stare in salute, offre qualcosa in più. Vuoi spiegare meglio come aiuti le persone, per esempio a fare la spesa, oppure come diventare più consapevoli di certi aspetti oltre a quello del sedersi semplicemente a tavola e mangiare?
F: L’uomo fa parte del sistema: sistema uomo-ambiente. Non viviamo soli e “nessun uomo è un’isola” - diceva Bob Dylan ed è proprio così - quindi siamo inseriti in questo sistema, nel nostro ambiente, e noi riscopriamo il nostro istinto e le nostre tradizioni. Anche la nostra genetica, per esempio, ci dice molto sull'imprinting e su quello che mi può far bene e mi può far male, quello che può essere dannoso o può essere invece operoso per me. Sicuramente in questo viaggio di conoscenza sul mio stato di salute, sul mio metabolismo, sul mio stile di vita, delle mie tradizioni, della mia genetica, c'è anche la conoscenza il mio territorio, della mia famiglia, delle mie usanze, delle mie abitudini. Anche perché il cibo evoca tutto ciò. Il cibo ci riporta indietro nella memoria e questo ci aiuta a capire quanto sia fondamentale essere consapevoli delle scelte che facciamo, di ciò che mettiamo nel piatto, per non trovarci qualcosa che non sappiamo da dove viene, che cos’è, chi l’ha preparato, perché è stato scelto. La conoscenza di noi stessi deve essere abbinata, secondo me, alla conoscenza del territorio e di quello che ci offre la natura in base alle stagioni. Così è nata la spesa guidata.

G: se vuoi spiegare cos’è e che cosa fai con i tuoi pazienti?
F: sì naturalmente oltre alla visita ambulatoriale e la verifica sul corpo, che comunque ci dà sempre una prova e aggiusta un po’ il tiro del lavoro che stiamo facendo - quindi ci dice se stiamo andando nella giusta direzione oppure no - è bello anche fare esperienza e quindi andare direttamente presso l’azienda del giardino officinale, alla scoperta degli aromi delle piante officinali, ma anche degli aromi che si usano in cucina. Per esempio ridurre il sale - nella dieta iposodica - può essere visto come un sacrificio ma se io so che il semino di sesamo comunque dà gusto ugualmente al mio cibo, che la fogliolina di basilico in questa stagione mi dà un profumo in più e al tempo stesso capisco che c'è un atto d'amore che faccio nei miei  confronti perché metto meno sale in quanto scelgo di volermi bene, in questo modo attribuisco a quella scelta una motivazione più forte, una consapevolezza maggiore. E tutto questo è reso possibile semplicemente dal giro nella macchia mediterranea presso il giardino officinale.

G: Quello che penso, parlando con te, è che si scoprono dei mondi che esistono ma di cui non conosciamo l’esistenza. È molto utile questa tua iniziativa che insegna ad aggiunge consapevolezza ai tuoi pazienti. Quali benefici porta questa tua attività?
F: Sicuramente motiva di più al cambiamento, lo rende possibile e crea un rapporto di fiducia. Quindi nella relazione di affidamento al terapeuta c'è questa esperienza che crea la base per poter poi cambiare qualcosa a casa. Perché i cambiamenti devono essere graduali e non repentini e quindi devono avvenire in un percorso. Andare anche alla fattoria didattica, scoprire il miele, la cera, sono tutte esperienze che vengono inserite nella dieta e quindi poi nel nuovo menù settimanale, nella nuova ricetta, nel nuovo abbinamento. Poi vengono verificate insieme, di volta in volta, se sono piacevoli perché dobbiamo sempre mangiare quello che ci piace altrimenti non funziona nulla! Nel frattempo, in questo modo, si recuperano anche le tradizioni che purtroppo abbiamo perduto e questo va detto. Sono in realtà le tradizioni e la storia alimentare nostra, dei nostri nonni, della nostra famiglia. Mi ricordo il chiodo di garofano nel sugo di mia nonna. C’era questa usanza, questa conoscenza, questa saggezza popolare per cui si usavano alimenti naturali in cucina che non rappresentavano fondamentalmente delle miscele di grassi, di sale e di zuccheri come accade oggi. Questi sono i surplus che l’industria, oltre a tutti gli additivi chimici, i conservanti, i coloranti, i gelatificanti, gli addensanti, etc.. ha inserito sulle nostre tavole e sono tutti aromi che in realtà danno un sapore, un gusto a un cibo già impoverito per questioni igieniche.

