Gianluca Ginoble
FRA TUMULTO E DESIDERIO, CANTANDO ENNIO MORRICONE E LEGGENDO SØREN KIERKEGAARD...

Intervista a cantante rosetano del Volo, attualmente in Australia per il tour mondiale 2022.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Giovedì, 20 Ottobre 2022 - Ore 13:30

Ho avuto il piacere di presentare al pubblico Gianluca Ginoble nell’ormai lontano 2007, quando aveva 12 anni e cantò durante un premio di poesia all’oratorio della chiesa del Sacro Cuore di Roseto degli Abruzzi.

Poi Il Volo e, dal 2009, il palcoscenico mondiale.

Un successo vero e pieno, non provinciale, che ha portato i tre ex tenorini di “Ti lascio una canzone” a diventare star internazionali apprezzate in tutto il mondo.

Gianluca Ginoble, che non ha mai dimenticato le sue origini e ha scelto di vivere nel natio antico borgo di Montepagano, mi ha concesso questa intervista telefonica gestendo i fusi orari, visto che è in tournée dall’altra parte del mondo.

Gianluca, che effetto fa aver ricominciato a girare il mondo, dopo due anni di pandemia da Covid-19 che aveva bloccato tutto?
«Ricominciare fa un bellissimo effetto, perché ho il grande privilegio di poter viaggiare. Durante la pandemia ho sempre avuto uno sguardo ottimistico sul mondo, conscio che era soltanto questione di tempo. La mia fiducia è diventata spirito di adattamento, nei confronti delle negatività che a volte ci sconvolgono la vita».

Come hai impiegato il tuo personale periodo di lockdown?
«Mi sono imposto di non subire quel periodo in modo passivo, lavorando per un mio costante miglioramento. Ho avuto più tempo per stare con me stesso, leggere, studiare pianoforte e fortificarmi, fedele al motto “Mens sana in corpore sano”. Questo mi ha portato ad avere un diverso approccio sia al palco sia, più in generale, alla vita».

Hai trovato finalmente il tempo per coltivare la tua passione per la recitazione?
«Ho studiato recitazione, seppur per un breve periodo. Ma sono molto contento dei risultati, visto che quello studio mi ha aperto nuovi punti di vista, soprattutto in campo interpretativo. Un artista sul palco interpreta, pur restando se stesso e io credo che si debba sempre riuscire a vivere come dice il mio coach: “Fra tumulto e desiderio”, per riuscire a emozionarsi e quindi emozionare il pubblico. Cantare creando connessioni per emozionarsi, raggiungendo una sorta di “trance artistica”».

In questo 2022 vi siete finora esibiti in Europa, Asia e Stati Uniti. Adesso siete in Australia. Escludendo i due anni di pandemia e conseguenti blocchi, ogni anno di carriera del Volo è stato praticamente contraddistinto da un tour mondiale. Quali sensazioni ti permeano, in questo ennesimo giro del pianeta?
«Molta gioia, innanzitutto. Subito dopo, però, la consapevolezza che non bisogna mai abituarsi. Perché se ti abitui al successo rischi di “adultizzarti”, passami il termine. Rischi cioè di non sorprenderti più e quindi non provare più piacere nel fare le cose. E torniamo al bisogno di emozionarsi per emozionare il pubblico. Io ho coltivato negli anni questo approccio al mio lavoro e posso dirti che vivo tutto sempre come fosse il primo giorno, anche perché cresco e cambio e quindi non sono più quello dell’inizio».

Il tuo ragionamento mi ha fatto venire in mente un aforisma attribuito al filosofo Eraclito: “L’unica costante è il cambiamento”...
«Credo che sia il segreto per chi vive d’arte. Ho anche letto in biografie di alcuni artisti e compositori che spesso andavano a ricercare quell’emozione che avevano da bambini, per aver modo di collegarsi a emozioni pure. Riuscire a non perdere questa capacità è importante, perché mantiene l’artista pronto a esprimersi ogni sera in modo rinnovato e utilizzare per se stesso, come vero e proprio ossigeno, la connessione che si crea con il pubblico».

