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Libri
MUSSOLINI... E VAI SUL VELLUTO
La copertina del libro.

Antonio Scurati.

Mario Giunco.

La vita del Duce “romanzata” da Antonio Scurati. Con qualche svista di troppo. E con il sapore del “déjà-lu”. La recensione di Mario Giunco, pubblicata su Eidos News.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Martedì, 27 Novembre 2018 - Ore 19:15

Si racconta che fra le benemerenze antifasciste – poche per la verità,  e scarsamente attestate  - vantate da Maria José di Savoia vi fosse quella di aver chiamato per la prima volta  Mussolini “Provolone”. Un giorno le fecero rilevare che il soprannome glielo aveva già messo lo scrittore Carlo Emilio Gadda e la regina ci rimase male.

Si ha la stessa impressione leggendo  il primo volume (841 pagine, ne sono previsti altri due,  di pari mole) del romanzo “M. Il figlio del secolo” (ed. Bompiani) di Antonio Scurati, che è in testa alle classifiche dei libri venduti. Ha avuto,  sul momento,  eccellenti recensioni, prime fra tutte quelle di Roberto Saviano e di Pierluigi Battista. Poi gli entusiasmi sono un po’ calati. Ernesto Galli Della Loggia ha pedantescamente elencato strafalcioni e incongruenze (si confonde Carducci con Pascoli, il letterato Francesco De Sanctis, Ministro della Pubblica istruzione, con lo storico Gaetano De Sanctis; la disfatta di Caporetto è posticipata di un mese; Benedetto Croce è chiamato “professore”,  titolo che sommamente detestava, antiaccademico come era etc.) e talune esagerazioni  estremizzanti (Antonio Salandra, il presidente del Consiglio che decise l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale, porta  “sulla coscienza milioni di morti”, come Hitler).

Per Galli Della Loggia, l’autore – peraltro docente universitario – non avrebbe superato gli esami di liceo. Battista ha detto che non si era accorto di niente, bontà sua, ma che il libro è importante e bisogna leggerlo per quello che è, un romanzo storico (però i romanzi storici dell’Ottocento, come quelli di Zola, ben altrimenti erano documentati).

Scurati ha dato la colpa all’editore, che sostiene di aver sottoposto il testo a duplice revisione  storica e  letteraria, ma anche i correttori di bozze perdono i colpi (ammesso che ve ne siano: i libri non ci si scomoda nemmeno a leggerli, si prendono sulla parola).

Finirà la contesa? In margine,  facciamo rilevare che la “M”, messa furbescamente e massicciamente sulla copertina, nero su bianco, è un po’ troppo simile ad altre M: quella di Gmail (posta elettronica) colorata in rosso e quella, ben più inquietante, di “M”,  il famoso Mostro di Dusseldorf, di cui al film diretto da Fritz Lang nel 1931, interpretato da Peter Lorre. Ancora.  L’appellativo di Mussolini “figlio del secolo” richiama, a un livello più alto (e roboante), quello di una famosa biografia del Duce, “Il figlio del fabbro” – dal mestiere del padre, la madre era maestra - di Mino Caudana (Anselmo Jona, giornalista, sceneggiatore e regista televisivo), uscita nel 1964, che si legge tuttora con profitto e divertimento. Tralasciamo gli almeno otto volumi, comparsi fra il 1965 e il 1997,  e i numerosi articoli e libri collegati di Renzo De Felice, che ne hanno fatto l’autorità  maggiore (e forse più contestata) su Mussolini e il fascismo.

Ci permettiamo di suggerire, accanto al romanzo di Scurati – e siamo d’accordo con Battista, bisogna leggerlo - la biografia di Mussolini di uno storico inglese, Denis Mack Smith (1920-2017), pubblicata nel 1981 (Rizzoli). Mack Smith era innamorato dell’Italia, aveva imparato alla perfezione la lingua da autodidatta, aveva conosciuto Benedetto Croce,  dissentendo da lui circa le interpretazioni del fascismo. Per il filosofo era una “malattia morale” transitoria, per lo storico qualcosa di più profondo, risalente a Cavour, difficile da estirpare, una “categoria dello spirito” per usare termini crociani.  Il “Mussolini” di Mack Smith (poco più di cinquecento pagine) è un saggio in piena regola, con note ed indici, ma è di carattere divulgativo, scritto con una prosa vivace, ironica, ricca di aneddoti e rende  la lettura  gradevole, come quella di un romanzo.

Un solo esempio: la fondazione dei Fasci di combattimento, avvenuta a Milano, Piazza San Sepolcro, il 23 marzo 1919.
Mack Smith: “Il 23 marzo 1919 Mussolini lanciava un movimento che due anni più tardi sarebbe divenuto il partito fascista. Della parola “fascista” si erano già impadroniti altri gruppi, ma attraverso il suo giornale Mussolini riuscì gradualmente a far riconoscere il proprio diritto esclusivo su tale attributo. La riunione del 23 marzo ebbe luogo in Piazza San Sepolcro, in una sala fornita da uomini d’affari milanesi, e coloro che vi parteciparono furono poi detti sansepolcristi. Stando a Mussolini non erano presenti che una cinquantina di aderenti; ma negli anni successivi, quando la qualifica di sansepolcrista dava automaticamente diritto a vantaggi cospicui in termini sia di stipendio, sia di prestigio e posizione sociale, furono centinaia coloro che riuscirono a far aggiungere alla lista il loro nome”.
Scurati (Mussolini parla in prima persona e i “sansepolcristi” diventano circa cento): “Affacciamo sulla piazza del Santo Sepolcro. Cento persone scarse, tutti uomini che non contano niente. Siamo pochi e siamo morti. Aspettano che io parli ma io non ho nulla da dire. La scena è vuota, alluvionata da undici milioni di cadaveri, una marea di corpi - ridotti a poltiglia, liquefatti – montata dalle trincee del Carso, dell’Ortigara, dell’Isonzo. I nostri eroi sono già stati uccisi e lo saranno. Li amiamo fino all’ultimo, senza distinzioni. Sediamo sul mucchio sacro dei morti. Il realismo che segue ogni alluvione mi ha aperto gli occhi: l’Europa è ormai un palcoscenico senza personaggi. Tutti spenti: gli uomini con la barba, i padri monumentali melodrammatici, i magnanimi liberali piagnucolosi, gli oratori magniloquenti, colti e fioriti, i moderati e il loro buon senso, cui da sempre dobbiamo la nostra sciagura, i politici decotti che vivono nel panico del crollo imminente, elemosinando ogni giorno una proroga all’inevitabile evento. Per tutti loro la campana è suonata”.

Mario Giunco
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