Giovanni Galeone
BUON 80° COMPLEANNO, GALE!

Una intervista del 2002, un ricordo del 2019 e un video del 2012, per fare gli auguri a un raffinato intellettuale prestato al calcio.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Luned́, 25 Gennaio 2021 - Ore 00:37

Oggi compie 80 anni Giovanni Galeone, nato a Napoli il 25 gennaio 1941 da mamma Dorina, emiliana di Reggio e papà Corrado, abruzzese di Pescina, piccolo ma importante paese del nostro Abruzzo che ha dato i natali sia al cardinale Giulio Raimondo Mazzarino, successore del cardinale Richelieu come Principale Ministro di Luigi XIV in Francia sia di Ignazio Silone, nato Secondo Tranquilli, indimenticabile autore di Fontamara.

Nel 1948 la famiglia si trasferisce al nord, Giovanni si diploma al liceo classico e iscrive all’università, facoltà di lettere con indirizzo in storia del cinema. Poi decide di fare “il regista” attraverso il calcio... ma la cultura, la letteratura, il cinema, l’arte sono restate sue grandi passioni.

Ho conosciuto Giovanni Galeone grazie a Pierpaolo Marchetti nel 2000, perché il Gale voleva conoscere Mario Boni e Pierpaolo chiese a Giorgio Pomponi e me di organizzare una cena rosetana. Così ci ritrovammo noi cinque: il Gale, SuperMario, Planti, Big Pumps e Lucone, alla Cantina di Epicuro, coccolati da Mimmo Pelusi in sala e Marino Di Colli in cucina. Cena strepitosa, nella quale i vini li scelse Giovanni: pinot nero con gli antipasti, Chianti Castello di ama coi primi, Amarone con i secondi. Quando Pomponi e io andammo a pagare le nostre quote sembravamo Stanlio e Ollio e ci vennero i sudori freddi. Sopravvivemmo.

Da allora, sempre grazie alla generosità di Pierpaolo, ho avuto la ventura di stare ancora qualche sera con Giovanni. Soprattutto, di intervistarlo. Perché sentire il Gale è un grande arricchimento. Non soltanto calcistico.

Per il suo 80° compleanno, nel fargli i miei cari auguri di buon compleanno, ripropongo qui una intervista che gli feci nel 2002, un articolo in ricordo di una intervista pubblica del 2019 al circolo virtuoso Il Nome della Rosa e il video di una sua partecipazione in un mio programma del 2012, dove illumina legando calcio e basket.

Leggere Gale, ascoltare Gale, comprendere Gale.

Buon compleanno, Giovanni.



2002
Profilo biografico e intervista, pubblicati su IL TEMPO Abruzzo il 2 aprile 2002.


GIOVANNI GALEONE
Giovanni Galeone nasce a Napoli, il 25 gennaio 1941 da papà Corrado, abruzzese di Pescina, e mamma Dorina, emiliana di Reggio. Nel 1948 la famiglia si trasferisce al nord. Giovanni si diploma al liceo classico e si iscrive all’università, facoltà di lettere con indirizzo in storia del cinema. La sua carriera di calciatore inizia nel Ponziana, prosegue a Monza, Avellino, Arezzo e finisce all’Udinese, dove rimane per 8 anni consecutivi, chiudendo la carriera a 32 anni, dopo aver promesso di smettere se la sua squadra fosse uscita sconfitta (e perse 2-0) da uno spareggio per salire in B. Appese le scarpe al chiodo, inizia ad allenare nelle giovanili dell’Udinese, per poi andare in quarta serie, prima col Pordenone e poi con l’Adriese. Dopo aver frequentato il supercorso di Coverciano va a Cremona in serie C1, nel 1979. Scende in C2, prima nella Sangiovannese e poi nel Grosseto, prima di tornare a Udine, per due stagioni nelle giovanili. Torna ad allenare in prima squadra alla Spal, nel 1983-1984, dove rimane per 3 stagioni, prima di firmare con il Pescara, che lo chiama nella stagione 1986-1987 per gestire il team che si ritrova in serie B, ripescato al posto del Palermo. E’ la squadra di Rebonato e di Gatta, che vince il campionato. A Pescara rimane altre due stagioni di A, che finiscono nella retrocessione in cadetteria. Se ne va e firma a Como per una breve parentesi, ma torna a Pescara, per gettare le basi della seconda promozione, che avviene nella stagione 1991-1992, con la squadra di Allegri e Massara. Dopo Pescara, Galeone vince la B ancora due volte: prima a Udine, nella stagione 1994-1995 e poi a Perugia, nella stagione successiva. Firma in A, a Napoli, per poi tornare per la terza volta a Pescara. Anticonformista e spirito libero per eccellenza, Giovanni Galeone è stato uno dei primi allenatori ad applicare la zona nel calcio. Persona colta, amante della vita e lontano dai clichè dell’allenatore tutto casa e stadio, Galeone è tutto in una frase a lui attribuita: “Il quarto passaggio è monotonia”. Uomo allegro e aperto, rifugge i luoghi comuni e il calcio dei cloni che non escono dal seminato. Prendendo in prestito una celebre pennellata del cantautore Paolo Conte, dedicata a Bartali, Giovanni Galeone ha: “Il naso triste come una salita e gli occhi allegri da italiano in gita”.