Fra i tanti momenti importanti che stai vivendo in questo tour, puoi condividerne uno con noi in occasione di questa intervista?
«La magia che si crea quando abbracciamo il pubblico, cantando “Here’s to You”: la canzone con il testo di Joan Baez e la musica di Ennio Morricone, dedicata a Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti».

A proposito del compianto maestro Ennio Morricone e del vostro disco che lo ha omaggiato, quali responsabilità senti di portarti dentro, in qualità di ambasciatore del canto italiano nel mondo, dando voce a musiche amate a livello planetario?
«L’obiettivo del Volo negli anni è stato quello di una costante crescita, per elevare il prestigio del gruppo. Cantare Ennio Morricone ci fa crescere, fa crescere il nostro pubblico e rispecchia quello che amiamo fare: progetti di grande qualità ed eleganza, avendo uno sguardo giocoforza diverso dai nostri inizi, quando eravamo tre ragazzini considerati giovani promesse. La maturazione ci ha portato a reinventarci senza perdere il nostro stupore, maturando artisticamente e vocalmente, e comporta grandi responsabilità quando interpretiamo giganti della musica. Fortunatamente, abbiamo sempre avuto la benevolenza e il supporto di persone eccezionali come Placido Domingo e la famiglia del Maestro Morricone, quindi i progetti che abbiamo sposato ci hanno sempre dato grandi soddisfazioni».  

Conoscendo la tua passione per la musica – che spazia davvero a 360 gradi – penso che questo variare ti faccia ancor più contento...
«Assolutamente sì. Io sono orgogliosamente uno dei tre del Volo, ma sono anche Gianluca che ama anche altri tipi di musica e altre forme d’arte. Quindi, direi che è un processo in coerenza con la mia vita, nel modo più pieno possibile».

I ricavi del vostro concerto del 9 ottobre scorso tenuto negli Stati Uniti, in Florida, e diffuso in diretta mondiale streaming, sono stati donati alla Croce Rossa, a sostegno delle vittime dell'uragano Ian, che ha sconvolto la Florida proprio di recente. Un tuo pensiero su questa tragedia, che avete vissuto visto che eravate in tour proprio lì?
«Le persone influenti devono dare l’esempio. Soprattutto tre giovani come noi. La normalità dice che se succede qualcosa a una persona a noi vicina soffriamo moltissimo, se capita a una persona che conosciamo appena soffriamo un po’ meno, mentre se capita a una persona distante in senso fisico o umano poco importa. Invece credo che sia importante il concetto di amore universale, per dare un supporto avendo quel tipo di sensibilità che ti permette di vivere una vita senza frustrazioni né invidie o scontri futili. Provare questo amore universale e favorire la connessione per aumentare gesti di beneficenza, credo sia giusto e doveroso. Io ero legato emotivamente alle persone che avevano comprato il biglietto per assistere al nostro spettacolo e sono rimasto ferito dalla devastazione dell’uragano, che mi ha ricordato il nostro terribile terremoto dell’Aquila nel 2009. Fort Myers, in Florida, era meravigliosa e vederla distrutta dall’uragano Ian ci ha colpiti, quindi abbiamo pensato a questa raccolta fondi ed è successo qualcosa di bello e utile, visto che c’erano 10.000 persone al concerto».

Come procede la vita dell’uomo Gianluca Ginoble? Abbiamo già accennato ai tuoi studi, alla passione per la lettura e per il cinema. Raccontaci qualcosa in più del tuo tempo libero...
«A un certo punto mi sono chiesto: che fai nel tempo libero? Crescendo, ho progressivamente e drasticamente ridotto le ore passate davanti alla televisione o al telefonino, quelle dedicate agli aperitivi o alla playstation. Sto sempre più privilegiando la lettura, con l’obiettivo di essere una persona migliore. Circa le letture, direi che vado a periodi. Adesso sono concentrato su saggistica e filosofia. L’ultimo libro letto, davvero struggente, è “Timore e tremore” di Søren Kierkegaard: uno forse troppo intelligente per essere felice».

Grazie, Gianluca. Gentilissimo come sempre. Mi sarebbe piaciuta farla in video questa intervista, ma sei davvero dall’altra parte del mondo.
«Non preoccuparti. Quando torno a Montepagano rimediamo!».







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