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Emanuele Di Nardo
Una volta fratelli: il basket e la crisi della Jugoslavia
EPPUR SI MUOVE...
Luka Doncic, al termine dell’Eurolega 2018 vinta con il Real Madrid. Il fuoriclasse sloveno nell’occasione è stato nominato MVP della Finale.

La Nazionale slovena festeggia il suo primo titolo continentale dalla dissoluzione della Jugoslavia, vinto all’Europeo 2017 battendo in finale i cugini della Serbia.

Luka Doncic con la maglia di Dallas, nella NBA. Alla sua prima stagione, ha vinto il Rookie of the Year 2019.

La tesi di laurea, a puntate, del giovane teatino appassionato di basket. Puntata 23.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Giovedì, 23 Aprile 2020 - Ore 20:30

V.7: “Eppur si muove”…

La pallacanestro jugoslava d’inizio secolo ha subito una leggera e, per certi versi, naturale flessione in termini di successi internazionali. Eppure, negli ultimi anni, le nazionali eredi del patrimonio cestistico jugoslavo hanno conservato un ruolo di prestigio nel panorama mondiale.

La Serbia, così denominata ufficialmente a partire dal 2006, avrebbe rappresentato la degna erede cestistica della Jugoslavia riuscendo a plasmare un gruppo di atleti di grande prospettiva e, soprattutto, vincente. In effetti solo la nazionale serba è riuscita ad imporsi con costanza nelle manifestazioni sportive più importanti nel corso degli ultimi due decenni. Al contrario, come detto anche in precedenza, la Croazia subì, nell’immediato, il contraccolpo della dissoluzione politica e perse, di conseguenza, l’opportunità di primeggiare accanto ai colleghi serbi. Venne a mancare un sistema sportivo capace di sostituire degnamente la scuola di pallacanestro jugoslava.

L’eclissi cestistica della nazionale jugoslava, sebbene avesse decretato la scomparsa di una squadra dominante ed unica, allo stesso modo non sarebbe dovuta essere demonizzata e bollata solo come una parentesi fallimentare, la fine del sogno sportivo. In realtà l’altra faccia della medaglia ebbe modo di mostrare anche un risvolto positivo. Nonostante il successo degli slavi del sud derivasse dallo slogan titino di “fratellanza ed unità”, gli eventi del nuovo millennio misero in luce il fatto che, nello sport, non sempre l’unione fa la forza. In un sistema centralizzato, quale poteva essere la scuola jugoslava, le forze periferiche più deboli, a livello soprattutto economico e politico, cominciarono a soffrire e deperirono progressivamente. Al contrario, la disgregazione fornì l’opportunità per emergere e affermarsi. Senza ombra di dubbio l’esempio più rappresentativo fu offerto dalla Slovenia.

La Slovenia è stata sempre una regione dove il basket era vissuto come una specie di sport nazionale, sicuramente più del calcio. Però era stata inevitabilmente soffocata dalle altre Repubbliche più grandi e influenti, Serbia e Croazia, per cui i talenti che vi sbocciavano dovevano fare una lunghissima strada per arrivare ai vertici. Cioè dovevano mettersi in mostra nei vari campionati locali, al momento giusto passare all’Olimpija di Lubiana, che era sempre stata una specie di “nazionale” slovena con pochissimi innesti di giocatori “stranieri” (e anche quando ne prendevano, tipo Jelovac, andavano a prenderlo in Istria, cioè molto vicino), e poi eventualmente pensare di poter andare in nazionale. E, visto che l’Olimpija, per la concorrenza che c’era, raramente riusciva a giocare le Coppe internazionali, l’esperienza che questi giocatori maturavano era sempre limitata, per cui tantissimi non riuscivano in carriera a esprimere tutto il proprio potenziale. Con l’indipendenza tutto questo venne a cadere.

