Famiglie Sportive
COACH DEMIS CAVINA E SUO FIGLIO RICCARDO: BASKET & GOLF.

Intervista doppia all’allenatore di basket – passato per Roseto nel 2001/2002 – e al suo primogenito, che studia e gioca a golf negli Stati Uniti d’America.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Marted́, 04 Ottobre 2022 - Ore 11:45

Il golf è un compromesso fra quello che il tuo Io vuole farti fare, quello che l’esperienza ti dice di fare e quello che i tuoi nervi ti permettono di fare.

(Bruce Crampton)


Non ho mai giocato a golf, anche se alcuni miei nobili amici conosciuti grazie al basket – Iwan Bisson ed Ernesto Ciafardoni, su tutti – amano questa disciplina che, rispetto allo sport della palla a spicchi, ti fa guardare per terra per agire invece che in alto.

Della bellezza del golf ricordo mi parlarono pure Alan Tomidy, lungo passato brevemente per Roseto nella stagione europea 2002/2003, e Luke Recker, pistolero della Serie A 2003/2004.

Ho ripensato a queste cose quando, la scorsa estate, ho visto delle foto sul profilo Facebook del mio amico coach Demis Cavina – passato per Roseto nella prima parte della Serie A 2001/2002 e oggi allenatore in A2 a Cremona – che mostravano i figli alle prese col golf.

E siccome è più normale il concetto di dinastia da padre in figlio nello stesso sport (Paolo Moretti con i figli Davide e Niccolò) invece che in due sport diversi (coach Francesco Binetti con il figlio Francescopio calciatore), ho chiesto una intervista doppia a Demis e al figlio Riccardo, che si è da poco trasferito negli Stati Uniti d’America, in Kansas, per frequentare il college studiando e praticando il golf.

Demis e Riccardo hanno risposto alle domande lo scorso 14 settembre, ma io ho preferito aspettare l’esito della Supercoppa per pubblicare questa notizia, sperando di usare l’articolo pure per complimentarmi con l’amico Demis per la vittoria. Diciamo che è andata bene. Bravo!

Adesso però è tempo di approfondire gli aspetti della famiglia Cavina, divisa fra basket e golf visto che papà Demis è coach di pallacanestro, mamma Michela ha un passato da ginnasta e i figli Riccardo (19 anni) e Federico (16) hanno lasciato la palla a spicchi per dedicarsi a palline e mazze.

Oggi, Riccardo frequenta la “MidAmerica Nazarene University” (MNU), che si trova ad Olathe, città di 130.000 abitanti nell’area metropolitana di Kansas City, nello stato del Kansas. Il college è nel circuito NAIA, nella conference HAAC.

Questa è l’intervista doppia che papà Demis e il figliolo Riccardo mi hanno rilasciato. Buona lettura.

Demis, dimmi la verità, avresti mai pensato a un figlio con la passione per il golf?
«Lo sport, in generale, nella mia famiglia è sempre stato di casa. Michela è stata una ginnasta, i nonni appassionati e praticanti di diversi sport, per cui con questa premessa non sono sorpreso che i miei figli vivano lo sport con passione e con una visione a lungo termine. Ovviamente, la pallacanestro è sempre stata al centro dei nostri pensieri fino a scandire anche i nostri ritmi e le nostre scelte più importanti. La pallacanestro fu di fatto la “complice” del mio avvicinamento al golf e di conseguenza anche dei figli. Fu infatti nel lontano Natale del 2010 che Stefano Trotta, allora il fisioterapista della squadra di Veroli dove allenavo, mi regalò tre lezioni con il maestro Maurizio Severa, del Golf Club Fiuggi. Da quel momento innanzi tutto cambiai opinione sul golf, che erroneamente consideravo noioso e bigotto, mentre nel praticarlo ne compresi la difficoltà tecnica ed emotiva, oltre ad apprezzare l’eterna sfida con te stesso e non “contro” qualcuno. Come mi avevano predetto gli amici che già praticavano questo sport (tra gli altri coach Tonino Zorzi e il mio caro amico Ernesto Ciaffardoni) se ti fai prendere dal golf “poi diventa una malattia”. Fu così che, oltre alla pallacanestro, in casa si inizio a parlare di par, birdie, driver e putt e penso che per emulazione, anche loro specialmente nel periodo estivo, sia Riccardo che Federico cominciarono presto a “swingare le mazze”… e con ottimi risultati. Fino all’inverno post Covid-19, entrambi hanno praticato basket e golf (tra l’altro, nei paesi anglosassoni, questa è la normalità), ma i risultati che stavano ottenendo sui green, il lockdown prolungato degli sport di squadra e gli impegni scolastici hanno quasi obbligato la scelta che è in un certo senso stata piuttosto facile».