INTERVISTA

Giovanni, sei un profeta della zona. Sei finito in croce come ogni profeta che si rispetti?
«Ma sai, non è detto che uno debba stare in croce a lungo. Oggi il gioco è piatto e di un profeta ogni tanto c’è bisogno. Hanno anche rivalutato Zeman».

C’è bisogno, ma intanto tu non alleni. Perché?
«Perché ho rifiutato tante offerte e perché non rubo soldi. Voglio un progetto, non fare parte di un circo».

Potresti rientrare in A, magari grazie a un procuratore influente, ma non mi sembri il tipo da inchini.
«Se dovessi rientrare, sarà senza procuratori amici e con il piacere di non aver chiesto niente a nessuno».

Luciano Moggi è il capo del calcio italiano?
«Sì, da 10-15 anni. Ha preso il posto di Allodi».

Chi sono i veri padri del gioco a zona?
«Dobbiamo cercarli prima di me: Amaral, Liedholm, Eriksonn. Poi però ci sono io con Sacchi, Orrico e Catuzzi. Oggi il 99,99% delle squadre fanno la zona».

Tu sei schietto e sembri una bestia rara. Chi ti piace, fra gli allenatori, per la sua schiettezza?
«Da ragazzo mi piaceva l’ironia di Liedholm, che veniva colta da pochi. Poi c’erano Orrico e Bagnoli. Oggi la prassi è parlare per luoghi comuni».

Se si vince è merito dell’intensità. Se si perde è colpa di episodi negativi. Se si chiede un giudizio non si parla dei singoli. A sentire i mister in TV, non hanno clonato soltanto la pecora Dolly, vero Giovanni?
«E’ il segno dei tempi. Una volta sentivi Liedholm, Bagnoli, Radice, Sacchi. Tutti avevano uno stile. Oggi è tutta maniera. Sti ragazzetti sono tutti uguali e il movimento si appiattisce sempre di più».

La vittoria più bella della carriera?
«La serie A con il Pescara e il debutto a San Siro, battendo 2-0 l’Inter».

Pescara: tema libero.
«Appena sono arrivato mi ha conquistato immediatamente. Un attaccamento da amante. Sono stato attirato dal modo di vivere, dal caos. Dal caos è nata la vita e io ho amato subito Pescara, rifacendomi a questa verità. Probabilmente è per questo che io e Pescara ci siamo sposati, perché non c’era tempo per la monotonia. Amo Pescara, caotica ma viva».

Il giocatore più forte che hai allenato?
«Baka Sliskovic. Lo so che Leo Junior, vero modello di professionalità, si incazzerebbe se mi sentisse, ma Leo stesso diceva: “Mister, se avessi il talento di Baka …”».

Molti dicono che i presidenti vogliono fare la squadra. A te è mai capitato di subire ingerenze?
«In 30 anni di carriera ho avuto presidenti anche molto carismatici. Gli amici mi dicevano di stare in guardia, di stare attento alle loro intromissioni, ma io ti posso dire, anzi ti posso mettere per iscritto, che nessuno si è mai azzardato a intromettersi nel mio lavoro, nemmeno per chiedermi la formazione».

Quali sono i tuoi svaghi e le tue passioni?
«La pesca, stare in mare. Quando ero più giovane e riuscivo a fare tante altre cose, riuscivo anche a leggere molto».

È vero che hai portato in panchina anche un libro di poesie di Prévert?
«Assolutamente no. La voce è nata da un’intervista interpretata male. Non ho mai portato un libro di Prévert in panchina, anche perché Prévert è triste. Preferisco portare 2 pacchetti di Marlboro».


2019
Calcio & Fosforo
GIOVANNI GALEONE: IL BATTELLO EBBRO DEL CALCIO, FRA PASOLINI E ALMODOVAR.
Ricordo di una serata trascorsa insieme al circolo virtuoso Il Nome della Rosa.

