Via Seneca [Il privè di ROSETO.com]
IL ‘DUCATO AID’, 20 ANNI DOPO.

Ricordo di un’esperienza che mi ha cambiato la vita.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Domenica, 25 Dicembre 2011 - Ore 22:00
Bob Geldof (leader dei non indimenticabili “Boomtown Rats”) e Midge Ure (nettamente meglio i suoi “Ultravox”) si inventarono la “Band Aid” nel 1984, per far cantare la loro “Do they know it’s Christmas?”, creando dal nulla un fenomeno di solidarietà che arrivò ad avere rilevanza mondiale.
 
Qualche anno dopo – era il 1991 – dalle parti di Roseto degli Abruzzi, presi dalla santità della giovinezza e convinti che tutta quell’esuberanza si potesse canalizzare in qualcosa di utile, alcuni amici e io mettemmo in campo uno spin-off in salsa provinciale di quell’esperienza rock (ma anche un po’ pop), dando vita a “Ducato Aid”, e cioè: stipare in un furgone cibo e bevande da portare a famiglie bisognose e anziani ricoverati nell’ospizio di Teramo.
 
Il furgone Ducato lo procurò Marco Rapone, il mio migliore amico e uno dei protagonisti di questa storia. Marco lo conobbi sul pulmino che ci portava alla “Piscina Eden” di Castelnuovo Vomano per fare i corsi di nuoto e combattere la scoliosi. Al mio seguito c’era Nonna Scolastica, al suo Mamma Anna. Avevamo – credo – lui 6 anni e io 5.
Gli altri amici sono presto scritti.
Leo Nodari, conosciuto un anno prima alla riunione del “Movimento per la Democrazia la Rete”.
Roberto Rapone, fratello di Marco.
Agostino e Alberto “Piersanti” D’Agostino, rispettivamente padre e figlio, conosciuti da un anno nel paradiso del centro ippico “Il Poggio” di Poggio Cono, anche se Agostino lo avevo già come “vicino di lavoro” alla “Se.Co.” di Giulianova.
Roberto Clementoni, conosciuto da un anno sul posto di lavoro alla “Manifattura Nuova Giulia”.
Luigi Felicioni, compagno di comitiva adolescenziale.
Fabrizio Rapagnà, componente il terzetto del “gruppo stretto” con me e Marco Rapone. Se con Marco ero amico dall’età delle costruzioni, Fabrizio lo conobbi dopo le scuole medie. La nostra amicizia fu cementata da un bell’uppercut (suo a me), a margine di una zuffa di strada relativa all’attribuzione di un punto in una partita di volley, giocato su una pubblica via e con la rete composta da un filo giallo teso fra due pali degli indicatori delle vie. E se usi un filo giallo al posto della rete, ogni punto è una discussione, ogni set una zuffa. E fra le varie, io incassai il cazzottone dell’amico Rapagnà.
 
Con questi amici, costruimmo il progetto “Ducato Aid”, che – in realtà – quando nacque non aveva un nome.
Avevamo solo un punto di raccolta: la mia casa di Via Seneca, vuota e disponibile. La riempimmo grazie alla bontà di tanta gente e di tante ditte che ci aiutarono, donando di tutto: dalla pasta di Tascioni ad alcuni prodotti alimentari di Quartiglia (le prime due ditte che ricordo, o – più semplicemente – quelle in cui andai io).
 
Fatto il pieno di cibo e bevande, ci procurammo delle cassette di legno che di solito contengono frutta e verdura – solide e capienti – e dei sacchi natalizi di tela rossa.
Contenitori e contenuti pronti, facemmo opera di certosina divisione e conseguente stivaggio di tutto il ben di Dio introitato gratuitamente o comprato (con le donazioni in denaro di chi ci aiutò). Orgogliosi e meravigliati di noi stessi, ci accorgemmo che tutto quanto avevamo avuto era davvero “tanta roba” (anche se 20 anni fa non andava di moda dire “tanta roba”, al contrario di oggi) e che quindi avremmo avuto difficoltà a portarla a Teramo con le macchine.
 
Fu allora che Marco Rapone “svoltò la situazione”, procurandosi il furgone che diede il nome all’intera operazione.
Così, un giorno del Natale 1991, partimmo con il Ducato imbottito fino all’orlo di cose buone e con due macchine di appoggio per dirigere verso Teramo, dove ci aspettava Leo, prezioso punto di riferimento con la sua associazione “Mani Tese”.
Appuntamento a Piazza Martiri, qualche foto ricordo (che dopo 20 anni spiegano appieno la loro funzione) e poi via con le consegne.
 
Girammo un po’ la città, in periferia, parcheggiando in posti “normali” e cioè senza particolari problemi, almeno ad una prima occhiata. Poi magari guardavi meglio e vedevi una casa senza finestre o situazioni di miseria nascoste per vergogna. Per questo le consegne le fece Leo – che conosceva le famiglie – e un delegato a turno del gruppo (escluso l’allora piccolo Alberto), che portava le cassette, ma non entrava in casa.
Dopo le case, fu la volta dell’ospizio. Quando toccò a me, ricordo un anziano, solo come tutte le tristezze della Terra messe insieme, che mi regalò un sorriso buono a farmi piangere per lunghi minuti.
 