G: Tu conosci Luca Mettimano (titolare del ristorante Osteria dei Sani di Notaresco), già ospite di questa rubrica “uomini che fanno imprese”, e l'altro giorno, parlando con lui, mi ha dato una sintesi perfetta di quello che accade oggi nel mondo dell’alimentazione. Mi diceva che i ricchi producono il cibo per i poveri e che i poveri producono il cibo per i ricchi. Sei d’accordo?
F: È vero. È accaduto proprio questo: che le classi più deboli, anche culturalmente più sofferenti, mangiano cibo industrializzato che poi è un cibo svuotato di nutrienti. È un cibo prodotto da chi fa esclusivamente profitto (dai ricchi) e riempito invece di questi surplus di cui dicevo prima che c’intossicano in realtà. Anche questa epidemia di obesità non è più un obesità da iper-alimentazione ma un'obesità invece da malnutrizione. Cioè noi ci riempiamo di cibi fortemente calorici ma fortemente anche impoveriti di quello che invece ci nutre e nutre una flora batterica sana e quindi tutto il proprio stato di salute. Invece i ricchi, giustamente, si nutrono di queste eccellenze prodotte da chi fa ancora sacrifici e quindi da chi tratta il cibo come un dono, come frutto del sacrificio e come qualcosa di non scontato, ancora di raro, di stagionale, offerto dalla terra. Non è più un cibo impoverito ma un cibo integro di tutte quelle fibre, quelle vitamine e minerali che in realtà ne caratterizzano proprio il valore nutrizionale e quindi è quello che solo madre natura sa fare in questa sua sinergica perfezione. Mi viene sempre in mente il pane nero, all’inizio del novecento, quando ci fu la grande rivoluzione industriale: il pane era nero perché naturalmente pieno di crusca, macinato a pietra,  difficile da masticare e soprattutto non lievitava, quindi non si poteva usare per fare i dolci. Quando la farina fu raffinata, iniziarono ad esserci i dolci soffici e mangiare dolce soffice era indicativo di appartenenza alla borghesia, cioè significava “io non sono quello che va a zappare la terra ma appartengo ad una classe più alta”, e torniamo al simbolismo di cui si accennava in precedenza. Qui si verifica la prima differenza nutrizionale che sta in quello svuotamento perché quel pane bianco, con un alto indice glicemico che alza l’insulina, dà poca sazietà, fa rivenire subito fame e quindi genera quel meccanismo che oggi purtroppo tutti noi vediamo nell’obesità. Invece quel pane nero ancora conservava il germe, la crusca, la fibra e tutto ciò che nutriva.
     
G: Francesca, ci hai fatto un po’ una microstoria dell’alimentazione e ti ringrazio perché in maniera sintetica hai espresso concetti molto interessanti ma adesso parliamo di te come persona e come professionista. Quali sono quei valori irrinunciabili che sono alla base della tua professione? E questo, ovviamente, è anche un aiuto per riflettere a chi ci legge e ha in mente di voler svolgere una libera professione.
F: Per quanto riguarda i valori devo ringraziare i miei genitori perché sono loro che mi li hanno passati come persona e poi anche come professionista. Sicuramente mi viene da pensare all’onestà intellettuale e professionale, che è poi il giuramento di Ippocrate, che i  medici fanno e cioè di non tradire mai il paziente. Questo mi aiuta a dire, e si collega molto alla domanda di prima e cioè a quando la nutrizione è diventato un business, di stare attenti alle mode. Attenzione a chi si improvvisa un mestiere perché è una scienza e quindi il valore scientifico oggi ci aiuta a scegliere la cosa giusta per una persona come risposta al suo problema, alle sue condizioni e in questo momento della sua vita.

