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Sabato, 18 Maggio 2024 - Ore 14:18 Fondatore e Direttore: Luca Maggitti.

25 anni senza Faber (11.01.1999-11.01.2024)
LA TESI DI LAUREA DI GIORGIO DI BONAVENTURA PER RICORDARE FABRIZIO DE ANDRÉ / 2
Fabrizio De André.

Edgar Lee Masters.

Il libro antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.

Il secondo capitolo (La vita di Edgar Lee Masters e L’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters). Nei prossimi giorni, gli altri capitoli.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Venerdì, 12 Gennaio 2024 - Ore 22:15

Un quarto di secolo fa (11 gennaio 1999) passava a miglior vita, sulla soglia dei 59 anni e per le conseguenze di un tumore ai polmoni, uno dei più grandi cantautori della musica leggera italiana: Fabrizio De André.
Questo sito intende omaggiare l'inimitabile artista genovese pubblicando la tesi integrale - elaborata in Letteratura Comparata (Facoltà di Scienze della Comunicazione) nell'anno accademico 2019/2020 - discussa da Giorgio Di Bonaventura, ex cestista abruzzese, classe 1997, cresciuto nel settore giovanile del Moncalieri e successivamente visto in canotta Roseto (A2), Latina (A2), Cento (A2), Teramo (B) e Luiss Roma (B), quest'ultima la franchigia con cui, nella stagione 2022/2023, ha conquistato la promozione in A2. Giorgio è stato anche atleta della Nazionale di Basket 3x3, disputando tornei internazionali e il Mondiale Under 23 in Cina nel 2019.
Buona lettura.


GIORGIO DI BONAVENTURA
Il regista poetico-musicale De André e la collina di Spoon River


Indice, Introduzione, Capitolo Primo (Rapporto fra Letteratura e Musica).
http://www.roseto.com/scheda_news.php?id=21272

CAPITOLO SECONDO

LA VITA DI EDGAR LEE MASTERS


Il 23 agosto 1868 nasceva a Garnett, una cittadina del Kansas situata al centro degli U.S.A., dove peraltro trascorse soltanto il suo primo anno di vita, lo scrittore americano Edgar Lee Masters, ricordato fondamentalmente per un solo straordinario poema, l’Antologia di Spoon River (1915), visto che il materiale prodotto successivamente non aveva goduto nemmeno in minima parte della beata sorte riscossa da quel miracolo letterario, trattandosi di libri che Eugenio Montale così descriveva nel 1950, scrivendo per il Corriere della Sera:

«una dozzina di raccolte di versi, alcune biografie di uomini rappresentativi e una cronaca più o meno immaginaria del paese che aveva ispirato il suo libro più fortunato»  (1).

Artefice di un generoso quanto minuzioso tentativo di descrivere egli stesso la propria vita – tentativo simbolicamente intitolato Across Spoon River, uno sforzo che però si affievolisce di colpo nel 1917 per poi riprendere a descrivere gli sviluppi successivi, fino al 1936, nelle poche pagine di un Epilogo in cui il racconto del proprio vissuto cede spesso il passo a riflessioni mistiche e spirituali – Masters non si mostra propriamente veritiero ed obiettivo, come osserva Ballerini:

«Sbaglia, per dirne una, perfino la propria data di nascita: “I was born at Garnett, Kansas, on August 23 1869”. Ma il problema non riguarda tanto date o referenti più o meno verificabili, quanto una disposizione a rappresentare gli avvenimenti in una prospettiva che, sopra ogni cosa, renda gradevole agli altri la propria immagine»  (2).

A riportare la nave a galla è stato l’autore Herbert K. Russell, pubblicando nel 2001 una biografia molto documentata - intitolata Edgar Lee Masters: A Biography - che ha consentito di far luce nelle zone d’ombra temporali ereditate da Masters e di cui abbiamo tenuto conto in questo profilo biografico del cosiddetto poeta-avvocato. Figlio di genitori con profonde differenze culturali e caratteriali, visto che Hardin Wallace Masters era un avvocato agnostico, nonché uomo politico, esponente democratico all’Assemblea Legislativa dello Stato e sensibile al fascino femminile mentre Emma Dexter, figlia di un pastore metodista, era una donna religiosa e saldamente legata ai principi etico-morali che prevedevano una totale astinenza dai piaceri come il ballo e il sesso extraconiugale, Edgar Lee si era spesso ritrovato a subire la tensione scaturita da un rapporto conflittuale, tensione alla quale cercava di sottrarsi trovando conforto presso i nonni paterni. La prima fase della vita di Masters, che va dalla nascita fino agli anni della prima maturità, si scinde a sua volta in due archi temporali: quello di Petersburg (1869-1880) e quello di Lewistown (1880-1891), le due cittadine dell’Illinois i cui abitanti, travestiti da personaggi, popoleranno le pagine dello Spoon River. Quando i Masters, durante l’estate del 1880, si spostano da Petersburg a Lewistown, la distanza chilometrica non è granché ma la differenza nel tessuto sociale delle due comunità è sconfinata. Infatti, se a Petersburg abitano pionieri divenuti agricoltori e allevatori, uomini ragionevoli e tolleranti, a Lewistown Edgar Lee e la madre - quest’ultima da sempre sprezzante del provincialismo dove la professione del marito la costringeva a vivere - faticano ad ambientarsi:

