Francesco Infante [The Unrestricted]
THE SARDARA METHODOLOGY: DA SQUADRA DI BASKET AD AZIENDA SPORTIVA.

Programmazione, lungimiranza e scelta delle persone giuste. Ecco come il presidente del Sassari ha rivoluzionato il modo di concepire la pallacanestro, installando il modello Barcellona in Sardegna.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Luned́, 25 Maggio 2020 - Ore 10:30

Francesco Infante è nato nel 1992, a Foggia.
Giocatore di basket, attualmente milita in Serie B con la Luiss Roma.
Dai 18 ai 26 anni ha giocato da professionista, passando anche per Roseto nella stagione di Serie A2 2017/2018.
A livello di studi, Francesco ha conseguito la laurea triennale in Lingue e Letterature Straniere, un master in Sport Management e una magistrale in Relazioni Internazionali presso l'Università LUISS di Roma.
Appassionato di viaggi, filosofie, politica, conosce e parla fluentemente anche l’inglese e lo spagnolo.
Da grande vuole diventare un produttore di olio.
Questo è il sesto articolo della sua rubrica su Roseto.com, inaugurata il 15 aprile 2020.

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Negli ultimi anni e ancor di più negli ultimi mesi si è parlato e discusso spesso del fatto che le società di pallacanestro dovessero essere viste come aziende in grado di produrre utili e non andare in rosso perennemente, così da poter risultare realmente sostenibili non dover dipendere solamente dagli sponsor.

Tralasciando Milano, il cui bacino d'utenza economico e demografico aiuta decisamente la società, che comunque in Italia non vince sempre e in Europa non vince mai, ci sono pochi club che riescono a funzionare come se fossero una vera azienda sportiva. Specialmente nelle realtà medio piccole, quelle in cui il basket però ha forte incidenza, i casi sono sporadici: Trento, Brindisi e Reggio Emilia sono riuscite negli anni a migliorare esponenzialmente il loro status, ma solo una società è riuscita a crescere e contestualmente e ripetutamente vincere: la Dinamo Sassari.

Nel primo decennio del nuovo millennio la società sarda era una buona società di B1 e Legadue che con notevoli sforzi, all’affacciarsi del secondo decennio è riuscita a conquistare la massima serie. A quel punto un giovane imprenditore, appassionato di sport, ha deciso di rilevare le quote societarie e cambiare decisamente la politica del club trasformandolo in pochissimi anni da squadra di basket in azienda sportiva, rappresentativa dell'intera regione.

Sappiamo tutti quanti titoli, coppe nazionali e internazionali ha vinto Sassari gli ultimi sei anni, ma ciò che risulta veramente strano o quantomeno inusuale per questo mondo è che le persone che sono state al timone di questa azienda negli ultimi 10 anni sono state praticamente sempre le stesse. Stesso presidente, stesso General manager (che per un periodo è diventato anche allenatore), un grande coach che ha guidato la squadra ai primi successi e da due anni a questa parte Gianmarco Pozzecco.
 
L’apporto della città e della regione è stato massiccio. I sassaresi si sono riconosciuti nella loro squadra e negli ultimi anni non c'è stato mai un seggiolino vuoto al Pala Serradimigni. D'altronde Sardara l'aveva anticipato durante la sua conferenza stampa di presentazione nell’estate 2011. In quell'occasione il presidente aveva affermato che lui e gli sponsor avrebbero fatto il miglior lavoro possibile, ma senza rapporto della cittadinanza che paga i biglietti non si sarebbe potuto ambire a risultati prestigiosi. Sardara ha compiuto un’impresa unica: ha installato il modello Barcellona in Sardegna.

Assieme alla grande professionalità però, c'è da dire che un paio di scommesse gli sono entrate. La Dinamo del 2020 ha al timone un presidente sassarese e in campo è guidata da un giovane uomo su cui pochissimi avrebbero scommesso un singolo euro: Marco Spissu.
 
Spissu per Sassari e i Sassaresi non è solo un giocatore, è Andres Iniesta, Francesco Totti, Steven Gerrard. Non è alto 2 metri, non è fisicato e non salta. A 8 anni nell’intervallo delle partite andava in campo a tirare con gli altri bambini e a 12 puliva il parquet nelle partite casalinghe, con un obiettivo ben preciso in testa, giocarle quelle partite un giorno. Se non nasci Achille però, devi diventare Ulisse e questo Marco l’ha capito subito. Dopo aver girovagato tutta Italia da nord a sud e aver compiuto mille peripezie, l’Odisseo Sassarese è tornato nella sua Itaca e si è preso il suo regno.

Ho giocato con Marco metà stagione a Bari, nella sua prima vera esperienza fuori di casa, neo 18enne sconosciuto viveva in una stanza ricavata da uno spogliatoio nel palazzetto e veniva deriso da tutti quando diceva che sarebbe arrivato a giocare in serie A nella sua Sassari.

Alla fine, però ce l’ha fatta, ha vinto la sua scommessa sportiva e adesso tutti i ragazzini sassaresi vogliono diventare Spissu, perché ogni domenica vedono in campo un normodotato che con il lavoro e la disciplina è riuscito a diventare uno dei migliori playmaker d'Italia e il simbolo della squadra.

È proprio in queste piccole cose la genialità di Sardara, che ha sempre preferito che i suoi tifosi si riconoscessero in eroi umani e non in fortissimi americani. Sardara ha tenuto come capitano Vanuzzo quando probabilmente nessuna squadra di A2 gli avrebbe rinnovato il contratto, ora tiene Jack Devecchi alla guida dello spogliatoio, perché sa che le vittorie si costruiscono dalle fondamenta.

Non dubito che il processo di selezione individuale operato da Sardara sia molto lungo e preciso ma alla fine si può dire che, tranne in un paio di occasioni in una decade, non abbia mai sbagliato.  Non si alzano trofei solo con i fenomeni, non si vincono 23 partite consecutive solo perché si cambia guida tecnica, ma serve programmazione, lungimiranza e fiducia nei collaboratori.
Sardara è riuscito a mettere in pratica tutti gli insegnamenti che ci sono sul libro del bravo presidente: ho scelto le persone giuste, ha fidelizzato la comunità, ha trovato il suo eroe omerico e ha vinto.

Nell’ultimo anno ha riportato una città come Torino in A1 ed ha subito ceduto le quote. Molti si sono indignati e hanno gridato allo scandalo. Se Sardara dovesse guadagnarci dall’operazione, non ci vedrei alcun problema. Business is Business and Basketball is Business. E quelli che criticano potrebbero comprare il libro, iniziare a studiare il fenomeno e provare a replicarlo.

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