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Politica
VALUTARE I POLITICI, SENZA INNAMORARSENE. MAI.
Giuseppe Conte e Mario Draghi.

L’arrivo di Mario Draghi, la voglia di Giuseppe Conte di non tornare a fare il professore, il fuggi fuggi dei politici di professione. Un pensiero.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Giovedì, 04 Febbraio 2021 - Ore 12:15

L’ingresso di Mario Draghi nella scena politica italiana – romana, in particolare – sta provocando un fuggi fuggi nelle trincee della politica.

Ogni partito, movimento, gruppo, coacervo di interessi, associazione a delinquere travestita (e tutte queste casistiche, che ci piaccia o no, esistono) sta valutando come incidere e portare a casa il carburante necessario per la propria sopravvivenza: una fetta di potere o, almeno, la garanzia di un paio di anni a stipendio fisso e altissimo (in rapporto al pochissimo prodotto per il bene comune).

Giuseppe Conte preme per elezioni subito, perché ha un solo modo per diventare un politico di professione e regalarsi almeno una decina d’anni di agi e ribalta: capitalizzare i suoi enormi sforzi (non deve essere stato facile sopportare prima Di Maio e Salvini e poi Di Maio e Renzi, gli altri sinceramente contano poco e disturbano ancora meno) ottenendo un 10% elettorale. Sa bene, l’avvocato del popolo, che un eventuale Governo Draghi spazzerebbe via nel giro di 6 mesi il suo ricordo. Ed è molto probabile che – dopo aver assaggiato le luci della ribalta, quella vera, quella potente – egli non abbia nessuna voglia di tornare a fare il docente universitario. Comprensibile.

Detto dell’uomo di Volturara Appula prestato alla politica, i politici di professione – che siano a favore o contro Draghi – stanno brigando furiosamente perchè devono, al cospetto di un gigante del potere, avere necessariamente uno sgabellino sopra il quale issarsi per contare qualcosa. O, almeno, godere del riverbero del sole draghiano.

Perché un conto è ingaggiare Ciampolillo e tirare a campare, che come ricordava Giulio Andreotti è sempre meglio che tirare le cuoia, un altro è lavorare sodo ogni giorno a fianco di Mario Draghi, che magari ti parla di cose che tu non capisci e hai bisogno di ingaggiare non l’amante o il parente come portaborse, bensì uno che ci capisca davvero e ti traduca, per non farti fare la figura del coglione ripieno.

Tanti invocano le elezioni, la necessità per un popolo di votare, dipingendo Draghi come una sorta di golpista, un corpo estraneo alla politica romana troppo potente per essere ricattabile.

Quegli stessi politici, però, dimenticano che le elezioni del 2018 si conclusero con il Centro-destra al 37%, il Movimento 5 Stelle al 33% e il Centro-sinistra al 23%. E che il Governo Conte 1 era un contratto di programma sovranista-populista fra Lega (fuoriuscita dal Centro-destra) e Movimento 5 Stelle e che il Governo Conte 2 era la negazione del Conte 1, essendo un accordo di potere fra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico ispirato da Renzi, senatore del PD che poi si è fatto la sua casetta in campagna creando Italia Viva.

E siccome lorsignori (per dirla con il compianto Fortebraccio) sanno bene che l’avvento dei tecnici Ciampi e Monti spazzò via gran parte degli attaché della politica politicante (e anche di molti funzionari e dirigenti), sanno pure che devono puntare prima alla loro sopravivenza, poi a quella del loro partito, infine – ma se proprio c’è tempo, dopo l’aperitivo o il sigaro di fine cena – badare al bene del popolo italiano.

Oscar Wilde sosteneva: «Adoro i partiti politici: sono gli unici luoghi rimasti dove la gente non parla di politica». Dai suoi tempi ai nostri, con la mollezza dovuta a lunghi decenni senza guerra in Europa, il crollo di muri e ideologie e l’avvento di innovazioni tecniche e tecnologiche che vanno troppo veloci per il legislatore, la classe politica si è  sfrangiata, rammollita, sfarinata, deprezzata, imbarbarita.

Io ricordo una politica che governava l’economia, oggi mi pare il contrario. Io ricordo una politica alla quale i gangster si rivolgevano per diventare mafia (gangsterismo+politica=mafia, sennò è delinquenza organizzata), mentre oggi – spesso, come dimostrano le indagini – i mafiosi scelgono un pupazzo da mandare a rappresentarli in Parlamento.

Vedremo come andrà a finire il tentativo di “SuperMario”. L’importante, per i cittadini – che parlano e si appassionano di politica, mentre i politici parlano di potere – è non cadere nella trappola dell’innamoramento. Amare la Politica, mai i politici. Essi vanno invece valutati, senza farsi troppo coinvolgere da retaggi ideologici spesso fuori luogo e inutili al bene comune.

Siamo la Terra del 2021, con minacce alla comunità umana (che è poi l’unica razza, come ricordava Albert Einstein) che sono ormai tutte globalizzate: clima, terrorismo, virus e altre cose che fanno paura in ogni angolo del nostro piccolo pianeta.

Non perdiamo tempo a innamorarci dei politici. Seguiamoli e valutiamoli, invece. E quando non hanno più la capacità di restare in sella, salutiamoli secondo il precetto dell’imperatore Marco Aurelio: «Prendere senza illusioni, lasciare senza difficoltà».

Capisco chi di politica vive e i loro clientes: essi sono condannati, per mangiare, a vivere da tifosi e non possono permettersi l’elaborazione di un pensiero, né tanto meno di un giudizio sull’operato dei loro patroni. Ma chi può, si conservi lucido e valuti le cose per come sono e non per come vorrebbero che fossero.

La governabilità politica italiana è impossibile, dal 2018. Lo hanno detto le elezioni. Perciò, essendo l’Italia una democrazia parlamentare, chi ci governa cerca in Parlamento i voti su accordi di programma.

E dal 2018 ad oggi, i governanti hanno detto prima bianco e poi nero, arruolando prima sovranisti e poi europeisti, pur di comandare. È il potere, bellezza.

Che diventa delirio in questo periodo, in cui avere potere in Italia significa poter decidere come andrà incanalato il fiume di denaro che l’Europa dovrebbe concederci.

Lucidità, dunque. Non facciamoci fregare dall’innamoramento, inutile, di chi per mestiere batte il marciapiede (della politica, s’intende).

Valutiamoli, con il giusto distacco. E quando non vanno più bene, a casa.

Ad esempio: Giuseppe Conte o Mario Draghi, chi è meglio?

Per me, in questo particolare momento politico, data la situazione parlamentare ed essendo entrambi due non eletti né candidati nell’ultima tornata elettorale, è meglio quello con il più alto curriculum, che ha il mentore migliore (uno ha Luigi Di Maio, l’altro Sergio Mattarella) e che ha i contatti diretti a più alto livello con i potenti della Terra.

Perché penso – e spero di non sbagliarmi – che chi ha più forza ed è meno ricattabile si concentrerà soltanto sulla risoluzione dei problemi del Paese, invece che su quella dei problemi personali, degli amici e dei parenti e solo dopo su quelli del Paese.

Luca Maggitti
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