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Roma Amor [Riflessioni dalla Capitale, di Mario Martorelli.]
UN GIRO A VILLA BORGHESE
Roma, Villa Borghese.

Roma, Villa Borghese.

Roma, Villa Borghese.

Mario Martorelli, che d’inverno vive nella Capitale e d’estate nel Lido delle Rose, ci regala i suoi pensieri. Fra metafore e allegorie, il senso della vita.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Sabato, 27 Marzo 2021 - Ore 18:15

Doverosa premessa: non ho le conoscenze, né di uno studioso di storia dell’arte né di una esperta guida di Roma. Quello che seguirà è un approccio, una sorta di boa d’appoggio per chi ha voglia di approfondire i miei giri per Roma. Oggi facciamo un giro a Villa Borghese.

Obiezioni consuete: “Ma vuoi mettere Hyde Park!”, “Ma che dici: sei mai stato al Bois de Boulogne?”, “Beh, allora vuol dire che non hai mai visto il Prater a Vienna!”, “Ho capito con chi ho a che fare: la Casa de Campo a Madrid non si batte!”.

È probabile che abbiate ragione voi, lo riconosco, ma io sono innamorato di Villa Borghese e quando si è innamorati di qualcuno si pensa che non abbia eguali, ci si vuole stare sempre insieme.

L’ho frequentata in ogni stagione, con qualsiasi tempo e a qualsiasi ora. L’intensità della passione che mi spingeva a conoscerla meglio, a forza di viverla mi ha fatto sentire un tutt’uno con lei. Alberi, strade, fontane, laghetto con tempio, viottoli, giardino zoologico, Pincio, tetti, piazza del Popolo: mi sembra di conoscere tutto, di essere intimo con ognuno di essi, anche se ogni volta che ci ritorno scopro qualcosa di nuovo. Sarà quella fiammella sempre accesa, chiamata amore, che mi accompagnerà per sempre!

Come si fa a dire per sempre? Magari è preferibile limitarsi ad affermare: fino a quando la demenza senile non si approprierà della mia memoria!

Sono le 5.30 del mattino di una giornata primaverile. Sono già in piedi perché voglio andare a correre a Villa Borghese. Capiamoci, intendo dire surplace, con passo cadenzato e lento da pensionato.

Tazza di caffé, abluzioni, tuta, scarpe da footing, chiavi di casa e della macchina e via a prendere l’ascensore. È uno di quegli ascensori le cui porte hanno i battenti in vetro, per cui se rimani bloccato apri le porte, l’aria passa e la claustrofobia, se ne soffri, non ti assale.

Mi ritrovo sul marciapiede, il bar dei cinesi sta per aprire. Saluto Yang, un giovanotto con prole e gran lavoratore. Mi guarda meravigliato. Ha ragione, è raro che io esca a quest’ora. Sta facendo riscaldare la macchina del caffè e comincia con la pulizia del locale. Una sedia è posta davanti l’ingresso, così nessuno entra mentre lui lava il pavimento. C’è odore di cornetti, ma non di maritozzi con la panna, come li trovavo al bar di fronte la scuola Garibaldi in via Mondovì. Allora c’era il capolinea del tram.

Rumori provengono dal mercato di via Catania. Stanno scaricando le merci: loro tutti svegli, il quartiere un po’ meno. La mia macchina è parcheggiata vicinissima. Salgo, metto in moto e parto. All’edicola di Piazza Bologna iniziano a sistemare i giornali scaricati da poco. I bar sono in fermento d’apertura e il fioraio sembra essere rimasto aperto 24 ore. I fiorai, almeno in zona Nomentano, non sembrano essere italiani. Chi ci lavora ricorda i nostri emigranti: faticare per spedire i soldi a casa.

Farmacia con luci notturne ancora accese. Al parcheggio taxi, solo due macchine i cui conducenti aspettano clienti con radio accesa e cellulare in mano. Arrivo a Porta Pia, proseguo per corso d’Italia, parcheggio tranquillamente in via Pinciana e vado a piedi a porta Pinciana, di fronte la fine di via Veneto.

Ci sarebbe il parcheggio sotterraneo di Villa Borghese. È comodo per andare anche a Piazza di Spagna. Come tutti i grandi parcheggi, conviene prendere debita nota di dove hai parcheggiato, altrimenti, al ritorno pensi che t’hanno rubato la macchina, cominci a rompere le scatole a destra e a manca e quando, poi, la ritrovi, hai fatto la figura del pirla (che vuol dire conoscere le lingue).

Do un’occhiata all’Harry’s Bar, debitamente chiuso a quest’ora. Una volta era frequentato dagli snob e dagli americani (non per caso l’ambasciata americana è a due passi giù, per via Veneto). Oggi ci vanno pure quelli che sembrano poter spendere abbastanza money per un lunch.
 
A un romano, se chiedi di via Vittorio Veneto, ti guarda stranito come se tu parlassi del Pantheon e non della “Rotonda”. Devi dire via Veneto e la Rotonda, allora si che ti sorriderà.

Peggio mi sento se chiedi dov’è Villa Comunale Umberto I. Ti risponderà: boh!?

