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Roseto Basket Story
MOTTA: DI PADRE IN FIGLIO.
Roseto, 2018. Felipe Motta.

Rieti, 2002. Paulo Cesar ‘Paulinho’ Motta con Gianluca ‘DJ’ De Ambrosi.

Roseto, 2018. Matteo Spagnolo.

A Roseto vince lo Scudetto Under 15 Felipe, figlio di Paulinho. E poi c’è il corso e ricorso storico col Real Madrid: oggi Spagnolo, ieri Attruia.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Lunedì, 11 Giugno 2018 - Ore 16:00

Roseto degli Abruzzi, PalaMaggetti, domenica 3 giugno 2018.

È appena finita la Finale Scudetto Under 15 Maschile e la Stella Azzurra Roma ha battuto Bassano del Grappa 69-63, al termine di una partita godibile anche da chi ha fatto la bocca alla A2.

Prendo le statistiche e ho la conferma numerica di ciò che ho visto in campo. E cioè che più del comunque ottimo Matteo Spagnolo (il numero 6), destinato al vivaio del Real Madrid (39 minuti e 42 secondi, 16 punti, 7 rimbalzi, 3 assist), la differenza l’ha fatta il numero 4 (40 minuti, 30 punti, 15 rimbalzi, 2 assist). Così vado a controllare chi è. Leggo: Motta Felipe (capitano).

Motta... Motta... questo cognome non mi è nuovo. E mentre ci penso, irrompe il puntuale collega Fabio Talamonti che mi chiarisce tutto: «Luca, Motta è il figlio del Motta che giocò a Roseto, in Serie A».

Bingo!

Felipe è il figlio di Paulo Cesar Motta, detto “Paulinho”, tiratore brasiliano arrivato nel Lido delle Rose per un scampolo della stagione 2000/2001, con il compito di dare minuti di fiato a Mario Boni.

Dopo Roseto, Paulinho continuò a giocare nelle minori – da oriundo – vincendo pure la Serie C1 a Ostuni sotto coach Giovanni Putignano, se ben ricordo.

Paulinho, che in campo era un comprimario, era un fuoriclasse umanamente. “Atleta di Dio”, mi raccontò in una intervista di aver venduto la sua automobile per mandare due “meninos de rua” a studiare e giocare a basket negli Stati Uniti. E che continuava a sostenere un programma di studio per supportare i ragazzi poveri brasiliani, dando loro una chance di riscatto sociale grazie alla pallacanestro.

Alla qualità dell’uomo Paulinho si affezionò pure il collega Pierpaolo Marchetti (all’epoca, io scrivevo per Il Tempo e lui per Il Messaggero), che poi parlò della storia del brasiliano al suo amico Gianni Mura, il quale lo fece arrivare fino alle pagine di Repubblica.

Ma torniamo al PalaMaggetti, domenica 3 giugno 2018. Mi avvicino a questo ragazzone e rivedo nel suo sorriso la dolcezza di quello del padre. Gli chiedo una foto con lo Scudettino, che poi giro al genitore tramite Messenger. Paulinho, anche se da qualche tempo non lo sento, subito risponde ringraziando. Non è in tribuna perché – mi dice Germano D’Arcangeli – oggi è uno scout della franchigia NBA dei Bucks ed è a Treviso per lavoro.

Così intervisto Felipe, che ha appena vinto lo Scudettino giocando laddove il padre aveva difeso i colori rosetani. Ecco le sue dichiarazioni: «È una bella sensazione: sapere che anche mio padre è passato da questo parquet, mi fa sentire bene. Il mio sogno è di giocare in Eurolega e, magari, in NBA, che poi è il sogno di ogni ragazzo della mia età che gioca a basket. Ci sto provando in tutti i modi ad arrivare il più in alto possibile». Circa la figura paterna, così Felipe: «Mio papà mi ha sempre insegnato a non dare mai nulla per scontato e a impegnarmi sempre al massimo se voglio raggiungere i miei obiettivi. È il mio idolo e il mio eroe e io ambisco a essere come lui come uomo... e più forte come giocatore».

Da Felipe passo a Matteo Spagnolo (uno con questo cognome, dove poteva andare a giocare se non a Madrid?). Ecco le dichiarazioni del “giovane favoloso”, al quale ho detto che vederlo giocare fra i suoi pari età mi ha ricordato quando, qualche anno prima a Mosciano, ho visto giocare Cecilia Zandalasini nell’Under 17 Femminile... entrambi sembravano “i genitori” dei compagni di squadra. Così Matteo: «Secondo me la cosa più importante è essere sempre calmi in campo, per scegliere al meglio le decisioni da prendere. Questo ti consente di capire quando devi prendere più iniziative in attacco, come ad esempio ho fatto contro Milano, o quando devi giocare più per i compagni se ti pressano e raddoppiano. I miei modelli di riferimento sono quei giocatori forti che non perdono mai la calma, neanche nei momenti più difficili». Sul fatto di sembrare “un fuori quota” fra quelli della sua età, Spagnolo chiosa: «Allenarmi e giocare anche in Serie B con coach D’Arcangeli è stato un passo in avanti. Grazie a questa occasione che ho avuto durante la stagione riesco a capire più cose che altrimenti non avrei compreso». Infine, sul trasferimento al Real Madrid – che per un ragazzo così giovane non può certo essere un punto d’arrivo – Matteo ha concluso: «Per me il Real Madrid è un altro punto di partenza, dopo questo bellissimo percorso fatto alla Stella Azzurra. Sono contentissimo di avere questa possibilità di andare al Real e spero di fare bene. Da grande, ovviamente, spero di arrivare in Eurolega... anche se adesso è troppo presto e non si può dire niente».

Saluto Matteo, lo penso nella cantera del Real Madrid e mi salta in mente un altro “corso e ricorso” e cioè che su questo parquet del PalaMaggetti, nel campionato 2001/2002, un altro giocatore “passò” al Real Madrid. Si tratta di Stefano Attruia, che andò a rinforzare le meringhe castigliane dopo aver composto, la stagione precedente, con George Gilmore e Mario Boni uno spaziale trio di mitraglieri e aver iniziato il campionato successivo ancora con il Roseto Sharks.

Il tempo passa, i figli crescono, noi ci facciamo vecchi, il Roseto Basket e la sua storia si arricchiscono di nuove pagine.

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Luca Maggitti
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