Il Critico Condotto
ANDREA CASTAGNA SUONA HAYDN

Torna la rubrica di Simone Gambacorta, che intervista il musicista Andrea Castagna.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Venerd́, 06 Gennaio 2012 - Ore 08:00
Dal 23 dicembre è in distribuzione con il quotidiano «La Città» il cd di Andrea Castagna con i due concerti di F. J. Haydn per violino e archi, realizzato con l’Interamnia Ensemble e pubblicato dalla casa discografica Wide Classique.
Teramano, classe 1981, violinista tanto giovane quanto apprezzato, Castagna insegna al Conservatorio di Messina e vanta un curriculum di primissimo ordine.
Tornato da poco da una tournée in Cina e Giappone, in quest’intervista parla del suo disco, di sé e della cultura musicale in Italia.
 
Perché un cd su Haydn?
«Avevo in animo da tanti anni di incidere i concerti di Haydn per violino e orchestra d’archi. Nel momento in cui ho avuto la possibilità di entrare a far parte della squadra della Wide classique ho deciso di esordire con queste bellissime pagine musicali. Dal punto di vista personale ho scelto questi brani perché mi sento molto legato ad essi, avendoli studiati nella mia adolescenza; dal punto di vista musicale ritengo che siano pagine fondamentali del repertorio violinistico. Haydn, infatti, è uno degli esponenti principali del periodo “classico” ed ha dedicato questi concerti per violino a Luigi Tomasini, Konzertmeister, ossia primo violino, nell’orchestra della corte degli Esterhazy. Quindi definirei questa esperienza una bella sfida per dare inizio alla propria carriera discografica».
 
Il cd è stato registrato dal vivo nel Teatro di Atri. Che cosa significa, tecnicamente parlando, fare una registrazione live?
«Registrare in studio e registrare dal vivo sono cose assolutamente diverse; l’incisione live può contare su un fattore insostituibile: il pubblico. Questo fattore consente all’esecutore di ottenere una carica adrenalinica decisamente superiore alla normalità, cosa che risulterà evidente al fruitore finale. A livello logistico, invece, la registrazione dal vivo comporta che i costi di produzione siano più onerosi e, pertanto, mi preme ringraziare gli imprenditori che hanno investito per la realizzazione del prodotto: la Promedia Ingegneria del dottor Di Gialluca, la Allianz Assicurazioni, agenzia di Teramo, del dottor Giacomo Ciutti, il dottor Attilio D’Eugenio, la Banca Popolare di Spoleto e, infine, l’azienda vinicola Collebello. E’ giusto sottolineare che nessuna di queste aziende ha interessi nel mondo musicale, pur avendo sposato entusiasticamente il progetto. Ringrazio, inoltre, il Comune di Atri per aver messo a disposizione il proprio teatro per ben cinque giorni».
 
Nel corso dell’esecuzione sei stato affiancato dall’Interamnia Ensemble, un’orchestra tutta teramana…
«Da diversi anni collaboro con l’orchestra Interamnia Ensemble la quale, come hai giustamente sottolineato, è formata da giovani musicisti locali o, in alcuni casi, da persone che comunque gravitano nell’orbita teramana o abruzzese. Abbiamo in programma alcuni concerti e stiamo tentando, se pur con mille difficoltà, di costruire percorsi professionali sempre interessanti. L’Interamnia Ensemble, per quest’esordio discografico, ha lavorato con molta dedizione, assecondandomi in tutte le scelte musicali e non. Tutti i componenti sono, dal punto di vista professionale, molto preparati e capaci di dar vita ad una realtà imprenditoriale molto interessante e già ricca di importanti collaborazioni con artisti di rilievo quali Ettore Pellegrino, Michele Nitti, Pasquale Veleno ed altri, fino ad arrivare ad un teramano doc, Piero Di Egidio».
 
