Patrimonio artistico rosetano
LA ‘PROFUGA’ DI PASQUALE CELOMMI SVANITA NELL’OMBRA E L’OMICIDIO DI FERRAGOSTO DEL 1918...

Uno scritto di Mario Giunco, pubblicato su Koinè, racconta di un’opera di Pasquale Celommi e di un assassinio collegato. Assassinio culturale è invece quello di impedire da anni la pubblica visione delle 10 opere del Comune del Celommi.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Martedì, 19 Agosto 2025 - Ore 12:00

All’inizio dell’anno, nel parco della Villa comunale  sono stati rinvenuti casualmente due quadri di Pasquale Celommi (1851-1928), di proprietà della famiglia Filippone-Thaulero, trafugati  nel 2001. 

Il primo,  intitolato  “Il mio gioiello”,  risale a fine Ottocento e rappresenta una popolana, che mostra un bambino nudo. 

Il secondo, noto come  “La profuga”, è databile al 1919. Ritrae una donna, che, con un sacco sul braccio, volge lo sguardo verso i monti alle sue spalle. 

È un soggetto atipico. Raramente il pittore fa riferimento ad avvenimenti di attualità, come la guerra appena terminata. Dopo la disfatta di Caporetto (1917) una parte della popolazione del Friuli e del Veneto era fuggita oltre la linea del Piave, riparando verso il Sud. Erano vecchi, bambini, interi nuclei familiari. 

Circa cinquecento persone furono ospitate a Montepagano e Rosburgo, ben accolte dai residenti, che diedero prova di solidarietà. 

Vi fu solo un tragico episodio. La giovane Anna Danelon, proveniente da San Daniele del Friuli, aveva trovato alloggio in casa di Vincenzo Celommi,  in piazza della verdura (piazza Dante), insieme a due fratelli, la cugina e lo zio. 

Anna provvedeva al sostentamento dei suoi,  eseguendo lavori domestici e con un modesto sussidio del Comune. Incontrò un coetaneo, Giuseppe Di Nicola, che la illuse con la promessa del matrimonio e di vita migliore. 

Un giorno le chiese dei soldi per uno dei fratelli di lei, un poco di buono. La sera di Ferragosto 1918 scoppiò in casa una lite furibonda. Si udirono colpi di rivoltella. Vincenzo Paris (il pittore, affrescatore di tante ville della zona) raccolse sulla piazza Anna, prima che spirasse. 

All’interno dell’abitazione, Giuseppe fu trovato con una lieve ferita da arma da fuoco. Diceva che gli era stata procurata dalla giovane, che poi si era uccisa, perché i suoi familiari, benestanti, non tolleravano l’unione con una povera profuga, in procinto di ripartire. La versione apparve inverosimile e fu subito modificata. 

Era stato lui a sparare ad Anna, che gli aveva rifiutato il denaro per il fratello e aveva simulato il suo ferimento. Trascorse parecchio tempo, in attesa del giudice istruttore e degli inquirenti. Il corpo rimase sulla piazza, alla vista di tutti, malamente coperto con un telo. 

Giuseppe scampò all’arresto e fu ricoverato in ospedale. Dopo varie lungaggini, il processo a suo carico iniziò il 25 ottobre 1919 presso la Corte d’Assise di Teramo. All’imputato, riconosciuto colpevole, fu accordata la seminfermità (fisica, per la ferita che si era provocato da solo), con alcune generiche attenuanti (tra cui lo stato di salute della vittima). Se la cavò con tre anni, quattro mesi e venti giorni di reclusione. La pena blanda (rischiava diciotto anni) fu confermata in Cassazione, l’11 febbraio 1920. 

In paese la vicenda non passò sotto silenzio. “In una tela di Pasquale Celommi – scrive Elso Simone Serpentini in “La casa delle profughe” (Artemia Editrice, 2011) – a non pochi rosburghesi sembrò  di ravvisare i lineamenti di Anna Danelon, che l’artista aveva personalmente conosciuto, avendo quella abitato  nella casa di Vincenzo Celommi, accanto alla sua ed essendo stata ammazzata da un giovane, che era imparentato con la sua famiglia”.

Quando Giustino Filippone-Thaulero gli commissionò un quadro (replicato per il fratello Carlo), che ricordasse la presenza dei profughi, il pittore dipinse una delle sue opere  più sentite e significative. Sparito uno dei due esemplari – forse venduto in qualche mercatino -  quello ritrovato a pochi passi dal luogo del furto acquista un valore particolare. Meriterebbe di essere di nuovo ammirato. 

Il Comune di Roseto possiede dieci opere di Pasquale Celommi: “Il ciabattino”, “Saluto all’aurora”, “Nel campo di lino”, “Odalisca”, “Autunno”, “Nellina”, “Il segreto”, “Ritratto di donna”, “Ritratto di uomo”, “Scena di mare”.  

Dopo le mostre del 1980 e del 1988 nella Villa comunale e del 2015 in Villa Paris, le tele del capostipite dei “pittori della luce” sono finite nel buio. Belle sì, ma invisibili.



Stampato il 08-23-2025 07:39:52 su www.roseto.com