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Roma Amor [Riflessioni dalla Capitale, di Mario Martorelli.]
DA CATANIA A MONACO DI BAVIERA: UNA VACANZA/LAVORO DEL SECONDO DOPOGUERRA...
Gastarbeiter in Germania Ovest, nel secondo dopoguerra.

Mario Martorelli, che d’inverno vive nella Capitale e d’estate nel Lido delle Rose, ci regala i suoi pensieri. Fra metafore e allegorie, il senso della vita.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Sabato, 08 Maggio 2021 - Ore 15:30

Gastarbeiter (letteralmente "lavoratore ospite") è un termine coniato nella seconda metà del Novecento in riferimento ai lavoratori stranieri che, tra gli anni '50 e gli anni '70, vennero chiamati temporaneamente a lavorare nella Germania Ovest.

La passione di conoscere “il mondo” me la deve avere attaccata quasi certamente mio zio Puccio, direttore di macchine su navi da crociera. Coi suoi racconti mi aveva fatto vivere finanche il Giappone. Il mio primo viaggio all’estero, senza genitori, si verifica ai diciotto anni.

Ad una certa età pensi che tutto il mondo che ti circonda è vecchio e che solo tu sei ancora vivo. Più che vivo senti di essere invincibile, una sorta di Hulk senza però diventare verde né strappare i vestiti. Vuoi far vedere che sei capace di liberarti dalla pressione dei tuoi genitori dai quali, tra l’altro, dipendi economicamente.

Con Francesco, un amico catanese, partiamo per Monaco di Baviera perché c’era giunta voce  che lì avremmo potuto trovare facilmente lavoro e pagarci così le vacanze estive. Che tipo di lavoro? Uno qualsiasi!

Conoscenza del tedesco uguale a zero. Lui aveva studiato francese ed io spagnolo. Disponiamo però di un dizionario tascabile Italiano-Tedesco. I rispettivi genitori appoggiano la nostra idea e ci foraggiano per farci sopravvivere almeno tre giorni.

Nel corso del viaggio in treno che ci porta da Catania a Monaco di Baviera (all’epoca i viaggi low cost non erano ancora nati) facciamo amicizia con una anziana signora tedesca che fortunatamente conosce l’italiano. Ci dà una dritta utilissima, una parola magica: “Arbeitsamt” ossia ufficio del lavoro.

Primo giorno a Monaco di Baviera: albergo, ristoranti e locali da ballo: questa sì che  è vita! La peppa, sono finiti i soldi! Vabbè siamo venuti per trovare lavoro e mantenerci! Andiamo alla stazione, lì gravitano sempre gli italiani e qualcuno ci fornisce le prime indicazioni. Certo adesso che sappiamo quale tram prendere, ci manca di conoscere la fermata alla quale scendere! Versiamo nelle mani della bigliettaia un mucchietto di monete e chiediamo “Arbeitsamt” . Ad ogni fermata la guardiamo e lei ci tranquillizza. È questa?. “Nein”. Quando ci fa cenno, scendiamo.

Come riusciamo a trovare il palazzone dell’ufficio del lavoro mi rimane ancora un mistero. Parlare coi locali, quando non conosci la lingua, all’inizio ti fa venire un sorriso isterico che si trasforma presto in pentimento per non aver studiato la lingua del luogo, ma visto che non c’è un confessore in zona, allora ti fai forza e vai.

Imbambolati arriviamo all’ingresso di un palazzone: ce l’avete presente  il mega palazzo dell’I.N.P.S. di Roma a Via Amba Aradam? Pensiamo: e se ci perdiamo in questo palazzone, chi ci ritrova ? La squadra cinofila coi cani molecolari ancora non esiste! All’ingresso troviamo un usciere con un solo braccio. La guerra era finita da non molti anni. Che lingua parla? Tedesco! Sempre a segni, arriviamo ad uno degli ultimi piani e là ci rincuoriamo: c’è un tedesco, alto, faccia simpatica e parla italiano.

Diventa tutto più facile. Ci daranno alloggio gratuito se lavoreremo almeno 40 giorni per una società di costruzioni. In difetto dovremo pagare un sacco di soldi per non aver rispettato i patti contrattuali. E che problema c’è: lavorare 40 giorni? Una fumata di sigaretta! Per noi che giocavamo nel C.U.S. Catania in Serie A, quale lavoro può essere più duro del rugby? Vi anticipo: in 40 giorni ho perso 10 chili!