Teramana è anche la casa discografica, la Wide Classique, cui facevi cenno…
«Forse non molti sono a conoscenza che a pochi passi da Teramo, a Nepezzano, ormai da anni, opera una equipe di persone guidata da Domenico Di Gregorio, titolare dell’azienda Wide sound, che realizza numerose e valide pubblicazioni musicali. La Wide, prima d’investire nella musica classica, ha costruito la propria fama nel jazz inserendo in catalogo nomi di spicco del panorama nazionale ed internazionale. Domenico investe decisamente nell’ottimizzazione degli studi di Nepezzano, tanto che questi spazi sono stati ristrutturati dagli stessi ingegneri degli Abbey Roads Studios di Londra. Ultima nata nella famiglia Wide è l’etichetta classica, Wide classique appunto, che ormai annovera validi esecutori come il pianista Aquiles Delle Vigne, la violinista Francesca Dego o il grande flautista Andrea Oliva. Consentimi di rilevare che anche la veste grafica del gruppo ha un’impronta tutta teramana essendone responsabile Maurizio Assenti. Egli, infatti, attraverso il proprio accurato lavoro realizza con molto stile il “vestito” di ogni prodotto».
 
A livello profesionale, hai incontrato altre persone che ti hanno supportato?
«Posto che il primo apporto fondamentale è quello della famiglia, credo sia doveroso citare quelle persone che da sempre mi hanno valorizzato. In testa alla lista c’è, di certo, il M° Marco Renzi. Egli ha seguito ogni passo della mia carriera sin da quando ero studente di conservatorio, offrendomi possibilità professionali uniche ed importanti insegnamenti umani. Ho avuto la fortuna di seguire da vicino tanti viaggi e concerti dell’Italian Big Band: vi posso garantire che per me è stata una vera e propria scuola di vita. A seguire, il M° Luigi Piovano: oltre ad onorarmi della sua amicizia, mi ha messo in contatto con spiccatissime realtà professionali dispensandomi, inoltre, illuminanti idee musicali. Infine, non per ordine d’importanza, mi preme citare il M° Alessandro Milani, primo violino dell’Orchestra Sinfonica della Rai, che da quasi cinque anni è il mio insegnante: una persona di grandissima umanità e raffinatissima professionalità».
 
Il tuo disco è in distribuzione anche con il quotidiano «La Città»: una bella operazione di divulgazione culturale e, presumo, una grande soddisfazione per te.
«Sono molto onorato dell’iniziativa de “La Città” e per questo devo ringraziare le sensibilità dell’editore e, allo stesso modo, del direttore Antonio D’Amore. Mi lusinga che abbiano scelto di divulgare un prodotto con un nome non altisonante, esprimendo la precisa volontà di valorizzare le professionalità del nostro territorio. Solitamente i dischi di musica classica si trovano in edicola in allegato a riviste di settore: pertanto ritengo che l’idea di pubblicare il cd di un emergente sia una scelta editoriale coraggiosa e significativa fatta, comunque, sinergicamente con la Wide classique. Sono ulteriormente contento poiché non mi capita spesso, anzi raramente, di presentare i miei lavori a Teramo. È una bella occasione che mi auguro possa proseguire».
 
Si sente spesso dire che la musica classica è in crisi…
«Permettimi di aggiungere che questo accade in Italia. Più che la musica classica, è la cultura della musica classica ad essere in crisi. Nel nostro paese, per fortuna, abbiamo musicisti fantastici, ma, purtroppo, molti sono più apprezzati all’estero. Ho parlato di cultura della musica classica perché credo che ad essere in crisi siano i canali di diffusione, un esempio su tutti: la Rai. La tv di Stato, come si suole definirla, è proprietaria di una delle tre principali orchestre italiane, l’Orchestra Sinfonica Nazionale, ma sebbene questa struttura abbia un cartellone concertistico di prim’ordine, l’azienda decide di trasmettere il live del giovedì solo su Radio 3 o, in casi più rari, in televisione, non prima delle due del mattino. Non sarebbe meglio vedere un prodotto di primissimo livello in diretta piuttosto che tanti programmi demenziali? Solo da tre anni, grazie ad un format della Carrà, l’azienda ha deciso di puntare, finalmente, su un pubblico di bambini con il programma Gran Concerti: i frutti di tale operazione saranno visibili tra dieci anni; nel frattempo è stato creato un vuoto culturale generazionale molto profondo».
 