Fu una giornata intensa, faticosa più emotivamente che fisicamente, che valse come primo passo di un cammino che da oltre 20 anni faccio, fra l’altro con lo stesso nucleo iniziale di amici, che negli anni si è arricchito.
Un cammino fatto di cose semplici, come decidere di raccogliere cibo e andarlo a consegnare, un cammino fatto di sogni complessi, come migliorare il mondo partendo da un furgone.
 
“Ducato Aid” è la radice di una pianta che dopo 20 anni cresce ancora e che – per dire di uno dei frutti – ha prodotto il Premio Borsellino.
 
Dopo quella giornata, ci rivedemmo per altre azioni, stavolta più importanti per dimensioni, legate alla guerra in Jugoslavia e al sostegno della Comunità di Sant’Egidio di Roma (oggi il fondatore, Andrea Riccardi, è Ministro della Repubblica… come passa il tempo).
 
E se a Natale 1991 eravamo col furgone a Teramo (dell’iniziativa parlò il Centro del 29.12.1991 con un articolo di Antonella Formisani), qualche mese dopo eravamo ancora in giro, a raccogliere i frutti di una piccola credibilità maturata sul campo.
 
Così, dopo pasta, farina, latte, soldi, giocattoli (conservo ancora - e le ho riviste con un po’ di commozione - le ricevute, rileggendo nomi che dopo 20 anni avevo dimenticato di tanti benefattori), venne il tempo del vestiario, grazie soprattutto al cuore di Fausto Grottini, amministratore dell’azienda (Manifattura Nuova Giulia) in cui lavoravo con Roberto Clementoni.
 
Fausto fu disponibile, mettendo a disposizione campionario nuovo ma passato “di moda” e così, con lettera datata 8 gennaio 1992, Mani Tese scrisse alla Caritas Italiana di Trieste, Centro profughi presso il Vescovado, inviando 21 confezioni di vestiario infantile e tovaglie per aiutare i profughi della guerra nei Balcani.
 
Sempre l’8 gennaio, inviammo 41 confezioni di vestiario alla Comunità di Sant’Egidio di Roma, mentre l’11 gennaio inviammo 15 confezioni di vestiario alla città croata di Makarska, gemellata con Roseto degli Abruzzi.
 
Non ho mai voluto separarmi dalle preziose distinte, ricevute, lettere, appunti manuali, che testimoniano analiticamente tutto quello che questo gruppo di amici fece. Perché ho sempre creduto che fossero carte importanti, perché avevano un’anima.
Le ho rimaneggiate verso la fine degli Anni ’90, causa riordino per trasloco. Sono stato orgoglioso di ripassarmele fra le dita pochi minuti fa.
 
Quel Natale, il Natale del 1991, alla lunga mi ha cambiato la vita. Avevo 22 anni e potevo diventare qualsiasi cosa. Ero un alberello che il vento piegava a suo piacimento, come tutti i ventenni.
Conoscere alcune persone mi insegnò a stare dalla parte dei più deboli. Un complesso di cose, che forse è la strada verso la maturità, mi trovò con a fianco persone che privilegiavano l’essere all’avere.
 
Portavo una kefiah, all’epoca. Ne ero orgoglioso e raramente me ne separavo. Non era estremismo, né incazzatura cieca. Era la voglia ventenne di comunicare a tutti (tatuaggi non ne ho mai voluti) che stavo dalla parte di quelli che abbozzano, che fanno più fatica.
La kefiah me la regalò la carissima Federica Racinelli, facendosi promettere che l’avrei sempre custodita con cura e che se me ne fossi privato avrebbe dovuto esserci un motivo davvero importante.
Quella kefiah la regalai nel 2005 a Mahmoud Abdul-Rauf, giocatore di pallacanestro venuto a Roseto a dare spettacolo e prontamente soprannominato “Il Califfo del Lido delle Rose”. Mahmoud – che nella sua vita precedente, prima di abbracciare l’Islam – si chiamava Chris Jackson, negli Stati Uniti avrebbe avuto qualche problema a comprarne una. Così gli regalai quella kefiah cresciuta con me e lui – commosso – mi disse che l’avrebbe indossata nei momenti di preghiera e raccoglimento.
Federica approvò e io mi sentii meglio.
 
Ringrazio la sorte benevola, che mi ha fatto trovare sulla strada della vita – soprattutto nei momenti della giovinezza – persone speciali, oltre che una famiglia meravigliosa. Fra queste persone, c’è il gruppo del “Ducato Aid” 1991.
 
Grazie, amici del “Ducato Aid”. Oggi più che mai, dopo 20 anni, restiamo umani.
 






Stampato il 03-28-2024 14:50:48 su www.roseto.com