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Emanuele Di Nardo
Una volta fratelli: il basket e la crisi della Jugoslavia
LE OLIMPIADI DI BARCELLONA 1992
Juan Antonio Samaranch, Presidente del CIO che nel 1992 decise di escludere dalle Olimpiadi di Barcellona gli atleti jugoslavi delle discipline di squadra.

Un sorridente Drazen Petrovic, che indossa la canottiera della Croazia che arriverà in finale contro il Dream Team statunitense.

Borislav Stankovic, ex delegato jugoslavo della FIBA, fu uno dei principali artefici della presenza dei professionisti americani alle Olimpiadi di Barcellona.

La tesi di laurea, a puntate, del giovane teatino appassionato di basket. Puntata 18.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Giovedì, 19 Marzo 2020 - Ore 16:00

V.2: I Giochi della XXV Olimpiade - Barcellona ‘92

Nel mentre, a Barcellona erano in atto i preparativi per le Olimpiadi Estive e, come conseguenza della dimensione globale della manifestazione, il dramma jugoslavo entrò a pieno diritto nei Giochi. Il 30 maggio l’ONU si pronunciò con durezza contro la Jugoslavia e impose nei confronti della Federazione un embargo commerciale e finanziario. Una decisione che non fermò il governo di Milošević (anzi che accentuerà il carattere autocratico) ma che ebbe un peso forte almeno sul piano sportivo.

La Jugoslavia stava per essere cancellata anche dal mondo dello sport ma non mancarono contraddizioni. La Nazionale di calcio fu cacciata dagli Europei di Svezia ma Monica Seles, la tennista in quel momento n.1 al mondo, continuò a gareggiare al torneo parigino del Roland Garros, pur essendo serba (la famiglia era originaria dell’Ungheria). La giustificazione degli organizzatori francesi fu che la Seles poteva gareggiare a livello individuale. La bandiera della Jugoslavia era stata sostituita da quella olimpica ancor prima che il torneo fosse iniziato. Presso l’ONU la Francia si dichiarò contraria alle sanzioni sportive, definite “inutilmente vessatorie”.

Si aspettò che il CIO (Comitato Internazionale Olimpico) prendesse una decisione entro il mese, soprattutto per quello che riguardava l’Olimpiade di Barcellona, che cominciava il 25 luglio e terminava il 9 agosto. Ma il presidente Juan Antonio Samaranch, spagnolo, aveva già espresso la sua linea: “Saranno ammessi a Barcellona solo gli atleti delle discipline individuali” (1).

Le autorità sportive mondiali, compresa la FIBA guidata dal serbo Bora Stankovic, mostrarono più pragmatismo e buon senso, per cui la Slovenia e la Croazia poterono disputare da indipendenti le qualificazioni per le Olimpiadi di Barcellona (2). L’embargo sportivo era esteso a tutte le nazionali e a tutti i club, che da un momento all’altro si trovarono impossibilitati a proseguire i tornei e le manifestazioni internazionali a cui erano iscritti. Ma la sanzione, secondo l’ONU, doveva ricadere sullo Stato e non certo sui suoi atleti. Per questo motivo venne raggiunto un accordo tra il CIO ed il Comitato Olimpico della Jugoslavia che permise almeno agli atleti della Serbia e del Montenegro di essere ammessi ai Giochi a titolo personale, sfilando e gareggiando sotto la bandiera olimpica.

Diverso fu il discorso riguardante gli sport di squadra. Non essendo stata trovata una soluzione tanto efficace per salvare almeno l’aspetto sportivo, si optò per la scelta più drastica: l’esclusione. A livello olimpico, a farne le spese furono le discipline in cui la nazionale jugoslava era maggiormente competitiva e che videro sparire di colpo una delle candidate al titolo. Ad esempio la pallanuoto maschile, medaglia d’oro ai Giochi di Seul 1988 e Los Angeles 1984, ai Mondiali di nuoto di Perth e agli Europei di Atene 1991. Nikola Ribic, ai tempi mancino della Stella Rossa di Belgrado, tra i tredici in rosa ad Atene 1991 avrebbe dichiarato anni dopo:

La notizia della squalifica era nell’aria da tanto tempo e all'interno della nazionale non si parlava d’altro. Ci stavamo allenando da un mese e mezzo quando un primo stop di dieci giorni ci aveva fatto sospettare il peggio, poi le sedute erano riprese, ma una mattina sul pullman abbiamo sentito alla radio che solo gli atleti di sport individuali avrebbero potuto partecipare ai Giochi. Quel giorno ci siamo allenati non so nemmeno come, poi a pranzo un dirigente sportivo è venuto a dirci che non era vero nulla. Si vede che volevano tenere gli atleti all’oscuro fino all’ultimo, perché alla fine a dirci che dovevamo stare a casa sono venuti quattro giorni prima della data fissata per la partenza. Per quanto riguarda il Settebello (la squadra italiana che poi vinse l’oro in finale contro la Spagna, ndr), non c’è dubbio che fosse una squadra forte, ma negli ultimi anni non era mai riuscita a batterci e non la consideravamo l’ostacolo principale per il raggiungimento del nostro unico obiettivo, la medaglia d’oro. A preoccuparci era invece la Spagna, tanto che dedicavamo un’ora di ogni allenamento a provare schemi per neutralizzare la strategia a zona spagnola (3).