«Penso che la vita di nessun poeta inglese o americano sia stata più dura dei miei inizi a Lewistown, dove ho vissuto tra gente i cui corpi e il cui comportamento sembravano non avere altro scopo che quello di avvelenare, pervertire e alla fin fine uccidere una natura sensibile […] uomini con occhi cisposi di sifilide […] con in tasca una pistola o una fionda, e la frusta in mano, che lordano i marciapiedi di sputi ripugnanti; donne dai corpi deformi avvolti in abiti di cotonina scolorita. Il sabato era un giorno terribile per me e per mia madre che fino all’ultimo non ha smesso di sognare il paesaggio del Vermont e le montagne del New Hampshire»  (3).

Tuttavia, proprio a Lewistown, sulle sponde del fatidico fiume Spoon, avvengono due incontri basilari per il futuro di Masters, visto che in quell’angusto villaggio di provincia conosce, innanzitutto, la sua insegnante di letteratura inglese Mary Fisher, la Emily Sparks immortalata nell’Antologia, abile ad intuire il suo talento e pronta a sostenerlo, nonostante la volontà contraria della sua famiglia, sul versante della poesia e poi Margaret George, primo amore del poeta. Dopo aver ottenuto, nel 1886, il diploma alla high school, pur continuando a scrivere versi e a collaborare con giornali locali, come il Lewistown News, l’avvocatura, tanto desiderata in famiglia, prende il sopravvento; concluso un periodo di apprendistato presso lo studio paterno, e superato l’esame di Stato, nel 1891 Masters - spinto anche da un senso di inferiorità nei confronti del padre, di cui non riusciva ad eguagliare le abilità professionali - decide di spostarsi a Chicago dove, praticamente, inizia la seconda fase della sua vita, senza dubbio quella più significativa. Nella grande città dell’Illinois, Masters per vivere si dedica a vari mestieri, tra i quali il giornalista e persino l’esattore dei crediti della Edison Company, prima di tornare, nel 1894, a fare l’avvocato, aprendo uno studio. Ma quali sono gli eventi che, in quegli anni cruciali, aiutano a delineare la graduale metamorfosi di Masters che, partendo da avvocato di professione e poeta per diletto, arriva all’autore, come ha ricordato l’esperto di poesia americana Percy Boynton, «del volume di poesie più letto e più commentato e discusso che sia mai stato scritto in America» (4)? Determinante, in quegli anni, è stato l’incontro con Ernest McGaffey, avvocato con il pallino della poesia, che lo introdusse presso il Chicago Press Club; nel 1898, Masters, oltre a pubblicare la sua prima raccolta di versi, intitolata A Book of Verses, un esordio di scarso successo che tradiva la sua grande passione per autori prevalentemente inglesi come il poeta Keats e il drammaturgo Swinburne, sposa Helen Mary Jenkins, figlia di un magnate dell’industria dei trasporti, con la quale crescerà tre figli. Nel 1902, Masters, pur concependo la figura del giurista antitetica alla sua vocazione, coglie la ghiotta opportunità di entrare nello studio di Clarence Darrow, un penalista destinato a ricoprire un ruolo a dir poco incisivo nella vita del poeta-legale. La figura di Darrow, la cui fama, nel 1925, avrebbe raggiunto una dimensione planetaria grazie alla difesa di John Scopes (5), incide notevolmente nella vita di Masters, per almeno tre ragioni: la prima è che, associato al suo nome, Masters raggiunge un livello insperato di popolarità professionale. La seconda è che Darrow è l’autore di Farmington, un libro di ricordi da cui Masters sembrerebbe aver tratto ispirazione per la sua rappresentazione di Spoon River. La terza è che quando, nel 1921, le procedure per il divorzio chieste da Masters nel 1917 hanno inizio, sua moglie Helen si serve proprio dell’assistenza legale di Darrow, con il quale il poeta-giurista aveva rotto i rapporti, in seguito a discussioni di natura economica, nel 1911. Dal divorzio, Masters esce a dir poco con le ossa frantumate, visto che perde, oltre alla casa di Chicago, anche la splendida fattoria acquistata a Spring Lake, nel Michigan, dove, nell’estate del 1914 aveva completato proprio la stesura dello Spoon River, di cui parleremo in maniera approfondita nella seconda parte di questo capitolo. Da questo momento - diciamo dal 1921 al 1943 - si sviluppa la terza fase della vita di Masters, con gli anni passati a New York, dove, lasciati definitivamente alle spalle codici e tribunali, egli vive, almeno inizialmente, con i lauti proventi della pubblicazione della raccolta. Nella Grande Mela, dopo l’insuccesso del libro Il nuovo Spoon River (1924), Masters, nel 1926, si risposa con Ellen Frances Coyne, che è trent’anni più giovane e gli regala, due anni dopo, il quarto figlio; vivendo dal 1931 al 1943, i primi anni con la famiglia e poi da solo, presso il Chelsea Hotel - un residence divenuto leggendario per aver ospitato, in quegli anni e nei seguenti, artisti di ogni genere, da Mark Twain a Frida Khalo, passando per Jack Kerouac e Bob Dylan - Masters cerca la scintilla, l’ispirazione propizia per ritrovare la propria identità letteraria smarrita. Dedicandosi anima e corpo alla causa, pubblica libri di poesia, di storia e anche alcune biografie: Lincoln, the Man del 1931, una critica spietata al famoso statista e Mark Twain, a Portrait del 1938 che descriveva l’autore americano un genio vittima dell’incomprensione pubblica. Tuttavia, nonostante gli enormi sforzi profusi, tutto ciò che viene dato alle stampe - alle quali è opportuno aggiungere il già menzionato Across Spoon River, an Autobiography del 1936, un sunto della sua lunga esperienza di letterato - non lascia minimamente il segno auspicato da Masters, che, così come improvvisamente era diventato un poeta famoso, allo stesso modo implode, riducendosi a vivere con articoli e conferenze sempre più sporadiche e transitando nell’ultima fase della sua vita, quella del tramonto. Indigente e messo male in salute, l’avvocato “stregato dalla poesia”, nel 1943, si ricongiunge alla seconda moglie fino a che, nel 1948, viene ricoverato in una casa di cura per anziani a Melrose Park, Pennsylvania, dove, la notte del 5 marzo 1950, chiude gli occhi per l’ultima volta. Masters viene sepolto in collina, nel cimitero di Oakland, a Petersburg, vicino ai suoi nonni; sulla lapide, scolpiti i versi tratti dalla sua poesia To-morrow is My Birthday:

