Il Critico Condotto
LA PERFORMANCE DELLE FUSA

Simone Gambacorta e il fenomeno delle presentazioni dei libri, ricco di tipologie fra le quali...

Roseto degli Abruzzi (TE)
Sabato, 10 Settembre 2022 - Ore 18:15

Di questa cosa un po’ così che esonda ubiqua, però direi anche rimbalzante, gassosa, altamente volatile, mi fa strano che sia io a parlarne. Voglio dire: le presentazioni di libri. Sono parte del mio lavoro, ne ho fatte in quantità che per mole potrei dire compatibili con i carichi della marina mercantile e altrettante ne ho ascoltate, spesso con insoddisfazione non minore di quella che mi spira contro al termine di una ove sia stato io stesso parte in causa (molto spesso però anche ne ho ascoltate di altrui con ammirazione e profitto).

Le presentazioni dei libri sono una cosa strana, ce ne sono di ogni tipo, in momenti di particolare grazia mentale sono arrivato nientemeno a ipotizzare che possano essere forme (molto laterali) di grappoli genealogici rimontanti addirittura alla commedia dell’arte, per quella mezza specie di andare a canovaccio eccetera che ne rappresenta non dico il paradigma (ormai “paradigma” è come “resilienza”, una parola che dove la metti sta bene, quindi male), ma una costante sì, forse sì, perché ogni presentazione di libro, bella o brutta, si basa (vorrebbe) su una traccia di fondo che serve per mettere in piedi la cosuccia buona ad appagare la bisogna del caso.

Ma non ho capito se è così, è un’ipotesi di lavoro di quelle che noi inconcludenti accatastiamo per lasciarle poi intoccate, come i libri che per buon proposito ci ripromettiamo di leggere d’estate, come se le estati eliminassero i tassi di interesse sulle nostre morosità culturali. Non era così nemmeno quando si veniva rimandati a settembre, figuriamoci, e sul punto dispongo di un riscontro in prima persona per aver a suo tempo esperito la gognetta di quella insulsa naia estiva.

È tuttavia inevitabile che capiti di rilevare come esse (le presentazioni) facciano gola non solo agli autori di libri più o meno (letteralmente) presentabili, ma anche a intervistatori o moderatori o conduttori o valletti o pirla o scemi (o consimili) che (discrezionalmente) reputano se stessi all’altezza del compito, benché non lo siano; tanto è vero che, alla cosiddetta prova dei fatti (alias del 9), detto compito risulta sovente espletato al di sotto di ogni ammissibile altitudine concettuale. Dicesi anche, tale modo, peracottaro.

A temporaneo parzialissimo consuntivo dicasi allora che una prima cosa che il mareggiare (licenza) pallido e assorto delle presentazioni ha dato all’universo mondo è stato lo sdoganamento del diritto di molti di sentirsi, in generale, all’altezza (una qualunque, anche minimale) di discorrere pubblicamente di un libro. Uno è all’altezza “a prescindere”, decurtisianamente. Nelle manifestazioni più severe, che possono cronicizzarsi, la licenza può farsi carpiata e capovolgersi, addirittura, nel sentirsi all’altezza del rasoterra più basico e stagnante.

Dicasi inoltre che la tipologia delle presentazioni è ampia e fra le tante modalità ve n’è una che, in questa direzione, particolarmente mi stupisce: la performance delle fusa. Siamo, qui, a una evoluzione sostanziale del genere. Chi presenta si acciambella ai piedi dell’autrice ovvero autore di turno (i quali possono cadere in correità, ma la complicità non è automatica) e comincia a prillare in una laudatio fatta al ritmo di un cip-cip canterino tutto quanto sbaciucchiato di inchini, riverenze e trattamenti d’onore profusi in modalità “macchine avanti tutta”.

Il centro del discorso, in questi casi, non è il libro, del quale comunque il presentatore – novello ostetrico di beatitudini libresche – fa apologia a pieni polmoni, quanto una specie di agiografia in real time dell’ospite, poco a poco sempre più impataccato dagli schizzi di una crème brûlée ipertrofica e inneggiante.

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