Interviste
MASSIMO CANCELLIERI: LA FORZA TRANQUILLA CHE SOGNA DI PORTARE UNA SQUADRA IN EUROLEGA.

Intervista al coach, teramano di nascita, dell’Angelico Biella.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Venerd́, 09 Dicembre 2011 - Ore 21:00
Massimo Cancellieri, allenatore di basket classe 1972, teramano di nascita, romano per studi, biellese per adozione e lavoro, sta al gruppo dei suoi colleghi coach come la Ribolla Gialla di Josko Gravner (di cui era ghiotto il raffinatissimo Norman Nolan) sta al gruppo dei vini bianchi “colleghi” del prezioso nettare tendente al colore arancio. E cioè: è uno del gruppo, ma si nota già prima di parlarci che è un po’ diverso dagli altri.
 
Magro come un chiodo, filo di barba da uno che gli mancano 30 righe per finire il suo personalissimo “giovane Holden”, concavo verso la vita e di pensieri convesso, il “Canc” (questo il suo soprannome) è un po’ uno stilita della palla a spicchi, immerso in letture e ascolti musicali di nicchia, nutrito di spirito e vento. Perciò te lo immagini facilmente vagare per musei o partecipare a improbabili performance artistiche, piuttosto che vederlo sbraitare a omaccioni di due metri in mutande e canottiera, chiamati ad eseguir schemi correndo dietro ad un pallone.
 
Poco più che ventenne, Massimo Cancellieri inizia col basket a Roma, nella squadra femminile del San Raffaele. Dalle giovanili all’assistentato in prima squadra, fino al posto di coach in Serie A2.
 
Fra i maschi, il Nostro ci capita chiamato nella sua alma mater da Franco Gramenzi. Con Teramo, da vice allenatore, Canc vince la B1 e la LegaDue, volando in Serie A (2003/2004).
 
Dopo la massima serie, scende di un gradino per la LegaDue di Montecatini (2004/2005), per fare da vice a Marco Calvani. La stagione successiva prende in mano la squadra, esordendo fra i professionisti come coach allenando i “gemelli” Boni e Niccolai e guadagnandosi – a sorpresa rispetto ai pronostici – una salvezza talmente tanto anticipata da diventare un playoff promozione.
 
E di nuovo cambia casa, il “Canc”, stavolta andando a Biella, dove resta per 3 stagioni (dal campionato 2006/2007), facendo da vice a Luca Bechi.
 
Ancora LegaDue, stavolta a Veroli (2009/2010), prima di tornare a Biella da capo allenatore, nel Campionato di Serie A 2010/2001. Questa è la sua seconda stagione in qualità di coach della società piemontese.
 
“Canc”, non è che hai le vertigini lassù, al terzo posto in classifica?
«Un po’ sì… ma solo se ci penso. Normalmente, quando sei in alto puoi avere due tipi di reazioni: una ti porta ad avere paura dell\'altezza, solo perchè temi di essere troppo lontano dalle certezze della tua quotidianità; l\'altra ti porta ad ammirare le cose viste dall\'alto e ti sembra tutto più bello, tutto più comprensibile nella sua interezza. Ecco, io vivo la seconda delle due».
 
E’ un inizio inaspettato di campionato?
«Inaspettato, certo… ogni anno qui a Biella si vive l\'inizio di campionato come qualcosa di assolutamente imprevedibile».
 
Quali i fattori più importanti per arrivare così in alto, alla guida di una squadra outsider?
«Spregiudicatezza, entusiasmo, fortuna, bravura nello scegliere, più che i giocatori, le persone che si integrino nel sistema Biella».
 
E pensare che hai iniziato allenando le donne. Cosa ti manca - e non essere volgare! - del basket femminile?
«Quello del basket femminile è stato un percorso formativo eccellente, per scoprire i primi rudimenti del basket giocato e soprattutto per comprendere che in una squadra la gestione del gruppo e della comunicazione è fondamentale tanto quanto giocare bene. Nella femminile ho imparato questo. Ovviamente sbagliando molto, ma facendone esperienza».
 
Ma è vero che quando Franco Gramenzi ti chiamò, per farti tornare a Teramo, quasi quasi lo stavi per snobbare?
«Tutto vero, ma non ero snob… anzi! Ciò che mi fece temporeggiare fu dover scegliere, improvvisamente, fra il basket e tutto il resto. Vivevo a Roma, ero perfettamente integrato nei meccanismi della metropoli, mi piaceva, studiavo lettere classiche e volevo fare il docente universitario. Franco mi chiamò, mettendomi davanti ad un bivio, una scelta decisiva. Ricordo che, mentre parlavo con lui al telefono, ero a Piazza del Popolo e, guardandomi intorno, mi chiedevo se davvero avessi voluto abbandonare tutto ciò per chiudermi in palestra. L\'ho fatto e ne sono davvero felice».
 
Nella stagione 2005/2006, in LegaDue, hai allenato - tutti insieme - Mario Boni, Andrea Niccolai, Marc Salyers. Questo significa, a livello gestionale, che potresti gestire con profitto persino l\'Alitalia, intesa come “bad company”?
«Dimentichi Antonio Smith! Mi aveva chiamato Silvio Berlusconi per fare l\'Amministratore Delegato durante la crisi Alitalia, ma non l\'ho fatto per ovvi motivi politici!».
 
Scherzi a parte... quanto ti hanno ascoltato quelli della predetta triade, anzi del predetto poker, e con quali argomenti ti sei fatto ascoltare?
«Sono stati dei veri professionisti. Io esordiente e loro a completa disposizione. Consigli, aiuti, qualche incomprensione, ma tutti rivolti verso lo  stesso progetto. Penso che la chiave sia stata avere delle gerarchie chiare per tutti. La chiarezza iniziale mette tutto il gruppo di fronte a situazioni delineate e senza “misunderstanding”».
 
Sei l\'emblema della "forza tranquilla", l\'antidivo immerso in letture di nicchia che sente gruppi abbastanza sconosciuti (se ben ricordo). La tua esperienza professionale (prima vice, poi capo sia a Montecatini sia a Biella) è un modo di vivere regolare che nell\'ultimo ventennio poco è andato di moda, sia nel basket sia, soprattutto, nella vita politica e sociale dell\'Italia?
«Mi piace la "forza tranquilla", descrive appieno uno dei miei obiettivi personali: avere la capacità di sfidare soprattutto se stessi e non gli altri, E’ quello che in Grecia chiamavano spirito "agonale" e cioè essere in competizione con se stessi e non agonisti o antagonisti verso gli altri. Il modo di vivere regolare viene di conseguenza, ma c\'è bisogno che gli altri apprezzino il tuo approccio, andando oltre la mera valutazione del tuo comportamento».
 
Tre aggettivi per descrivere Biella?
«Biella è coinvolgente, tranquilla ed appassionata».
 
Cosa vuoi fare da grande?
«Allenare la Fortitudo in Eurolega è il sogno che avevo da diciottenne. Ora mi piacerebbe portare una squadra in Eurolega».
 






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