Il Critico Condotto
LA PRIMA PARTE

Simone Gambacorta recensisce il libro di poesie di Carlo Carabba edito da Marsilio.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Venerd́, 13 Maggio 2022 - Ore 12:00

Quella di Carlo Carabba è la poesia meno ansiosa di apparire poesia che si possa incontrare.

Lo penso mentre leggo “La prima parte” (Marsilio).

È una poesia che sceglie di essere il più colloquiale possibile, aperta, diaristica. Da un punto di vista formale mi ha ricordato quel che del fare poesia dicono alcuni versi del Saramago giovane, «le parole più semplici e comuni,/ quelle spicciole, quelle d’uso di casa» (cito dall’edizione Feltrinelli curata da Fernanda Toriello).

Dal punto di vista dei contenuti, dovendo azzardare l’impresa sempre rischiosa (sempre fallace) di suggerire una possibile traccia comune a tutte le poesie (vanno dal 2001 al 2020), direi semplicemente questo: se si sta nell’acqua, si nuota. Cioè, ci si muove tra le cose per come si può intenderle; la vita la si affronta e subisce e la si attraversa e la si scopre per come si è capaci di farlo. Credo che nessuna filosofia possa escludere questo elementare punto di partenza che implica anche un patto di equilibro con la realtà.

Allora direi che le poesie de “La prima parte” (la prima parte della vita, i primi quarant’anni, spiega l’autore nella “Nota al testo”) danno voce a un “io” e questo “io” non fa altro che attendere a un compito minimo e supremo la cui importanza credo nessuna filosofia possa disconoscere. Questo “io” non fa che compiere l’atto più sensato, più generoso con se stessi e con gli altri che possa farsi, ma anche quello più basicamente “sacro” e “poetico” che possa compiersi: provarsi a dire, a registrare, a descrivere, pur nella consapevolezza di non poter completare alcuna comprensione, in che cosa consista quello che avviene in noi («a me è accaduto quello che mi accadde,/ quella cosa vivente/ detta carlocarabba/ che sempre mentre parlo chiamo io»).

Le cose che ti succedono, anche quando non nascono direttamente da te, ti danno, per un giorno o per un’età intera della vita, il loro nome. Ti si prendono, si appropriano dei tuoi pensieri, ti fanno imparare a parlare la loro lingua (senza insegnartela). Quello che ti succede “ti diventa”. Su queste cose che succedono, e che succedono a un “uno” come potrebbero succedere a un ipotetico e potenziale “tutti”, il verso di Carabba si sporge, si affaccia. Le guarda come quando ti capita per le mani un secchio e tu ci guardi dentro per andare a vedere com’è quello che altrimenti non si vede.

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