Soggiorno d’estate a Roseto da oltre 50 anni.

È una città che amo e continuerò ad amare e frequentare finché il fisico me lo consentirà.

Le strade sono pulite, le persone sono ancora affabili. Certo qualche “selvaggio” lo incontri, ma vuoi mettere quanti ne puoi incontrare a Roma?  Il mio augurio è che i Rosetani “purosangue” non cedano agli atti di emulazione del modello “er romanaccio”.
 
In epoca remota, se venivi da Roma e ti capitava di dover guidare a Roseto dietro ad un rosetano, nevrotico com’eri, davi di testa per la prudenza che il guidatore mostrava. Non dipendeva certo dal tipo di autovettura. Così sbottavi: “È da casa tua che hai lasciato la freccia accesa! E datte na’ mossa!”.
   
Oggi  i tempi sono cambiati, c’è la tendenza a guidare quasi come a Roma: il che equivale a Nuova Delhi. Spero sempre che quel “quasi” si dilati nel tempo il più a lungo possibile.

Al centro di Roseto, dalle parti della stazione, c’era una macelleria. Ci andavo perché la carne era eccellente e perché là si viveva un’atmosfera che a Roma era impossibile trovare. Entravi ed  il titolare, persona affabile, conosceva tutti.

Tagliava una prima fetta, ma prima di tagliarne una seconda, passavano cinque minuti buoni.  

In tale arco temporale lui chiedeva di te, di tua sorella, di tua madre, di tuo fratello, di tuo zio. Insomma voleva sapere tutto quanto riguardava la tua settima generazione.

“L’interrogatorio” al quale sottoponeva il prossimo, all’inizio mi appariva  come una torva e malsana curiosità, ma vedendo poi che al contempo  inseriva episodi che riguardavano la sua persona, direi la sua genia, ero portato a ritenere che col suo comportamento lui affermava:  “È vero, mi faccio gli affari tuoi e della tua settima razza, ma allo stesso tempo tu vieni a sapere tutto di  me!”.
 
In un piccolo centro tutti sanno tutto di tutti. O perlomeno così pensano.

Che uso si fa delle informazioni che si ricevono?

Si vuole sapere, per governare?

Sapere è potere? Ma neanche per sogno!

Si tratta soltanto di far chiacchiere da bar, per il gusto di inventare storie di sana pianta.

Per capirci, del tipo: un  medico che, chiamato al capezzale di un moribondo, dice ai parenti: “Qui ci vuole un medico!”. Ovviamente, il mio amico intendeva dire uno specialista!

Ma da questo racconto nasce il mito.

Insomma, quelle che oggi si definiscono gossip e fake news, diventano storie da tramandare ai posteri.
 
Io – che venivo da una città incasinata come Roma, vivevo nello stesso condominio da una vita e soltanto quando capitava scambiavo il saluto con chi incrociavo sul pianerottolo dell’ascensore – nell’assistere a quello “spettacolo”, restavo lì incantato e pensavo: “In questa città non si muore certo d’infarto”.
 
Quella macelleria oggi non c’è più e la carne la compro in uno dei tanti supermercati, dove, però, non c’è la possibilità di parlare con nessuno.

I clienti hanno tutti fretta e capita pure che alcuni collaboratori non vogliano neanche essere disturbati.

Prova a chiedere: “Scusi, dov’è il latte?”. A fatica, senza muovere neanche il collo, bofonchiano: “Là!”.
   
Li capisco, poveracci: ieri sera sono andati a cantare ed oggi non hanno voce. Va bene,  ho capito, faccio come a Roma. Me lo cerco da solo!
 
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Roma Amor [Riflessioni dalla Capitale, di Mario Martorelli.]
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