G: Io forse l'ho detto all’inizio, non mi ricordo, ma tu sei medico chirurgo e in più nutrizionista. Invece, spesso, accade che quasi chiunque potrebbe diventarlo. E quindi?
F: Attenzione anche allo stesso ‘dottor Google’! Perché tutti ci improvvisiamo medici di noi stessi. Bisogna ascoltare il nostro istinto, però attenzione a questo tipo di approccio un po’ poco scientifico che quindi ci può soltanto fuorviare. Poi, ripeto, per molti è anche un business la nutrizione e quindi è importante l’analisi e la valutazione del corpo. Noi siamo il nostro corpo. La presa in carico di una persona non può prescindere dalla valutazione dello stato di salute e nutrizionale. Quindi attenzione a chi ci dà consigli, così, senza averci visitato, senza nessun indicatore dei fattori di rischio, indicatori di processo, indicatori di esito. È una scienza. Un consiglio per un giovane che vuole fare questa bellissima professione è quello di avere sempre un atteggiamento da discente, quindi umile, sempre in ascolto anche nei confronti dei pazienti che ci raccontano cose che siamo tentati di pensare che non siano vere. E invece anche là, mi mordo la lingua perché cerco di valutare - anche nel caso non fosse vero - perché mi ha detto una bugia. Quindi è sempre un ascolto, un’attenzione, un’osservazione, un piacere di incontrare l’altro. Questo è alla base di tutto, prima ancora di voler fare qualcosa di bene dal punto di vista professionale, è il piacere dell’incontro con gli altri e del nutrimento che ci diamo insieme.

G: Questi sono dei valori fondamentali che non sono così frequenti da trovare. Io incontro tanti professionisti, tutti i giorni, e questi aspetti dell’ascolto, del donarsi e del ricevere, sono dei valori importantissimi che ti fanno onore. Quindi grazie per averci dato tante informazioni e dei consigli sia professionali che a livello umano. In più, mi dicevi, che hai trattato in profondità tutti questi argomenti frequentando e prendendo un’altra specializzazione, come Counselor - con l’ASPIC - che è trasversale ma decisiva per il tuo lavoro sull’ascolto. In che modo ti è d’aiuto?
F: Nel cibo c’è tutto ciò. Nel cibo in realtà incontriamo l’altro, il suo mondo, la sua storia,  anche le sue dinamiche, i problemi che ha, la famiglia. La tavola deve essere sempre unione.  Dico sempre che è impossibile che la dieta possa dividere, quindi che una prescrizione medica, anche nutrizionale, possa creare divisione: c’è un errore. E ci può essere errore anche da parte mia, dell’operatore. Il cibo è unione, è alleanza, è comunione ed è anche comunicazione. Ha tutta questa valenza e anche questa potenza per cui imparare ad ascoltare l’altro e soprattutto la sofferenza dell’altro è decisivo. Perché spesso il corpo ci parla della sua storia ed è qualcosa dove noi dobbiamo sempre entrare in punta di piedi perché è qualcosa di grande e di profondo.

G: Cosa rappresenta la tavola, oggi?
F: Una grande sfida perché abbiamo creato una società che fa di tutto per togliere tempo alla tavola per cui pensiamo sempre che il momento del cibo dove essere il momento in cui portiamo i figli di qua e di là, il momento in cui facciamo un’altra attività e invece no! Perché la tavola ancora oggi ha questo grande poter di aggregazione, di unione e di alleanza, di comunicazione. È il momento in cui noi ci raccontiamo e veniamo riconosciuti dall’altro. Quindi io papà racconto quello che ho fatto, io figlio racconto le mie esperienze, ognuno nella sua diversità, però ognuno racconta la sua storia e ognuno viene riconosciuto dall’altro attraverso la condivisione nel cibo e questo, quindi ‘rende uno’. Cioè siamo tanti ma siamo insieme e siamo uniti. Questo è fondamentale e credo che ciò sia indispensabile e lo dobbiamo proteggere, dobbiamo conservarlo. Perché nella tradizione nostra, nella cultura italiana, c'è la tavola. Basta pensare al corredo delle spose! Quante tovaglie abbiamo nel corredo? O nella lista nozze non c’è il famoso servizio di piatti da ventiquattro? Ecco, dobbiamo tirare fuori corredi e servizi e stare insieme senza preoccuparci troppo del cibo. Perché questa è un’altra cosa interessante: non esiste un cibo ‘buono’ e un cibo ‘cattivo’.

