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RITA BORSELLINO
5 dicembre 1992. Rita Borsellino e Leonardo Nodari.

5 dicembre 1992. Antonino Caponnetto e Leonardo Nodari.

28 ottobre 2007. Leonardo Nodari e Rita Borsellino.

Oggi è scomparsa Rita Borsellino. Nel 1992, con Antonino Caponnetto, volle la nascita del Premio Borsellino, che ha sempre supportato. In suo onore e ricordo, pubblichiamo le pagine della prefazione di Leonardo Nodari del libro Samarcanda.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Mercoledì, 15 Agosto 2018 - Ore 20:45

[Pagine 7-8.]

Prefazione
COME TUTTO EBBE INIZIO


Nel lungo viaggio della mia vita bellissima, senza soste, senza mai sufficiente respiro, senza tramonti, piena di immagini, dubbi, certezze, volti, musiche, addii, sguardi e ricordi, ci sono alcune scene che, come in un film che dal 1992 rivedo ogni anno, rimangono immobili e incancellabili.

Scene che hanno cambiato la mia vita. Non ricordo gli oltre 500 incontri, dibattiti, momenti di testimonianza con gli oltre 1.000 amici che sono passati a trovarci in questi oltre 20 anni. Non posso ricordare quante mani ho stretto, quanti volti ho visto, quante volte ho detto grazie, quante volte mi sono commosso. Perché questo mio impegno di giustizia, che poi è stato di tanti e tanti amici, si è incrociato con il mio lavoro che ha avuto tratti frenetici.

Ma mi ricordo come tutto ebbe inizio.

A trent’anni ero il giovane presidente nazionale di una associazione cattolica. Avevo già viaggiato molto nelle missioni. Avevo già visto le donne morire di sete nel Sahel seguendo il progetto della “Caritas”, avevo già visto i lebbrosi in Africa e in Amazzonia con la “Raoul Follereau” e i meninos de rua assistiti dai progetti di “Mani Tese”.

Il 30 dicembre del 1989, nella cittadella della Pro Civitate Christiana di Assisi, ero stato invitato a parlare sul tema “Incontro all’anno nuovo” con il giovane e aitante sindaco della primavera di Palermo, Leoluca Orlando. Tra i teologi tutta teoria e i professoroni “bla bla”, la sua figura spiccava con una forza che mi impressionò.

Mi sembrava un capo indiano, sul piede di guerra, che sfidava la mafia ed i poteri forti invece che le giacche blu. Parole così forti, così chiare, così nette io non le avevo mai sentite. Mi ricordava
Giorgio Almirante, ma era un’altra figura. E quando scese dal palco sentivo già che stavo con lui, dalla sua parte.

Nell’agosto 1990, Orlando mi invitò a Trento per costituire “una rete di presenze che si riconoscono nella tradizione cattolico-democratica”. Il 1 novembre 1990, con Goffredo Tomassi invitai Orlando
alla camera di Commercio di Teramo per costituire questa “rete”, cui aderì a suo modo Peppino Massi.

Il 9 marzo 1991 ero a Roma, mentre Orlando, Diego Novelli e Alfredo Galasso presentavano ufficialmente il nuovo movimento, “La Rete”, di cui divenni segretario regionale per l’Abruzzo, dove intanto erano stati costituiti 46 circoli comunali.

A Roseto c’erano Luca Maggitti, Roberto Clementoni, Marco Rapone e altri. E così, in un intreccio di identità diverse della società civile, il 24 novembre andammo a Firenze per l’assemblea  nazionale.

A passi veloci, ecco il 1992.

Esplode “Mani Pulite”, esplode Sarajevo, ci sono le elezioni, esplode Capaci.

Non c’è tempo per respirare. Il 25 giugno 1992 la “Rete” chiama a raccolta nella biblioteca di Palermo per ricordare Falcone. Non mancano le polemiche. Ma ci sono anch’io per cercare di parlare con Orlando.