Arriviamo al palazzo che ospita tutti i lavoratori della società. Occupiamo una stanza con altri tre letti a branda. Un mini-mini vano cucina, un bagno in comune e una doccia. Cominciamo l’esplorazione del palazzo. Sala giochi, portone con portiere e sala lavaggio biancheria con annesso locale per asciugare i panni lavati. Restiamo di sasso, meglio dire di ghiaccio: per asciugare i panni qui usano il freddo... e vallo a sapere. Ah, già, non hanno il nostro sole... ma quale sole hanno?

Facciamo le prime amicizie. Un ragazzo scozzese di Aberdeen, munito di chitarra e un ragazzo di colore della Guyana britannica. Lo scozzese è in grado di ripetere  qualsiasi canzone tu gli canti. Il ragazzo di colore lo vedremo in seguito all’opera nelle sale da ballo parlare tedesco col dizionario in mano. Due fenomeni. Per chi come noi amava I Platters, Paul Anka ed Elvis Presley, l’inglese  non é impossibile da fischiare.

Primo giorno di lavoro. Ci spostiamo in tram. Bigliettaia e conducente sono donne. È il risultato della guerra. Non avendo alcuna qualifica, siamo classificati all’ultimo posto della forza lavoro degli edili. Siamo i manovali. Il capo cantiere viene chiamato “Pulia”.

È uno incazzato con gli italiani e dopo una sequela di parolacce e bestemmie (sono le parole che impari prima all’estero), ci chiama “traditori e partigiani”. Iniziamo bene!

Per premiarci ci affida un lavoro di concetto. In equilibrio su un tetto piuttosto inclinato e senza nessuna cintura di sicurezza. Muniti di piccone, dobbiamo recuperare il bitume che  lo copre; arrotolarlo e depositarlo in un contenitore posto a terra. Con le prime picconate rompiamo anche il legno di copertura sul quale il bitume è posto. Il “Pulia”, dopo la giaculatoria di bestemmie e parolacce, ci ricorda che siamo traditori e partigiani. Finisce la giornata e non siamo cascati dal tetto: è andata bene. A pranzo, panino con salame e birra. A cena poco e niente e, dopo la doccia, grande dormita. Questo tipo di alimentazione si ripeterà per tutta la settimana, tranne venerdì, sabato e domenica.

Il giorno successivo in portineria ci forniscono un nuovo indirizzo. Evidentemente il “Pulia” non aveva gradito la nostra presenza. Le nostre picconate avevano lasciato il segno. Arriviamo ben riposati e su un camion con rimorchio troviamo un italiano prestante che aveva fatto il militare nei bersaglieri. Lui, da sopra il camion, ci carica sulle spalle sacchi di cemento da 50 chili.

Al primo sacco di cemento per poco non stramazzi al suolo, poi capisci che si tratta di bilanciarlo sulla spalla, poggiando il braccio ad arco sul fianco.  Si può fare! Certo scaricare sacchi da 50 chili da un camion con rimorchio e portarlo agli operai che lo utilizzeranno, camminando a tratti in equilibrio su delle assi di legno, è un lavoro che puoi fare solo se sei giovane e forte. Noi lo eravamo.
 
Un giorno veniamo mandati a collaborare con degli operai italiani che, stranamente, rispetto agli altri operai che avevamo conosciuto, lavoravano come forsennati. Con una carriola piena, portavamo al secondo piano del palazzo l’impasto necessario a questi stacanovisti del mattone e, in alcuni tratti, eravamo obbligati a muoverci in equilibrio su assi di legno. Non facevamo in tempo a scaricare ed a ritornare, che già avevano costruito il muro e ci aspettavano lamentandosi perché, a loro dire, eravamo lenti.

Un altro italiano, fuori dallo sguardo dei diavoli del muretto, ci dice chiaramente che a differenza di tutti gli altri operai, i “nostri amici” lavoravano a cottimo. Hai capito: ecco perché sembravano invasati. Nei limiti in cui una carriola carica di impasto te lo consente, ce la prendiamo comoda. Gli operai continuano a lamentarsi col “Pulia” ed il giorno successivo ci mandano in un altro cantiere.

Un giorno mi mettono in mano un martello pneumatico pesantissimo e rumorosissimo. Dovevo rompere una costruzione sbagliata. Quando usi il martello pneumatico, specie senza protezione alle orecchie, ti conviene pensare ad altro. E così ho fatto per l’intera giornata. La punta del martello vibrante mirava al mio piede, ma io sono riuscito a sconfiggerla. Neanche una piccola ferita! Forse da allora ho iniziato a sentirci di meno. Ma che dico: papà non aveva mai lavorato col martello pneumatico e non ci sentiva bene...