«Costa molto essere autentico. E in questa cosa non si deve essere tirchi. Perché uno è più autentico quanto più somiglia all’idea che ha sognato di se stesso».
Scende una lacrima sul profilo dantesco di Giovanni Galeone, che ha appena finito di citare il monologo di Agrado, ricordandosi alla perfezione quel frammento di “Tutto su mia madre” di Pedro Almodóvar: film del 1999 capace di conquistare il triplete vincendo Premio Oscar, Golden Globe e premio per la miglior regia al Festival di Cannes.
Vittoria, lacrime e autenticità.
Giovanni, intellettuale prestato al calcio, si era imbarcato nella citazione del film del cineasta spagnolo – preavvertendomi (“Adesso mi fai piangere”) –, per rispondere a questa mia domanda: “Tuo padre nacque a Pescina, piccolo ma importante paese del nostro Abruzzo che ha dato i natali sia al Cardinale Giulio Raimondo Mazzarino, successore del cardinale Richelieu come Principale Ministro di Luigi XIV in Francia sia di Ignazio Silone, nato Secondo Tranquilli, indimenticabile autore di Fontamara. La tua carriera dice che sei più affine a Silone e ai suoi amati cafoni, bistrattati dai potenti, che al cardinale e al suo essere organico al potere. Se fossi stato un po’ più malleabile, un po’ meno autentico, avresti avuto una carriera diversa, magari allenando una grande e andando oltre le 4 promozioni in Serie A? Insomma: ti saresti meritato, almeno una volta, una squadra per provare a vincere lo Scudetto?”.
La lacrima dice tutto, la citazione del monologo di Agrado aggiunge molto. Quel triplete vinto dal film credo che a Giovanni sarebbe piaciuto collezionarlo in campo, vincendo con il suo calcio autentico e sfrontato.
Che poi quel monologo è il saggio finale portato in accademia da Luca Luciani, doppiatore e attore che ha aperto la serata di martedì 17 dicembre 2019 al circolo virtuoso Il Nome della Rosa, leggendo alcuni passi del “Battello Ebbro” di Arthur Rimbaud e dedicandoli al Gale prima della mia intervista.
Poesia e sincronismi, per una serata con più fosforo che calcio, sebbene le discettazioni del Gale sul pallone non siano mancate.
E anche quando si è parlato del nostro sport nazionale non abbiamo mancato di imparare da Giovanni, che ci ha deliziato partendo dai concetti della zona applicati al calcio e mutuati dalla pallacanestro, analizzando come si difende una porzione di campo, cosa si guarda e come si tiene il corpo.
Le due ore di quel martedì sono state fitte di assist smarcanti per tutti i partecipanti. Passaggi filtranti – fra cultura e sport – con Galeone rifinitore d’eccezione. E noi, impappinati ed emozionati, tutti a sbagliare gol a porta vuota, perché insicuri di fronte a un esempio tanto fulgido di cultura, conoscenza, sensibilità.
Fra le tante occasioni di stupore, il ricordo di Galeone delle partite a pallone con Pier Paolo Pasolini (che come Giovanni aveva quel carisma naturale, grazie al quale teneva l’uditorio in pugno senza mai alzare la voce) e il suo ergersi a difesa dei campioni veri, invitando a pesare le parole quando il giovane di turno segna un paio di gol e i paragoni calcisticamente blasfemi si sprecano.
L’ultimo ricordo da condividere di quell’intervista speciale è il concetto di “allenare in armonia con la città in cui si lavora”. E cioè: un bravo allenatore deve capire il posto in cui è capitato e deve allenare in armonia con esso. Stupendo, anche se per farlo – mi permetto di aggiungere – bisogna che il tecnico abbia gli strumenti culturali per capire il posto in cui si trova. Certo, con Galeone questo non è mai stato un problema.
Qualcuno dirà che è un atteggiamento ruffiano, io preferisco pensare al concetto di armonia del tutto e di elogio della democrazia, prendendosi cura di una maggioranza di persone che esprime una identità culturale. Identità che può fortificarsi pure attraverso il tipo di calcio e di interpreti amati.
Non a caso, in una precedente intervista del 2002, parlando di Pescara, Giovanni mi disse: «Appena sono arrivato mi ha conquistato immediatamente. Un attaccamento da amante. Sono stato attirato dal modo di vivere, dal caos. Dal caos è nata la vita e io ho amato subito Pescara, rifacendomi a questa verità. Probabilmente è per questo che io e Pescara ci siamo sposati, perché non c’era tempo per la monotonia. Amo Pescara, caotica ma viva».
E qui torna, per salutarci, Agrado. Con l’inizio del suo monologo: «Mi chiamano Agrado, perché per tutta la vita ho sempre cercato di rendere la vita gradevole agli altri. Oltre che gradevole, sono molto autentica...».
Grazie, Mister. Mirabile archetipo di autenticità in un mondo con pochi discepoli e troppi epigoni.


2012
Video
TIME OUT

Giovanni Galeone ospite della trasmissione Time Out condotta da Luca Maggitti.
https://www.youtube.com/watch?v=RIjM3TLjFxc



Stampato il 12-04-2025 05:00:02 su www.roseto.com