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Emanuele Di Nardo
Una volta fratelli: il basket e la crisi della Jugoslavia
LA MORTE DI DRAZEN PETROVIC
Un sorridente Drazen Petrovic con la canotta della Croazia: l’ultima indossata nella sua brillante carriera.

I resti della Golf rossa nella quale perse la vita Drazen Petrovic, lungo un’autostrada tedesca, il 7 giugno 1993.

La tesi di laurea, a puntate, del giovane teatino appassionato di basket. Puntata 20.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Giovedì, 02 Aprile 2020 - Ore 14:45

V.4: La morte di Dražen Petrović

Per gli Europei del ’93 in Germania, fermo restando l’embargo nei confronti dei serbi, Slovenia e Croazia dovettero giocare ad inizio giugno un torneo di qualificazione a Wroclaw, in Polonia. Le due Repubbliche ex jugoslave si affrontarono in una partita vinta nettamente dai croati. Petrović fece ritorno dagli Stati Uniti per partecipare al torneo e, sebbene la squadra non avesse bisogno del suo apporto perché assolutamente più forte delle avversarie, il senso di appartenenza alla sua terra e alla sua gente era senza compromessi.

Finito il torneo, la nazionale croata si avviò verso casa per la consueta pausa tecnica in vista del nuovo raduno con l’obiettivo dei Giochi del Mediterraneo e, successivamente, degli Europei. All’aeroporto di Monaco di Baviera, coach Novosel si vide avvicinare da Dražen Petrović che gli diede la carta d’imbarco dicendogli che era venuta a trovarlo la fidanzata insieme ad un’amica, per cui avrebbe fatto il viaggio in macchina fino a casa e che per i bagagli non si preoccupassero perché sarebbe andato a ritirarli lui all’aeroporto di Zagabria.

La tragica morte del più forte cestista croato non potrebbe essere raccontata senza una sottile vena narrativa: alle 17:30 del 7 giugno, i tre viaggiavano su una Volkswagen Golf rossa, di proprietà della fidanzata Klara Szalantzy (modella e futura moglie del calciatore tedesco Oliver Bierhoff), su un’autostrada tedesca. A causa della pioggia, la pavimentazione stradale era viscida. Un tir, sulla corsia opposta, perse il controllo e invase la carreggiata sulla quale viaggiava l’autovettura.  La ragazza non riuscì ad evitare l’ostacolo e colpì il tir. Petrović, addormentato e non legato con la cintura di sicurezza, venne sbalzato fuori dalla vettura e morì sul colpo.

La scomparsa di Petrović assunse un significato particolare per il basket jugoslavo, come ebbe modo di constatare Sergio Tavčar:

Dal mio punto di vista la storia del basket jugoslavo finisce qui, con la tragica morte di Dražen Petrović, un Petrović al culmine della sua vita da sportivo. Con la sua morte si percepì vividamente e dolorosamente il concetto che nulla sarebbe stato come prima, che un’era era definitivamente tramontata. Il basket ovviamente andò avanti ma tutto diventò quasi superfluo, come se fosse solamente un’onda lunga di un’epoca leggendaria ed irripetibile. La Croazia subì uno choc devastante (1).

La notizia della morte del cestista croato venne diffusa sui notiziari di tutto il mondo, a dimostrazione della grandezza di un uomo e di quanto impatto avesse avuto soprattutto in America. Da qui venne a conoscenza della disgrazia Vlade Divac:

Mi trovavo in vacanza con la famiglia. Entrai in un bar per bere qualcosa quando vidi in tv le immagini di una partita di pallacanestro e subito dopo l’immagine di Dražen. Non riuscivo a capire cosa stessero dicendo. Pensavo che parlassero di un suo trasferimento o magari di una sua prestazione particolarmente brillante. Poi le immagini mostrarono qualcosa di diverso: la foto di un incidente, con una Golf rossa con la parte anteriore distrutta, quasi infilata sotto un grosso camion. A quel punto ho capito. E ho iniziato a piangere. Ho chiamato Anna, mia moglie. Anche lei conosceva benissimo Dražen. Sono scese le lacrime anche a lei. Voleva bene a Dražen. Non so quante volte sia venuto a casa nostra o siamo usciti tutti insieme per serate indimenticabili di risate e chiacchiere. Tutto finito per sempre. E a ogni minuto che passava il rimorso che cresceva dentro di me. Un maledetto gesto di rabbia, istintivo ma che non aveva neppure lontanamente il significato che politici e giornalisti hanno strumentalizzato in una maniera indegna, solo per manipolare le persone e arrivare ai loro scopi. Scopi di morte e distruzione che stiamo vivendo tutt’ora e chissà per quanto tempo ancora. Non rivedrò mai più Dražen, non avrò mai la possibilità di parlargli, di spiegargli tutto e di riabbracciarlo come dopo le tante vittorie condivise insieme. Perché io lo so, l’ho sempre saputo che sbollita la rabbia che una schifosa guerra ci ha fatto provare gli uni per gli altri un giorno sarebbe finita anche l’assurda freddezza e la distanza tra di noi. Invece non sarà più possibile, mai più. E non potrò neppure andare ai suoi funerali. “Sarebbe inopportuno, per tutti”. Lo dicono le persone vicino a me e di sicuro lo dicono e lo pensano anche le persone vicine a Dražen. Che assurdità. Ora so che questa ferita me la porterò dentro per il resto dei miei giorni (2).

NOTE
(1)  S. Tavčar, La Jugoslavia, il basket e un telecronista, cit, pag. 172.
(2)  R. Gandolfi, Dražen Petrović e Vlade Divac, cit.


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