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Libriamoci [invito alla lettura]
GIOVANNI FALCONE, IL CAPITANO PELLEGRINI, IL RAPPORTO «MICHELE GRECO+161» E L’ITALIA CAMPIONE DEL MONDO...
La copertina del libro.

L’urlo di Marco Tardelli, dopo il gol in finale, simbolo dell’Italia vittoriosa al Campionado del Mondo di Spagna 1982.

Giovanni Falcone e Angiolo Pellegrini, in Nord America nel 1985, durante una missione.

Mentre l’Italia vinceva il Campionato del Mondo 1982, fedeli servitori dello Stato lavoravano per mettere le manette ai mafiosi. Un ricordo dal libro del generale dei Carabinieri Angiolo Pellegrini, nel giorno della finale 2018.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Domenica, 15 Luglio 2018 - Ore 15:00

[Pagine 88, 89, 90.]

Falcone invece, come mi aspettavo, fu uno dei pochi a mostrarsi entusiasta, mi tempestò di domande sui dettagli dell’atto giudiziario in corso d’opera. Un giorno – eravamo quasi agli sgoccioli del lavoro – mi chiese di passare dal suo ufficio per avere gli ultimi ragguagli, ma prima di metterci a discutere, mi vidi consegnare un paio di chiavi: erano quelle della zona bunker, l’area riservata e protetta, da poco edificata all’interno del Palazzo di Giustizia, dove risiedevano i magistrati del pool.

«Così può entrare quando vuole e, se necessario, lasciarmi dei documenti anche quando non ci sono.»

Lo guardai stupito: per ragioni di estrema sicurezza, nessuno, a parte gli stessi giudici, poteva accedere a quei locali. Nemmeno i più alti ufficiali. «Perché si meraviglia?» mi fece lui. «Credo che la mia fiducia se la sia ampiamente guadagnata. Ma adesso, bando alle ciance, mi dica a che punto siamo...»

«Siamo alle conclusioni, dottore. E coincidono perfettamente con le sue tesi, con la sua famosa ‘visione unitaria’. Questo rapporto dimostrerà, una volta per tutte, che le famiglie di mafia fanno parte di un’unica struttura criminale che opera non solo a Palermo e provincia, ma in tuta la Sicilia, nel resto dell’Italia  e anche a livello mondiale con i traffici di droga.»

«E con quelli che dicono che fuori Palermo invece ci sono solo delinquenti di mezza tacca, scassapagghiari, come la mettiamo?» ribatté ironico il giudice.

«Dovranno ricredersi. Abbiamo fatti, riscontri e soprattutto testimonianze che dimostrano il contrario: cioè che tra le famiglie e gli uomini d’onore di Palermo e di altre zone dell’isola ci sono rapporti d’affari, vincoli e complicità nello spaccio di stupefacenti e nell’organizzazione di delitti, sequestri, omicidi e altri reati. E che ogni cosca ha una propria zona di influenza con un capo che risponde a sua volta a una struttura sovraordinata. Alla guida, secondo quanto c’è stato detto, c’è Michele Greco».

«Be’, se non altro, non mi daranno più del pazzo visionario», fu il commento soddisfatto di Falcone.

All’inizio di luglio, quando il rapporto denominato «Michele Greco + 161» era quasi pronto, dall’alto ci piovve l’ordine di accelerare i tempi, perché era stato deciso che la retata sarebbe scattata prima del previsto. «Di cos’hanno paura? Che i muri parlino e qualcuno se la dia a gambe?» mi confrontai con Ninni (Cassarà, n.d.r.).

Lui non mi rispose. Si alzò e andò a chiudere la porta dello stanzone, non senza aver dato un’occhiata a entrambi i lati del corridoio. Poi accese la radio alzando il volume in maniera esagerata. Io e Curcio lo guardammo come se fosse impazzito. La sintonizzò sulla Rai che da poco aveva concluso la diretta di Italia-Polonia, semifinale del mundial spagnolo. Gli azzurri avevano battuto i polacchi per 2 a 0, guadagnandosi l’accesso alla finalissima. Fuori dalla finestra si sentivano i caroselli dei tifosi in festa per le strade di Palermo.

Cassarà si avvicinò e con voce bassa, quasi un sussurro, mi disse: «Ma tu non hai sentito niente? Pare che vogliano anticipare i tempi perché Dalla Chiesa adesso non è a Palermo e qualcuno lo vuole fuori dai coglioni al momento dell’operazione. Se no, i meriti se li prenderà lui».

«Ho capito: roba politica. Vabbè, pensiamo al lavoro», tagliai corto. Ci avevano comunicato che gli arresti sarebbero scattati in anticipo domenica 11 luglio, la notte della finale mondiale tra Italia e Germania Ovest. Per cui ci restavano pochissimi giorni per finire il rapporto e riuscire a consegnarlo in procura entro quarantott’ore dal momento degli arresti. A Palermo continuava a fare un caldo africano ma, nei giorni che seguirono, lavorammo lo stesso come matti, praticamente senza mai fermarci. E, alle due del pomeriggio di quella fatidica domenica, i verbali di arresto arrivarono puntuali sulla scrivania del procuratore capo.

«Ottimo, capitano. Adesso però aspetto il rapporto», mi ammonì Pajno. «Da questo momento avete due giorni di tempo per consegnarlo nelle mani dei sostituti Geraci e Di Pisa. Non un’ora di più. E mi raccomando, che non sia un mero elenco telefonico.» Lo rassicurai e tornai al lavoro insieme a Curcio. Restammo chiusi nel mio ufficio per le successive quarantott’ore: eravamo lì, io in piedi a dettare e il mio sottufficiale seduto a scrivere, anche nel momento in cui scattò il blitz.

Qualche ora prima, gli azzurri avevano battuto i tedeschi allo stadio Santiago Bernabéu di Madrid, laureandosi campioni del mondo per la terza volta. Molti dei 161 denunciati furono arrestati mentre facevano ritorno a casa, dopo aver sfilato tutta la sera nei cortei imbandierati a festa per le strade della città. Carabinieri e polizia, incuranti del trionfo di Paolo Rossi e compagni, avevano preso d’assalto, in assetto da guerra, le borgate di Ciaculli, Brancaccio, Sperone e corso dei Mille, per mettere le mani su capimafia e affiliati.

Angiolo Pellegrini


Angiolo Pellegrini
NOI, GLI UOMINI DI FALCONE
La guerra che ci impedirono di vincere
Prefazione di Attilio Bolzoni
Scritto con Francesco Condoluci
Sperling & Kupfer – Pickwick 2017 – Euro 9,90

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