Prova a dire: dov’è Villa Borghese e sarà tutt’altra storia. Tutti però sanno che appartiene al Comune di Roma. Da quando? A occhio e croce dai primi anni del 1900. Villa Borghese è uno dei grandi polmoni di verde presenti a Roma. Fermandosi a uno specifico periodo storico, ti accorgi di come una lunga serie di bellezze della città esistono perché volute da cardinali e papi. Questi ultimi, a volte erano i padri e/o gli zii dei cardinali. Insomma: si faceva tutto in famiglia.

È possibile che i papi avessero figli? A tutt’oggi i preti non si possono sposare, né possono avere figli. Forse da allora la normativa è cambiata e io non ho seguito l’evoluzione che il diritto canonico ha avuto nel tempo.

Comunque, Villa Borghese era dei Borghese, ovviamente papa e cardinale.

Da ragazzo, nel frequentare la parrocchia, sentivi dire: “Senza soldi non si canta messa!”. Sono passati abbastanza anni, ma il mondo non è cambiato: puoi comprare una macchina senza soldi? Ma sì: sottoscrivi un chilo di cambiali e cominci a pagare dal prossimo anno. E se il prossimo anno ho perso il lavoro? Ma dai, non succede! E perché essere pessimista? Guardati intorno; siamo una nazione piena di buffi, ma allegra. Se non ci fosse il Covid-19 a rompere!

Ma torniamo a Villa Borghese. Ai due lati d’ingresso, di fronte Porta Pinciana, ci sono due belle costruzioni in marmo che mi ricordano due garitte di vedetta, sotto le quali mi sono più volte riparato dalla pioggia. La specialista di storia dell’arte inorridirà di fronte all’immagine che di esse sto fornendo, ma perché sostituirsi a quelli che hanno studiato, cercando di dare spiegazioni spiluccate da Wikipedia?

Sarei tentato di scendere giù per lo o stradone che porta al Pincio, per proseguire a piazzale Flaminio con annessa piazza del Popolo. Sarà per la prossima volta. Adesso vado giù per questo bel vialone alberato fino al museo Borghese, poi giù a sinistra per il Giardino zoologico, Valle dei cani, Galleria Nazionale d’Arte moderna, salitella Museo Nazionale, Globe Theatre, Piazza di Siena.

Prima di cominciare mi fermo e guardo intorno. Qualche piccolo gruppo già corre chiacchierando forte. Isolati ciclisti, con casco e borraccia, pedalano e si capisce che si stanno divertendo. C’è tanto verde qui. L’erba sui prati è ancora bagnata e quindi di fare un po’ di allungamento muscolare non se ne parla.

Le panchine mi invitano a mettermi seduto. Ma come, sono arrivato adesso e già mi metto seduto? Una ulteriore sorpresa che ti dà Villa Borghese sono le panchine. Ce ne sono tantissime e dovunque. Il Comune di Roma, a volte è davvero illuminato. Chissà perché gli amministratori non pensano che anche nelle altre zone di Roma le panchine sarebbero più che gradite.

Con l’avvenuto e ormai obsoleto rifacimento dei marciapiedi, lo spazio per le panchine ci sarebbe! Siamo in tempo di elezioni: chissà?

Di alberi ne vedo tanti. Quelli che riconosco al volo sono soltanto i pini. Alti e grossi. D’estate ti ci puoi sdraiare sotto e godere della loro ombra, mentre tutto intorno è un brulicare di bambini e genitori, insomma abbastanza gente, ma non tantissima.

Adesso mi sembra che tutti siano svegli, in particolare gli uccelli che cantano e si chiamano. L’aria è fresca, ma non fredda. In fondo al vialone, all’altezza di una fontanella c’è un uomo barbuto che fa ginnastica a torso nudo. I movimenti sono da atleta consumato. Si piega e si solleva su una sola gamba, tenendo l’altra orizzontale. Le braccia sono parallele al terreno. Da ex atleta mi rendo conto che è un esercizio che comporta molta forza nelle gambe e negli addominali. Vicino a sé, per terra c’è un sacco a pelo. Deve aver dormito sotto gli alberi. Si porta alla fontana e comincia a lavarsi. Ecco, penso: uno che vede la vita come un bicchiere mezzo pieno!

Comincio a caracollare e quando gli passo accanto ci scambiamo un saluto. È un cenno del capo, accompagnato da una mezza piega della bocca che vorrebbe essere un sorriso. Che strano: quando cammini per strada a Roma non ti passa per la mente di salutare gli estranei, ma qui a Villa Borghese lo fai senza problemi.

È un po’ come trovarsi in certe in zone desolate ma meravigliose della Scozia, quando all’improvviso incroci una macchina. Dopo tante pecore libere di pascolare dappertutto e marchiate con colori vistosi, ecco un essere umano. Ti porti subito nella piazzola alla tua sinistra e aspetti che l’altro passi. La strada è troppo stretta per due macchine. Al momento in cui si è vicini, c’è un sorriso accompagnato da un “Hi!”. Quel semplice saluto aumenta il fascino del luogo e ti dà la carica per proseguire.

Allora non siamo soli! Ti chiedi: ma quando arrivo al mare?

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Mario Martorelli
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