Le giornate di lavoro, sempre faticose, si ripetono per 40 giorni, ma quando arriva il venerdì pomeriggio, prendi la paga! Per un diciottenne sono tanti, ma tanti  soldi e non  vedi l’ora di spararteli tutti. Gli altri lavoratori debbono spedire i soldi a casa e quindi rimangono quasi sempre nel palazzo. Poveracci: che vita! Sei fortunato. Goditi questo momento!

Cominciamo a frequentare tutti i tipi di locali di Monaco di Baviera. Il divertimento inizia il venerdì sera, prosegue il sabato e parte della domenica. Incontriamo e conosciamo un sacco di gente. Ovviamente abbiamo un debole per le ragazze. Ci sembrano tutte belle e la maggior parte risulta essere bionda naturale. Anche se a Catania c’erano stati Normanni, di bionde naturali ne avevamo conosciute poche. Le ragazze parlano tedesco e noi pure. Noi ovviamente come Totò e Peppino a piazza Duomo a Milano, ma vi garantisco: quando si è giovani e c’è reciproca voglia di conoscersi, si riesce a superare qualsiasi barriera linguistica.

In qualunque sala da ballo andavi, la presenza di ragazze superava abbondantemente quella dei ragazzi. Si trattava soltanto di indirizzarti a quella che più attirava la tua attenzione e iniziavi a fischiare in tedesco. Il ragazzo della Guyana in certe occasioni è stato preziosissimo. Come faceva a parlare tedesco? Lo sapeva  lui. Ah, usava un dizionario!

Credo di essere stato un fruitore del “couchsurfing” (dormire sul divano di chi ti ospita) ante litteram. M’è capitato più volte di essere ospitato a casa di qualcuno che avevo conosciuto nei locali la sera stessa.

Un mattina, dopo aver fatto colazione con due giovani, marito e moglie che mi avevano dato asilo su un divano mi portarono in un parco in cui c’era una piscina con trampolino da dieci metri. Si chiamava Dantebad. Non avevo mai visto un parco così grande, verde e con tanta gente messa lì a prendere il sole. A me sembrava meglio rimanere coperti, tutti gli altri invece stavano lì spaparanzati. Il giovane era un tuffatore eccellente. Capii che non disponevano del mare di Catania e si accontentavano del parco con piscina. La struttura era del tutto nuova per me e passai una splendida giornata coi due sposi. Non li ho più rivisti.

Prima di porre fine al vostro sacrificio di lettori vorrei raccontarvi un fatto che, a pensarci bene, ha del curioso. In un locale faccio amicizia con una ragazza. Avevo già fatto pensieri impuri, quando lei mi presenta il suo fidanzato. Alla fine della serata avrei preferito essere ospitato da lei, ma intuisco che non è possibile. Lui parla un po’ di spagnolo, si offre d’ospitarmi.  

Arrivati a casa sua, dalle armi bianche appese ai muri e dalle foto presenti in abbondanza, apprendo che è un viaggiatore. È stato in Africa e le armi lo provano. Chiacchieriamo, intendo dire fischiamo entrambi un po’ di spagnolo dopo di che mi indica il divano dove potrò dormire. Spenta la luce, mi assale il dubbio che il giovane ospite potrebbe essere un omicida e che se mi accoltellasse o trafiggesse con una lancia, sarebbe veramente difficile che qualcuno lo possa fermare.

L’alcool bevuto ha però il sopravvento e mi addormento. Se ti addormenti con pensieri assillanti, la notte sarà assillante! Che fesso, ma perché sono venuto a dormire a casa di questo che manco conosco? A un tratto vengo svegliato, come se si fosse accesa una luce. Una figura eterea viene verso di me. Indossa un abito bianco lungo, come lunghi sono i suoi capelli. Eccomi: vuoi vedere che già mi trovo nell’aldilà? M’avrà ammazzato mentre dormivo e non me ne sono accorto!

La figura è sempre più vicina. È veramente bella. Non voglio essere accusato di blasfemia, ma a me la figura mi sembra la  Madonna. Non sarò ancora sveglio del tutto, e forse per questo le vedo  un’aureola attorno alla testa.

Sento del trambusto, mi sveglio, appare il giovane padrone di casa. La “Madonna” è sua sorella.  Me la presenta e si ritorna tutti a dormire.

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Mario Martorelli
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