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Roseto Basket Story
MALEDETTI TOSCANI, BENEDETTI A ROSETO...
Nicola Mei gavettona la Curva Nord, nella Serie A2 2016/2017.
[Cusano Photo]


Claudio Bonaccorsi, in Serie A 2003/2004.
[Ciamillo&Castoria]


Mario Boni, in Serie A 2000/2001.
[Ciamillo&Castoria]


Nicola Mei allunga la tradizione dei beniamini della pallacanestro rosetana provenienti dalla Toscana. Prima di lui, nell’ultimo quarto di secolo, Bonaccorsi, Moretti e Boni.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Mercoledì, 15 Dicembre 2021 - Ore 12:00

«Auguro a ogni atleta di giocare, almeno una volta nella vita, per Roseto. Io, che sono fortunato, ci sono tornato».
Così, raggiante, Nicola Mei al termine della tonitruante vittoria della Pallacanestro Roseto ai danni di Ozzano per 114-94.
Il ritorno del 36enne esterno si è perfezionato con 9 punti in 19 minuti di campo, aggiungendo 3 rimbalzi e un assist, con un impatto degno di nota nel secondo quarto. L’atleta toscano, nativo di Lucca, è tornato in una città che ama e in una squadra che domenica ha vinto la sua nona partita di seguito e conduce la classifica in solitaria, con 4 punti di vantaggio sulle più vicine inseguitrici.
Veterano e saggio, Mei osserva: «Roseto sta giocando benissimo ed è prima da alcune giornate con merito. Dunque per me era importante tornare in punta di piedi, senza alterare nulla visto che coach Danilo Quaglia ha dato la sua impronta e che giochiamo un basket davvero bello e vincente».
L’esterno ha ritrovato Quaglia dopo l’esperienza in Serie A2 del 2016/2017, quando il giovane Danilo era il secondo assistente dopo coach Emanuele Di Paolantonio (oggi vice allenatore in Serie A, a Brescia) e il vice allenatore Nando Francani (che ricopre lo stesso ruolo anche oggi). Il fromboliere lucchese, beniamino dei tifosi, è certo del valore del coach del Roseto, di 9 anni più giovane di lui, osservando: «Danilo ha sempre avuto le idee chiare e non mi stupisce che la squadra giri alla perfezione, anche perché ci sono giocatori di livello assoluto, come Valerio Amoroso, che ritrovo dopo l’esperienza in A2».
Mei è il beniamino assoluto dei tifosi e in particolare degli ultras della Curva Nord, che sta tornando a popolarsi un po’ di più dopo ogni partita in casa. Così, dopo la brillante affermazione contro Ozzano, Nicola ha ripreso una tradizione molto coreografica, che consiste nell’avvicinarsi alla curva, dopo ogni vittoria, con due bottiglie d’acqua in mano usate a mo’ di frusta per innaffiare i tifosi, come se fossero sotto il palco di un gran premio vinto.
I fotografi immortalano e Nicola rivela una sensibilità poetica, chiosando: «Le due scie d’acqua formano un cuore e questo è il messaggio più vero di quello che provo per questa piazza».
Il lucchese rappresenta, nell’ultimo quarto di secolo, il quarto esponente della generazione dei “maledetti toscani” (intesi alla maniera di Curzio Malaparte), capaci di stabilire un rapporto viscerale con la tifoseria.
Una generazione iniziata nel 1997/1998 con il livornese Claudio Bonaccorsi, proseguita con l’aretino Paolo Moretti e con Mario Boni, padano di nascita ma bandiera di Montecatini Terme.