Si ebbero così esempi di giocatori cresciuti nelle Società minori che saltarono subito il fosso bypassando tranquillamente l’Olimpija e andando da molto giovani a forgiarsi in squadre importanti, esempi classici Nesterović, Smodiš, Lakovič, ma anche tanti altri tipo Slokar o Brezec. Giocatori che, se ci fosse stata ancora la Jugoslavia, forse mai avrebbero raggiunto quello che hanno poi raggiunto. Questi giocatori emersero perché intanto continuava l’onda lunga della scuola jugoslava, nel senso che gli allenatori che li allevavano, funzionavano ancora secondo i vecchi schemi (1).

Ma, guardando al recente passato, spicca un cestista su tutti che è stato capace di esprimere tutto il proprio talento precocemente: Luka Dončić. Il giovane atleta sloveno (classe 1999) è considerato uno dei giovani talenti più promettenti della pallacanestro europea e uno dei migliori giocatori internazionali della sua generazione. Tanto che il suo nome spesso è stato accostato, in termine di rendimento e di precocità, allo stesso Dražen Petrović.

Dopo aver mosso i primi passi nel settore giovanile dell’Olimpija di Lubiana, nel 2012 venne ingaggiato dal Real Madrid. E proprio con la Società iberica farà il suo esordio nel mondo cestistico vincendo ogni competizione alla quale prese parte, non ultima l’Eurolega 2017-18. Le ipotesi e le supposizioni non devono intralciare la ricostruzione storica ma un dato è innegabile: se, sotto il regime titino, gli sportivi jugoslavi erano obbligati a rimanere in patria fino al compimento del ventottesimo anno d’età e se, con la Jugoslavia ancora unita, la componente slovena della squadra nazionale era di sicuro minoritaria, davvero un atleta del genere sarebbe potuto emergere in passato? Se non avesse avuto la possibilità del trasferimento in Spagna nel corso della sua formazione, anziché restare in Slovenia, sarebbe diventato davvero un atleta di assoluto livello? Di certo un caso particolare non può fornire una prova sicura di questa ipotesi ma la nuova generazione, quella nata dopo la fine della guerra, senza ombra di dubbio sta giovando degli sviluppi storici dell’ex federazione. Non esiste più un’unica e formidabile scuola di pallacanestro ma si stanno prospettando all’orizzonte le singole scuole slave meridionali, impostante diversamente ma ugualmente vincenti. Come ha dimostrato il campo.

Nell’estate del 2017 si sono disputati gli Europei, passati alla storia non tanto per l’organizzazione che ha visto la sinergia e la collaborazione di quattro paesi (Finlandia, Israele, Turchia, Romania) alla riuscita dell’evento. Quanto piuttosto per la finale che si è giocata il 17 settembre a Istanbul: la Slovenia di Dončić contro la Serbia, la matricola del torneo contro l’indiscussa favorita. Si è trattata della prima finale di un torneo per nazionali in cui si sfidavano due rappresentative di nazioni un tempo afferenti alla Jugoslavia. Ed è stata anche la prima medaglia per la Slovenia da quando si presenta come nazione indipendente. Sebbene le due Repubbliche non avessero mai avuto legami profondi e non avessero versato sangue durante la guerra, tuttavia una gara del genere avrebbe potuto provocare tensioni ed eventuali scontri. Ma ciò non accadde.

Sono passati ormai tanti anni dalla dissoluzione della Jugoslavia, quanti bastano perché le matricole delle Università di questi territori siano giovani che non hanno mai sperimentato in prima persona la vita in comune, che non hanno perciò nessun tipo di legame emotivo con gli altri popoli che una volta vivevano con loro. Slovenia e Croazia sono nell’Unione Europea, dunque fanno parte di un’entità politica completamente diversa. La Jugoslavia sta insomma finendo di crollare anche nelle teste dei suoi abitanti. In campo sportivo e, nello specifico cestistico, le cose riflettono esattamente il quadro generale. I tempi della Grande Jugoslavia sono definitivamente tramontati (2).

NOTE
(1) S. Tavčar, Lezione da oltre confine, SuperBasket, 23 ottobre 2017.
(2) S. Tavčar, La Jugoslavia, il basket e un telecronista, cit, pag. 182.


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