Riccardo, come nasce la tua passione per uno sport ben diverso da quello in cui lavora tuo padre?
«Sono sempre stato un grande appassionato di basket e fin da piccolo lo praticavo con l’idea che da grande avrei fatto il giocatore di basket. Lo pensavo fino a pochi anni fa e nelle varie esperienze di papà non mi perdevo una partita, né tanto meno un allenamento. Stavo crescendo con l’idea di diventare un play e con questo ruolo, nel 2018, giocai con l’Andrea Costa Imola le finali nazionali Under 15 disputatesi proprio a Roseto degli Abruzzi. Iniziai invece a giocare a golf quasi per caso, poco dopo che papà portò a casa la prima sacca. Avevo 8 anni. Probabilmente sia io che mio fratello Federico siamo stati spinti dalla curiosità ed entrambi, specialmente in estate, cominciammo a frequentare il circolo che dista poche centinaia di metri da casa nostra, a Castel San Pietro Terme. Fin da subito riuscimmo bene ed arrivarono i primi risultati nei vari tornei giovanili. Sia mamma sia papà ci hanno sempre sostenuto nella pratica sportiva, senza però mai forzarci nelle scelte. Così quando presi la decisione sofferta di lasciare i miei compagni di basket per dedicarmi unicamente al golf, capirono la scelta e l’unica cosa che mi chiesero era il massimo impegno. Già quando da piccolo pensavo alla mia futura carriera in NBA, avevo in mente di giocare in un college americano. Ho centrato l’obiettivo college, ma sono andato negli USA con la sacca da golf… anche se in valigia ho messo le mie Nike e nel tempo libero vado a fare due tiri nel palazzetto del campus».

Demis, hai provato a far cambiare idea a Riccardo, distogliendolo dalla sua passione, oppure lo hai incoraggiato, quando invece di canestri ti ha cominciato a parlare di buche?
«Sia io sia Michela siamo sempre stati i primi tifosi dei nostri figli, ma tendenzialmente senza obbligarli in termini sportivi. Io li seguivo a distanza, lei materialmente e – senza voler essere blasfemo – ho pensato potesse avere il dono dell’ubiquità. Per quasi 15 anni ha passato le settimane ad organizzare la famiglia tra partite di basket dei figli, tornei di golf e trasferte per raggiungermi in ogni angolo d’Italia. Senza mai una lamentela e senza perdere di vista l’aspetto scolastico. Attualmente, quando i regolamenti lo permettono, fa pure da caddie e pur non praticandolo perché a detta sua “non ha tempo” (e la comprendo!, n.d.r.) conosce anche lei ogni regola (il golf si gioca sulle regole) e ogni aspetto del gioco. Abbiamo sempre pensato che lo sport sia divertimento, aggregazione, disciplina oltre che una opportunità se vissuto con la giusta passione, per cui non ci siamo minimamente opposti quando sia Riccardo sia successivamente Federico hanno lasciato la pallacanestro. Le uniche cose che non devono mancare sono l’impegno e il rispetto».

