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Libri
2.0 HEMERON, IL DECAMERON AI NOSTRI GIORNI...
La copertina del libro.

Sergio Rapone con il libro.

Luca Maggitti, Sergio Rapone con il libro e Marco Rapone.

Iniziativa editoriale di alcuni studenti del liceo D’Annunzio di Corropoli, grazie al professor Daniele Di Massimantonio.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Domenica, 14 Febbraio 2021 - Ore 11:30

A fine 2020 è uscito il libro “2.0 HEMERON – Il Decameron ai nostri giorni”, a cura di Daniele Massimantonio, con la prefazione di Leonilde Maloni e i contributi di Jacopo Albano, Gae D’Annuntiis, Jacopo Di Giuseppe, Raissa Iachini, Andrea Pugliese, Elisabetta Ranalli, Sergio Rapone, Padma Michela Ricca, Christin Rocci, Maria Elena Vagnozzi.

Il volume è stato pubblicato da Arsenio Edizioni, in collaborazione con il liceo scientifico “Gabriele D’Annunzio” di Corropoli.

A livello personale, la grande soddisfazione di leggere fra gli autori dei racconti il nome di Sergio Rapone – figlio dell’amico e collega Marco – del quale sono padrino di battesimo (“lù cumbarucce”, per dirla in dialetto). Sergio ha scritto “Landuccio arrajat”, con il nom de plume di Vico Arrosto.

Per raccontare qualcosa del libro, in vendita a Roseto anche a La Cura di via Latini, pubblico la prefazione e l’introduzione del curatore.

Complimenti ai ragazzi, all’insegnante e alla dirigente scolastica.


Prefazione
LA SCRITTURA AL TEMPO DEL COVID 19
di Leonilde Maloni


La scuola non si ferma è solo uno slogan che non consola della distanza dai ragazzi.
Neppure lo sguardo assonnato nell’occhio infedele della videocamera o la risposta rassicurante al ripetuto Ma ci sei? Mi senti? …e sono qua, prof, la seguo, la sento… ero rimasto fuori, non mi facevano entrare in piattaforma…
Che cattiva oralità quella delle piattaforme: un linguaggio trasformato dal nuovo contesto che resiste alla parola calda della quotidianità e della vicinanza.
Allora è straordinario ritrovarli qui i nostri ragazzi, reali e autentici nella loro scrittura, dove l’immaginazione si mostra autentica alleata dell’introspezione e del ragionamento.
Un rito che si rinnova dai tempi della tradizione orale e che l’antropologia ci consegna come punto più vicino alla nascita stessa dell’uomo, quando il sogno e la parola, che insegue i suoni ancestrali, rappresentano la traccia di una narrazione che viene prima, tragicamente o fortunatamente, di qualsiasi logica organizzazione e rappresentazione della realtà.
E così dieci giovani hanno scelto di consegnare alla scrittura il volo oltre il muro di casa che protegge e limita, che consola e angoscia, che solleva e appesantisce.
La vita che si vive e la vita che si scrive appare a loro forse meno distante dal gioco dei bambini a fare finta, perché spesso quel gioco permette di guardare in faccia una realtà che non ci piace.

“In certi momenti mi sembrava che il mondo stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione più o meno avanzata […] Era come se nessuno potesse sfuggire a Medusa.”

La scrittura deve avere, dice Calvino, la leggerezza delle nuvole su cui Perseo si appoggia per tagliare la testa alla Gorgone e sfuggire il suo sguardo. Per non essere pietrificato, egli guarderà il suo volto riflesso nello scudo.
La scrittura, dunque, non guarda mai dritta in faccia la realtà, ma la osserva per trarne bellezza e risorse nuove per la fatica quotidiana del vivere.
Un corso di giornalismo, interrotto dal Covid e ripreso grazie a videolezioni, e un corso di scrittura creativa, tenuti da professionisti che amano scrivere e leggere, hanno aiutato i nostri studenti a consegnare alla parola scritta le loro immagini di una vita che produce futuro.


2.0 Hemeron
il Decameron ai nostri giorni
di Daniele Di Massimantonio


«[Correva l'anno 1348] quando nell’egregia cittá di Firenze [...] pervenne la mortifera pestilenza, la quale [...] nelle parti orientali incominciata [...] senza ristare d’un luogo, in uno altro continuandosi, inverso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata.
E in quella non valendo alcuno senno né umano provedimento, per lo quale fu da molte immondizie purgata la città da oficiali sopra ciò ordinati e vietato l’entrarvi dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conservazione della sanità, [...] quasi nel principio della primavera dell’anno predetto, orribilmente cominciò i suoi dolorosi effetti [...] a dimostrare.»

(G. Boccaccio, Decameron, Giornata Prima - Introduzione)


Come definire, per mezzo di una frase stringata, il capolavoro di Giovanni Boccaccio?
Tenuto conto del fatto che non basterebbe un'intera biblioteca, dovendo sintetizzare il tutto in un breve periodo, sceglierei questo: avere 670 anni e non sentirli.
Rispetto al 1350 (molto probabilmente, l'anno del primo vagito testuale del Decameron) il mondo è cambiato, e molto. "Ma va là", potreste sarcasticamente esclamare. Tuttavia, l'animale che più di ogni altro ha influenzato e caratterizzato tale cambiamento, cioè l'uomo, è rimasto, nel suo piccolo "di dentro", sostanzialmente lo stesso. Certo, oggigiorno l'uomo vive molto più a lungo, all'interno di panni ed edifici alquanto diversi. Diversissimi, poi, sono gli oggetti che consuma. E, rispetto al tempo della "peste nera", pure le epidemie - e le cure - sono diverse. Però, il dolore, la gioia, i palpiti che animano gli esseri umani... quelli sono gli stessi. Le emozioni sono le medesime, generate anch'esse da sentimenti turpi, nobili, violenti, sereni, bui, luminosi... Questi sentimenti, come fiumi sotterranei, attraversano luoghi ed epoche differenti, ma sfociano sempre - in una sorta di sinecismo idrografico atemporale - in un mare comune: il mare dell'umanità. Di esso, della sua superficie e dei suoi abissi, ci parla «il libro chiamato Decameron , cognominato Prencipe Galeotto».
Ebbene, vista l'emergenza epidemiologica di COVID-19 e la conseguente chiusura delle scuole, si è deciso di accompagnare una «onesta brigata»  di novellatori digitali - vale a dire: 10 studenti (6 femmine e 4 maschi) del Liceo "D'Annunzio" di Corropoli, scuola in cui ho il piacere di insegnare discipline umanistiche - all'interno del grande porto della Letteratura, molo 1348. Più precisamente, nel punto in cui è ormeggiata la nave "Boccaccio 2.0".
Nell'anno del Coronavirus, in questo nostro tempo così strano, noi, cybernauti, pescatori in rete, scriventi dell'era digitale, cercheremo di salpare, con i nostri palpiti e le storie da essi generate durante i 2.0 giorni.
Occorre farlo, pur temendo il fondale, Scilla, Cariddi, il ricordo della gran tempesta, il ventiseiesimo canto, Lear, Prospero, la Essex, la Pequod e la gobba del mostro. Salpare e spingersi nella tormenta, sino in mare aperto, ché lì dove il legno scricchiola e a stento trattiene il grido dell'abisso, con un pidocchio marino tra le dita e un verso di Walcott tra le labbra, si calmerà questa burrasca.

Luca Maggitti
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