G: Scusa, fammi capire: se vado a mangiare da McDonald’s, quello non è cibo ‘cattivo’?
F: Anche la patatina fritta del McDonald’s, per un adolescente - o anche per un giovane-adulto come noi due! - può avere un significato di aggregazione, di convivialità, di appartenenza al gruppo, di partecipazione, cioè “io sono qui con voi, ci sto e sono uno di voi”. Questo è fondamentale al di là dell’acrilammide, cioè la trasformazione dell’amido per lo shock termico della frittura che è cancerogena e bla, bla bla… però ha una sua valenza, anche quello ha una sua importanza. Certo, con un uso sicuramente intelligente nella frequenza e negli abbinamenti, però è contemplabile, ci può stare. È il mio comportamento che fa la differenza e non il cibo in sé.

G: Questa è una bella consapevolezza. Quindi tu dici di partire da se stessi e non dal cibo?
F: Da se stessi. È come io mi comporto e mi approccio al cibo che fa la differenza. Non è il cibo che è cattivo o buono ma è come mi approccio a lui, è come io lo guardo, lo osservo, lo accolgo come dono e lo condivido insieme agli altri. Questa è la cura che dobbiamo avere secondo me e dobbiamo poi anche recuperare perché era nella nostra tradizione che abbiamo perduto.

G: Quello che tu dici è fondamentale perché dà tutta un’altra visione anche della tua professione. Qualcuno potrebbe pensare che venire a parlare con te sia soltanto “mangia-questo-non-mangiare-quell’altro”, invece no. Tu stai adesso quasi sfatando dei tabù dicendo che non c'è un cibo buono e un cibo cattivo ma siamo noi che riusciamo in qualche modo a renderlo tale. Possiamo noi dargli un Significato?      
F: Senza mai prescindere dalla valutazione dello stato di salute, della mia persona, della genetica, della mia familiarità, della conoscenza di me in questo momento della mia vita. La consapevolezza di quello che ho nel piatto e la condivisione sono la base e anche il non averne paura. Perché non dobbiamo pensare al cibo come qualcosa di fobico ma dobbiamo recuperare quest'aspetto buono e di condivisione e di vita che il cibo ci dà e fruirne insieme agli altri.

G: Come vedi il futuro e dove stiamo andando?
F: Allora, secondo me sicuramente torneremo indietro. Nel senso che riscopriremo appunto quello che la saggezza semplice di un tempo insegnava, quindi senza avere le review o i trial clinici, etc… arriveremo a riscoprire certe tradizioni. Faccio un esempio: oggi si parla della lenta cottura degli alimenti. Ma che cos'è in fondo se non la cucina economica? Era la stufa di mia nonna! Se ci pensi era la cucina prima degli anni cinquanta, perché non c’erano i fornelli. Oggi si riparla di cucina a lenta cottura che era normale una volta. Oppure lo ‘sdjuno’. Mi piace tanto lo ‘sdjuno’! Era il nostro pasto principale. Oggi, sempre di più, si dice “colazione da re, pranzo da principe e cena da povero” ma alla cena da povero ci arriviamo solo e soltanto se abbiamo fatto il carico a monte, sei/sette ore prima, e quindi attiviamo il semi-digiuno, la chetogenesi notturna, il dimagrimento e tutta quella pulizia cellulare solo e soltanto se abbiamo mangiato tanto nelle prime ore della mattina. Tutto questo mi ricorda lo ‘sdjudo’ che per i nostri nonni, alle dieci e mezzo, era il pasto principale che facevano in campagna ed era il pane con l’olio, le uova fritte, la salsiccia, etc… C’era anche la proteina,  i grassi… Era un pasto molto completo. La semplice fetta di pane, olio e pomodoro - per dire - ha un senso e un destino a metà mattina e ne ha un altro la sera, insieme a tutte le altre cose e dopo aver saltato i pasti, dopo una giornata sfinente di lavoro.