Che presente hanno i giovani musicisti in Italia?
«I musicisti, in generale, vivono un momento molto complesso e, ovviamente, i più giovani hanno le maggiori difficoltà. Oggi, purtroppo, molti non possono più vivere alla giornata in assenza di prospettive certe. Recentemente mi è capitato d’incontrare strumentisti, anche talentuosi, che, pur di non lasciare l’Italia, meditano di cambiare lavoro con la consapevolezza di gettare al vento tanti anni di studio e di sacrifici. Sono attive poche orchestre e quelle che riescono a sopravvivere affrontano difficoltà economiche a volte insormontabili».
 
E per quanto riguarda il futuro?
«Il futuro è direttamente proporzionale alle scelte strategiche che vi saranno. Purtroppo anche in questo settore il ruolo principale sarà svolto dalla politica che, necessariamente, dovrà trovare le chiavi per rilanciare il settore, drammaticamente in crisi. Il concetto di base dovrebbe essere questo: cultura uguale investimento. Il cambiamento, quindi, dovrà iniziare dall’erogazione dei fondi, non più imputabili al capitolo delle spese ma a quello degli investimenti. Investire in cultura non vuol dire soltanto aiutare gli operatori del settore ma, a mio modesto avviso, è un modo di servire l’intera collettività; una nazione non può essere privata di ogni forma di cultura, sia essa a livello artistico o a livello di esperienza civica. Sono consapevole che la mia idea è una utopia, ma essa sarebbe la naturale prosecuzione della nostra tradizione culturale e ci consentirebbe di avere un’orchestra in ogni città, magari con l’intervento diretto di Fondazioni o di aziende private che, a loro volta, dovrebbero usufruire di agevolazioni fiscali importanti laddove decidessero di finanziare attività culturali».
 
Sei spesso in giro per il mondo, e infatti sei appena tornato da un’esperienza orientale.
«Ho avuto la fortuna di partecipare alla tournée che l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, diretta dal maestro Pappano, ha effettuato in Cina e in Giappone. È stata un’esperienza magnifica in quanto ho avuto l’opportunità di suonare con quella che i giapponesi definiscono “la sesta orchestra al mondo” con concerti effettuati in sale da tre o quattromila posti acusticamente perfette. I nipponici, ad esempio, hanno un rispetto quasi sacrale per la musica e per gli esecutori, soprattutto se sono italiani. Non ho dati precisi, ma mi sembra evidente che investano somme di danaro considerevoli per la crescita culturale della nazione. Pensa che a Nagoja abbiamo fatto una prova nel Conservatorio e, credimi, tutto sembrava fuorchè una struttura scolastica. Nella struttura ci sono numerose aule-studio e persino sale di incisione!!! Spero di tornarci presto».
 
A trent’anni che cosa ritieni di aver dimostrato e che cosa ritieni di dover ancora dimostrare?
«Che i buoni risultati si ottengono solo con duro lavoro e tanto sacrificio, avendo sempre ben chiari gli obbiettivi da raggiungere. Per inseguire i propri sogni bisogna correre come treni sulle rotaie. Quel che c’è da dimostrare, scusate il narcisismo, lo riconduco a me stesso, cercando di essere sempre all’altezza di supportare la fortuna che ho: quella di unire passione e lavoro. Chi sviluppa una forma d’arte, sostanzialmente, è utile anche agli altri perché in grado di decodificare codici che altrimenti sarebbero inaccessibili. L’artista è un mezzo».
 
Qual è la differenza tra un musicista e un diplomato al conservatorio?
«Sono come l’alfa e l’omega nell’alfabeto greco. L’uno è il punto di partenza, l’altro è la meta. Lo studente di conservatorio termina il percorso di studi avendo posto le basi per poter diventare un musicista. Probabilmente uno strumentista può davvero elevarsi alla condizione di musicista solo quando i segni del tempo saranno visibili sul suo corpo. La musica è una ricerca costante di una verità, ma il percorso è lungo ed impervio con una fine, purtroppo o per fortuna, mai scontata. A noi resta solo il compito di inseguire questa verità investendo sul lavoro e sullo studio attraverso l’utilizzazione ottimale delle nostre forze. Attualmente – passami la battuta – posso dire di essere un “musicista” solo quando vado a rinnovare la carta d’identità».
 
[Intervista già apparsa sul quotidiano di Teramo «La Città» il 23 dicembre 2011]
 




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