Ma fu anche un’occasione persa per il basket “jugoslavo”. I Giochi Olimpici di Barcellona ‘92 rappresentarono il passaggio di consegne fra la vecchia e la nuova pallacanestro; per questo il Dream Team americano sarebbe stato in prospettiva storica sempre su un piano più alto rispetto alle nazionali USA magari anche più forti. Certo è che la presenza dei professionisti NBA ai Giochi fece entrare il basket in una nuova dimensione, in cui l’America non era più un pianeta a parte ma “soltanto” la nazione leader sul piano sportivo e organizzativo (4). La possibilità di assistere ad uno scontro tra le nazionali dell’ex Jugoslavia fu preclusa ma la Croazia, guidata dal leader Dražen Petrović, giocò a livelli sublimi. La squadra, affidata al tecnico Petar Skansi, disponeva di atleti di livello mondiale come Radja e Kukoč, grazie ai quali riuscì a raggiungere la finale, contro gli USA. Non ci fu partita perché gli statunitensi erano di un livello superiore (la gara finì 117-85) ed è molto probabile che nemmeno una Jugoslavia al completo avrebbe potuto cambiare il risultato. Tuttavia, se la sola Croazia arrivò alla medaglia d'argento, furono in molti a credere che la nazionale campione del mondo a Buenos Aires nel 1990 avrebbe potuto davvero sconfiggere il Dream Team. Di questo avviso fu Vlade Divac:

Vidi ovviamente la finale ma per tutta la durata della partita non fui in grado di pensare ad altro se non ad una cosa: cosa sarebbe successo se fossimo stati ancora tutti insieme? Paspalj, Zdovc ed il sottoscritto. Con tutto il rispetto per gli altri ragazzi della formazione croata ma noi tre insieme a Petrović, Radja e Kukoč saremmo stati inarrestabili. È una domanda che non avrà mai risposta e personalmente mi porterò questo dubbio per sempre (5).

Una menzione speciale meriterebbe Borislav Stanković, il vero artefice del successo delle Olimpiadi ’92. Fu famoso non solo per aver contribuito ad organizzare nel 1970 i primi Campionati del mondo di pallacanestro in Europa, dopo un ventennio contrassegnato esclusivamente dai Paesi sudamericani. In realtà ebbe un ruolo decisivo per la partecipazione alle Olimpiadi di una squadra nazionale americana formata non più da studenti dei vari college o da amatori bensì dalle stelle più rappresentative dell’NBA.

Il giornalista americano Jack McCallum nel suo saggio “Dream Team” dedicato, per l’appunto, alla celebre formazione che dominò i Giochi di Barcellona, ha offerto una puntuale e precisa descrizione di Stanković nel capitolo introduttivo. Scorrendo le pagine si nota come l’idea lungimirante del delegato serbo (al tempo jugoslavo) della FIBA avrebbe rappresentato una svolta nello sport olimpico per com’era conosciuto al tempo: ammettere i più grandi cestisti del panorama mondiale e sfruttare la loro scia d’immagine e di popolarità per ridare slancio alla pallacanestro olimpica. Nel 1974 Stanković fece visita oltre oceano per studiare approfonditamente il sistema sportivo americano e per avviare le prime discussioni sulla possibile ammissione dei professionisti statunitensi nella principale manifestazione sportiva mondiale. Una proposta che, dopo numerose trattative, venne accolta e messa in pratica proprio nel 1992 (6).

NOTE
(1) D. Mariottini, Dio, calcio e milizia, cit, pag. 108.
(2) S. Tavčar, La Jugoslavia, il basket e un telecronista, cit, pag. 171.
(3) Eurosport, 27 maggio 2016, “Barcellona 1992, la Jugoslavia esclusa per la guerra”.
(4) S. Olivari, Gli anni di Dražen Petrović, cit, pag. 165-166.
(5) R. Gandolfi, Dražen Petrović e Vlade Divac, cit.
(6) Jack McCallum, Dream Team, Sperling & Kupfer, Milano, 2012, pag. 6.


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