G: Ripeto che continui ad aggiungere delle informazioni quasi imprevedibili. Ti ringrazio per questo perché sinceramente se una professionista ma soprattutto una persona straordinaria. Cioè oltre a cercare professionalmente delle soluzioni ma riesce anche in maniera sistemica a considerare tutto quello che c'è intorno, addirittura anche che cosa c’è prima e cosa culturalmente c’è alla base e che ci ha preceduto. Hai parlato dei nonni, dei genitori, della tavola, hai parlato dell’ascolto, hai parlato della comunicazione. Tutti i fattori che girano intorno al cibo. Quindi il cibo non è assolutamente l’unico elemento nella tua visione professionale. Vero?
F: Non dobbiamo avere fretta! Forse questo è anche un consiglio da dare ai ragazzi.  È logico che più siamo preparati, più studiamo, più ricerchiamo e più non abbiamo paura dell’incontro con l’altro, con il paziente e con la sua richiesta. Quindi in questo modo siamo più propensi all'osservazione e all’ascolto. La medicina, la scienza, si basa su questo ma non bisogna avere fretta. Io con le persone ci sto tanto. Poi la passione. Anche quello muove tutto. Il futuro penso che sia anche scritto nel passato. Scopro questo e mi stupisco a vedere queste cose.

G: Se volessimo dare qualche consiglio pratico a chi ci legge, consigli di stagione visto che siamo in estate, quali sono quei suggerimenti che tu puoi dare per avere maggiore consapevolezza sul cibo da mangiare iniziando domattina?
F: Che meraviglia! Be’, l'estate è la stagione dei colori. Oggi sempre di più la scienza li sta studiando e ogni colore ha un significato e una funzione nel nostro corpo e questo dice anche quanto in natura niente è sostituibile ma è tutto sinergico. Quindi in estate essendoci tanti colori dobbiamo un po’ dipingere la nostra tavola e farla diventare una tavolozza. Quindi fatte salve intolleranze, allergie ed eccezioni varie è logico che più riusciamo a variare il nostro menù con tutti gli alimenti che il sole e la terra ci offrono - non andiamo nelle serre - direi di fare il carico di vitamine, di questi composti fitochimici, di tutti questi antiossidanti  protettori dall’invecchiamento, per le patologie degenerative, cioè il carico per l’inverno. Quindi frutta e verdura naturalmente contengono composti fitochimici, fibre e vitamine contengono anche molta acqua perché la temperatura è più alta in estate quindi perdiamo più liquidi e dobbiamo anche reintegrare quindi eventualmente anche i succhi, che in inverno sono meno consigliati, non zuccherati se possibile. I succhi non sono sostitutivi della frutta, ci tengo a dirlo, perché non contengono quell'architettura insostituibile che contiene il prodotto derivante dalla natura stessa. Mangiare una pesca non è la stessa cosa che bere il succo di pesca però non è sbagliato in estate bere un po’ di succhi, magari il succo d'uva che è un grande demineralizzante di potassio. Oggi riusciamo a trovare dei buoni prodotti in vendita. Qui per esempio con la spesa guidata aiuto i pazienti a leggere le etichette quando li accompagno a fare la spesa nel mercato contadino o al supermercato per conoscere gli ingredienti e cercare di capire la provenienza. Poi esistono i succhi di frutta proprio industriali, con lo zucchero bianco, che sono molto dannosi per la nostra salute. Le bevande zuccherate sono parificate ai cibi iper-raffinati e iper-calorici quindi negli USA, dove l'obesità è endemica e lo sanno meglio di noi, la bevanda zuccherata esaurisce e anzi sorpassa il fabbisogno di zucchero giornaliero che è del 10% quello di zucchero semplice. Nelle raccomandazioni dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, nelle prime cinque regole, una di queste è proprio di evitare le bevande zuccherate. Che insieme ad evitare carni rosse ed insaccati c'è di evitare le bevande zuccherate come la coca cola e simili. Senza parlare poi del fatto che lì ci sono additivi chimici, aromi e coloranti.