Luca Maggitti



Curzio Malaparte
MALEDETTI TOSCANI

E maggior fortuna sarebbe, se in Italia ci fossero più toscani e meno italiani.
Se è cosa difficile essere italiano, difficilissima cosa è l'esser toscano: molto più che abruzzese, lombardo, romano, piemontese, napoletano, o francese, tedesco, spagnolo, inglese.
E non già perché noi toscani siamo migliori o peggiori degli altri, italiani o stranieri, ma perché, grazie a Dio, siamo diversi da ogni altra nazione: per qualcosa che è in noi, nella nostra profonda natura, qualcosa di diverso da quel che gli altri hanno detto.
O forse perché, quando si tratta d'esser migliori o peggiori degli altri, ci basta di non essere come gli altri, ben sapendo quanto sia cosa facile, e senza gloria, esser migliore o peggiore di un altro.
Nessuno ci vuol bene (e a dirla fra noi non ce ne importa nulla). E se è vero che nessuno ci disprezza (non essendo ancora nato, e forse non nascerà mai, l'uomo che possa disprezzare i toscani), è pur vero che tutti ci hanno in sospetto.
Forse perché non si sentono compagni a noi (compagno, in lingua toscana, vuol dire eguale).
O forse perché, dove e quando gli altri piangono, noi ridiamo, e dove gli altri ridono, noi stiamo a guardarli ridere, senza batter ciglio, in silenzio: finché il riso gela sulle loro labbra.
Di fronte a un toscano, tutti si sentono a disagio.
Un brivido scende nelle loro ossa, freddo e sottile come un ago.
Tutti si guardano intorno inquieti e sospettosi.
Un toscano apre la porta ed entra? Un silenzio impacciato lo accoglie, una muta inquietudine s'insinua, là dove prima regnava l'allegria e la confidenza.
Basta l'apparizione di un toscano, perché una festa, un ballo, un pranzo nuziale si mutino in una triste, tacita, fredda cerimonia.
Un funerale al quale prenda parte un toscano diventa un rito ironico: i fiori si mettono a puzzare, le lacrime seccano sulle gote, le gramaglie cambian colore, perfino il cordoglio dei parenti del morto sa di beffa.
Basta che fra il pubblico ci sia un toscano col suo risolino in bocca, e subito l'oratore si turba, la parola gli si sgonfia sulle labbra, il gesto gli si ghiaccia a mezz'aria.
Un generale parla ai suoi soldati di gloria, di bella morte; del «bene inseparabile del Re e della Patria»? Se fra i soldati, laggiù nell'ultima fila, c'è un toscano che lo guarda, subito il generale s'imbroglia, rinfodera la sciabola, arrotola la bandiera, e se ne va. (E qui va detto che gli italiani, le battaglie, le vincono soltanto grazie al risolino ironico di quel soldato toscano laggiù, nell'ultima fila. Quando non c'è quel risolino a mettere a posto i generali, accade quel che accade. E quanti guai si sarebbero risparmiati se Mussolini, invece di parlare al balcone di Palazzo Venezia, avesse parlato dal terrazzino di Palazzo Vecchio!).
Il sospetto e l'inimicizia degli altri popoli, italiani e stranieri, ci fanno senza dubbio onore, essendo segni manifesti di rispetto e di stima.
In una stagione, com'è questa, d'ipocrisia, di viltà, e di compromessi d'ogni specie, fa sempre onore, a un uomo o a un popolo, esser temuto e avversato.
Vi sono uomini e popoli che soffrono di non essere amati: son quelli che han natura femminile.
Ma una nazione forte, spregiudicata, ardita, qual è la nazione toscana, a cui nessuno ha mai voluto bene, e che da secoli è abituata al sospetto e all'invidia altrui, perché mai dovrebbe soffrirne? Tutti siamo, noi toscani, fuorché femmine.
E che gli altri non ci vogliano bene, diffidino di noi, abbiano gelosia e timore della nostra particolare intelligenza, del nostro modo di guardare il prossimo e riderne a bocca fredda (quando un altro, che non fosse toscano, ne piangerebbe), che tutti, insomma, siano sospettosi di quel che essi impropriamente chiamano il nostro cinismo, la nostra crudeltà, la nostra garbata arroganza, ci fa quasi piacere.
Anzi, per essere onesto, dirò che ne godiamo.
Ma quello di cui più godiamo è vedere come tutti, italiani e stranieri, si meraviglino del disprezzo col quale noi li ripaghiamo del sospetto e dell'inimicizia loro.
Che non è un disprezzo nato a caso, né da ripicco o vanità; né da orgoglio: ma un disprezzo sentito, e risentito, allegro, ragionatissimo, e antico.
E basta guardare un toscano come cammina, per capire di che stoffa sia fatto il suo disprezzo.
Guardate come un toscano cammina.
Cammina a testa ritta, col petto in fuori e le mele strette.
Tira diritto guardando fisso davanti a sé, con quel risolino sulle labbra che par dipinto, tanto par vero.
Si direbbe che non guarda e non vede: come uomo che sta ai fatti suoi, e di quelli degli altri non s'impiccia.
Eppure, così camminando a testa ritta, gli occhi fissi davanti a sé, guarda e vede tutto, né mai gli capita che guardi senza vedere, perché il toscano vede anche senza guardare.
Non sorride per grata, amabile disposizione dell'animo, né per orgogliosa compassione: ma per malizia, e dirò, anzi, per spregio.
L'elemento fondamentale del suo carattere è, infatti, l'esser spregioso: il che nasce dal suo profondo disprezzo per le cose e i fatti degli uomini, s'intende degli altri uomini.
In se stesso il toscano ha fiducia, pur senza orgoglio, ma negli uomini, nella pianta uomo, no.
In fondo, credo che disprezzi il genere umano, tutti gli esseri umani, maschi e femmine.
E non per la loro cattiveria (al toscano non fan paura i cattivi), ma per la loro stupidità.
Degli stupidi il toscano ha ribrezzo, perché non si sa mai che cosa possa venir fuori da uno stupido.
Guarda, dico, come il toscano cammina: e ti avvedrai che cammina come se stesse sempre sulle sue, come uomo che sa, per antica esperienza, che la cosa più aborrita al mondo è l'intelligenza, e la più insidiata.
Che tutti gli italiani siano intelligenti, ma che i toscani siano di gran lunga più intelligenti di tutti gli altri italiani, è cosa che tutti sanno, ma che pochi vogliono ammettere.

(Curzio Malaparte, Maledetti toscani, 1956. Frammento.)
ROSETO.com
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