Dentro un muro umano arriva Paolo Borsellino. Vedo e sento per l’unica volta Paolo Borsellino. Seduto dietro la mole di Antonio Agostino, lo ascolto ma soprattutto lo vedo. Mi basta vedere il suo sguardo. Mi basta per capire che sono con lui, dalla sua parte.

Chiedo a Galasso di potermi avvicinare, ma muoversi è impossibile. Vorrei dire a Paolo una cosa. Vorrei dirgli. Ma muoversi non è possibile. Avvicinarlo impensabile. Ma vorrei dire a quel giudice una cosa. Vorrei dirgli. Penso che ci sarà un’altra occasione per dirgli ciò che avevo nel cuore.

19 luglio 1992, il cuore si ferma.

Il fumo sembra prevalere sul sole in una calda domenica d’estate. C’è un debito da pagare. E non c’è più tempo per respirare.

Sabato 5 dicembre 1992, ore 11. Nella sala della Camera di Commercio di Teramo arrivano Antonino Caponnetto e Rita Borsellino, per ricordare Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.

Per la prima volta a Teramo arrivano i metal detector. Ogni persona, ogni borsa è perquisita. C’è un po’ di paura che serpeggia. In prima fila, il Sindaco Pietro D’Ignazio, Alberto Aiardi, Antonio Tancredi, Osvaldo Scrivani erano impietriti.

Il giovane ispettore della Digos Giovanni La Torre mi manda più volte a quel paese con lo sguardo paterno. C’è un po’ di ritardo, ma ecco che da lontano si sentono le sirene di un corteo di auto. Esco. Usciamo in tanti anche se piove.

Tra gli applausi scende da una Alfetta blu Rita Borsellino, vestita di bianco. Poco dopo, da una Giulietta bianca scende un’esile figura, stanca, alta, con un impermeabile grigio chiaro, che mi saluta e sorride. Saluta tutti. Alza le braccia sotto la pioggia. Abbraccia Rita.

Poche parole.
 
È Antonino Caponnetto, il magistrato che nel 1983, dopo la bomba che uccise Rocco
Chinnici per aver costituito il primo Pool Antimafia, chiese e ottenne il trasferimento da Firenze a Palermo per prendere il posto di Chinnici e guidare l’Ufficio Istruzione della Procura di Palermo.

Accanto a sé chiamò Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta e con loro organizzò il primo vero processo alla mafia, il maxiprocesso di Palermo, che portò a oltre 400 condanne.

Ricordo e ricordiamo tutti il suo volto terreo, mentre esclama: “È finito tutto! È finito tutto!”.

Non è facile rientrare in una sala stracolma di gente seduta, in piedi, in ogni angolo.

Ricordo ancora le parole di Rita. Parla poco di Paolo e ancora si commuove. Poi parla lui, Caponnetto e dice: “Vi racconto di Paolo. Certo Paolo e Giovanni. Ma voi ricordatevi…”. Si ferma
un secondo. Abbassa la testa, è commosso, Una lacrima. Che diventa la lacrima di tutti. Alza il viso e mi guarda, poi guarda i giovani in sala e grida forte: “Promettetemi, promettetemi che non vi scorderete mai di Giovanni e Paolo”.

Come un lampo, le parole che avrei voluto dire a Paolo mi attraversano. Le avevo scritte, le avrei volute leggere a Rita, ma mi sembrarono inutili. E così non le ho mai più dette. A nessuno.

Ma da quel giorno manteniamo una promessa. In fondo, a pensarci bene, come tanti, in tanti modi, quel che abbiamo fatto e che facciamo è soltanto mantenere una promessa.

Leonardo Nodari


Luca Maggitti
SAMARCANDA
Cultura in provincia per un’Italia migliore
Interviste e immagini del Premio Borsellino, del Premio Fava e di altri incontri
Carsa Edizioni – Ottobre 2012

ROSETO.com
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