G: Per esempio con questo caldo che fa, una bella birra fresca si può bere o no?
F: Se bevuta insieme, sì. La birra è molto ‘social’. Oggi ci si sono anche le birre crude quindi molto più naturali - gonfia sempre un po’ - e contiene lieviti. Quindi dipende, la birra non tutti possiamo berla.

G: C’è stato qualche errore nella tua esperienza professionale che però ti ha dato un grande insegnamento?
F: proprio perché so che la conquista è graduale e tutto ciò che si raggiunge molto velocemente, altrettanto velocemente si perde - come per i bambini che non conoscono la volontà ma l’abitudine, e quindi vanno educati - quindi come per i bambini ci vuole tempo anche per i pazienti vale lo stesso discorso dell’abitudine: dobbiamo fare la spesa in posti diversi, dobbiamo cucinare ricette diverse, dobbiamo imparare a farle e magari non piacciono e così via. È un cammino fatto di step, di incontri e quindi ci vuole tempo. Ho imparato che ci vuole tempo per fare questo percorso e le persone hanno fretta. Vogliono il risultato subito e non hanno la pazienza invece di capire e valorizzare quello che poi rinforza la motivazione, che è il successo. Per questo ci vuole costanza, impegno, disciplina. Se io ho intenzione di modificare le mie abitudini alimentari vuol dire che devo pianificare un menù diverso. E questo lo devo fare concordato con mia moglie/marito, con i bambini, con la famiglia. Non posso lasciare campo all’improvvisazione e la prima regola è che quello che abbiamo concordato di questo menù cerchiamo di rispettarlo e non mangiare cose fuori da quella da quel patto. Forse l’errore che ho fatto è stato quello di non far capire questo tempo necessario che ci vuole per ottenere un risultato, che è un percorso a tappe dove si cammina insieme.
        
G: Quali consigli ti senti di dare a tutti i ragazzi, appena laureati, che si affacciano a questa professione?
F: Già ho detto l’onestà intellettuale e professionale, quindi studiare, seguire società scientifiche, poi il confronto perché non possiamo stare soli ed esercitare la nostra professione, poi la passione e la curiosità, poi la ricerca che dobbiamo fare su di noi e quindi andare un po’ indietro nella nostra storia e nelle nostre abitudini, essere curiosi della vita dei nostri nonni e dei nostri ricordi, la nostra storia alimentar e poi lo studio del territorio che abbiamo perso. È vero che la globalizzazione del cibo ha abbattuto i costi e allungato i tempi di conservazione, ci fa mangiare prodotti che vengono da un'altra parte del mondo però ha standardizzato tutto perché io trovo sempre le stesse cose ovunque da Milano a Palermo. Trovare le biodiversità tipiche del posto sono una grande riscoperta del territorio perché nascono da quel clima, da quella terra, da qell’umidità, da quell’inclinazione del raggio solare. Quindi quello che nasce in Veneto non può nascere qui in Abruzzo. Anche questo ci fa innamorare dei posti che andiamo a visitare. Un professionista deve conoscere queste caratteristiche  e queste diversità altrimenti non può nemmeno riproporle.
       
G: Abbiamo iniziato con la mia descrizione su di te, dicendo che con un buon cibo e con un sorriso come  quello che hai tu, si fa tutta la differenza. Adesso chiudo facendoti questa domanda: “il cibo è felicità?”
F: Allora, la felicità è una condizione personale. È il come lo viviamo che ci rende felici. Mi viene da dire sì, però per molte persone, invece, il cibo è vissuto come una sofferenza, come vergogna, come un senso di colpa. Dobbiamo accogliere anche questo. Sta a noi, quindi, saperlo vivere in maniera felice e recuperare, quando questo non è avvenuto purtroppo nella nostra infanzia, e cercare di recuperare nel corso della nostra vita.

G: Ti ringrazio Francesca di questa bellissima chiacchierata.
Ognuno come può…
Abbi Gioia!
Giannicola.
F: Grazie a te. Ciao a tutti.

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Il video completo dell’intervista lo trovi su
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