Riccardo, il tuo Michael Jordan è Tiger Woods? O hai altri miti nel tuo sport?
«Premetto che se devo scegliere cosa vedere in televisione tra un torneo di golf ed una partita di basket o di calcio (sono tifoso milanista, come papà) non ho tanti dubbi in quanto il golf è stupendo giocarlo, ma non ha i tempi di gioco di uno sport di squadra e risulta, spettacolarmente parlando, lento. Ho avuto invece il piacere di vedere tanti campioni dal vivo e quando vedo giocare i professionisti cerco di carpire qualsiasi dettaglio che possa aiutare il mio gioco. Il mio giocatore preferito è il britannico Rory McIlroy, anche se quello che ha fatto Tiger Woods in termini di risultati è incredibile e difficilmente ripetibile. Sono però cresciuto con Kobe Bryant, quale fonte di ispirazione sportiva e non solo. Di Kobe ammiro la determinazione, la voglia di emergere e la leadership. Non a caso ho usato il presente, perchè per me non ci ha mai lasciato».

Demis, quali difficoltà – logistiche e di altro genere – ci sono nel seguire la passione di un figlio che fa “un altro sport”?
«Come ho già detto in precedenza il segreto perché “tutto avvenga” in casa mia ha un nome e si chiama Michela. Ovviamente, nel periodo estivo cerco di organizzare i miei impegni per essere il più possibile presente ed aiutarla logisticamente. Un’altra grossa mano arriva dai nonni con i genitori di Michela (guai a chiamarli suoceri), diventati veri e propri esperti pur non praticando. Un giovane golfista dedica tanto tempo alla pratica, come penso ogni sportivo che vuole raggiungere risultati importanti. Alla pratica però si devono aggiungere i continui spostamenti per recarsi nei vari circoli dislocati lungo lo stivale dove si svolgono le competizioni. Le gare possono durare un giorno come quattro, preceduti comunque dalla prova del campo che normalmente avviene il giorno prima. Devo però ammettere quanto sia difficile per me seguire dal vivo i miei ragazzi. Lo era quando giocavano a basket e lo è adesso sui green. So cosa significa l’emozione e diciamo che in 26 anni di panchine da capo allenatore ho imparato a conviverci. Anzi, in un certo senso mi nutro di questa per continuare a svolgere il mio ruolo con una immutata energia e passione. Ma l’emozione nel vederli impegnati in prima persona è troppo forte, tant’è che ora che Riccardo gioca oltreoceano non riesco a seguire live le sue gare in internet, ma aspetto il risultato finale da una sua telefonata. Le stesse telefonate che quotidianamente ci scambiamo per raccontarci della nostra giornata, un po' come abbiamo sempre fatto negli ultimi anni quando d’inverno ci separavano 200 o 300 chilometri, mentre ora abbiamo un oceano di mezzo e sette ore di fuso orario».

Riccardo, quali sono i tuoi obiettivi a breve, medio e lungo termine, in ambito golfistico?
«Cerco di pormi degli obiettivi a breve termine in ambito sportivo, all’interno del grande obiettivo di laurearmi. Voglio sfruttare al massimo questa opportunità che è arrivata grazie alla mia famiglia e ai risultati ottenuti sul campo, per i quali ho ottenuto questa borsa di studio. Il sistema scolastico/sportivo americano mi agevola nel percorso e mi permette, lavorando sodo, di provarci. La giornata inizia presto, con la sveglia anticipata per andare a lavorare in sala pesi, poi mattina dedicata allo studio e pomeriggio sul campo da golf. Cena anticipata rispetto alle mie abitudini, per andare a letto prestino e iniziare così, riposati, la mattina seguente. Mi piacerebbe piazzarmi in una buona posizione nel ranking di fine anno e per riuscirci devo ben figurare nelle gare che già stiamo facendo. Avrò un lungo break nel periodo invernale, in cui  tornerò a casa per lavorare con il mio maestro seguendo le lezioni on-line. Tornerò quindi in Kansas a fine gennaio 2023, per disputare altri tornei fino a maggio, quando si concluderà la stagione. Già nella prossima estate potrei pensare di provare, da amateur, a ottenere una carta per entrare in qualche circuito internazionale, senza però lasciare il percorso scolastico al termine del quale mi piacerebbe diventare professionista. Da piccolo sognavo l’NBA, adesso un posto nella squadra di Ryder Cup».







Stampato il 04-26-2024 10:53:08 su www.roseto.com