«Buoni amici, andiamo ai campi...
Dopo una piccola passeggiata e vicino al vostro perdono,
Penso dormirò, non c'è cosa più dolce.
Nessun destino è più dolce di quello di dormire.
Sono un sogno di un riposo benedetto,
Camminiamo, e ascoltiamo l'allodola».

Così, qualche giorno dopo la sua morte, lo ricorda Eugenio Montale:

«Edgar Lee Masters, l’autore di Spoon River Anthology […] era un poeta celebre e sconosciuto. Celebre perché nessun moderno poeta americano ha avuto una così larga diffusione fuori dei confini degli Stati Uniti, è stato tanto tradotto e ha esercitato tanta influenza sui poeti d’oggi che cercano di evadere dalle forme tradizionali della poesia classica […] Ma la celebrità di Lee Masters, autore di una quindicina di raccolte poetiche non tutte ispirate al realismo che ha fatto la fortuna di Spoon River, era limitata appunto a quella sua Antologia del 1914, era finita con quel suo libro […] Masters aveva scritto un libro di liriche che si componevano in un quadro quasi romanzesco e segnano una data nella storia del realismo americano; tornato alle forme della lirica individuale egli avrà potuto toccare anche risultati più soddisfacenti ma nessuna forza poteva impedire che il suo nome fosse legato per sempre a quell’Antologia Palatina di epigrafi tombali che prese il nome da un immaginario villaggio medioccidentale» (6) .


L’ANTOLOGIA DI SPOON RIVER


Solitamente, si è portati a credere che soltanto la grande città, per non dire la metropoli, possa rappresentare l’humus adatto per far germogliare le qualità letterarie di uno scrittore, visto che chi possiede una vocazione letteraria ma è costretto giocoforza a vivere la realtà di provincia, molto difficilmente ha l’opportunità di confrontarsi con un ambiente capace di offrire - oltre alle propedeutiche strutture scolastiche, rappresentate da insegnanti preparati e lungimiranti - spunti originali, momenti di crescita professionale così marcati e migliorativi da generare continuamente idee fresche, nuove forme di comunicazione e magari anche novità editoriali in grado di catturare l’attenzione di una collettività educata e ben disposta ad acquistare libri per il piacere di leggerli, alimentando un sistema virtuoso e civile. Se questo pensiero può essere, nella maggior parte dei casi, legittimamente condiviso, tuttavia l’esperienza insegna che un buon libro può nascere davvero ovunque e una riprova inequivocabile di questo assunto - soprattutto perché pubblicato all’inizio del secolo scorso, nel 1915, quando la tecnologia era ben lungi dall’accorciare le distanze fra metropoli e provincia - porta il titolo dell’Antologia di Spoon River, il capolavoro di Edgar Lee Masters, perché, se è vero che quando il celebre libro viene dato alle stampe il poeta-giurista vive e lavora da quasi un quarto di secolo a Chicago, è altrettanto noto che, fino ai ventidue anni, egli aveva vissuto proprio in due realtà molto modeste dell’Illinois come Petersburg e Lewistown, nemmeno tremila anime per entrambi i villaggi, ed è proprio nella provincia della provincia che il poema è ambientato. L’Antologia di Spoon River è dunque una raccolta di poesie in forma di epitaffi pubblicati a puntate, dal 20 Maggio 1914 al 5 Gennaio 1915, sul giornale Reedy’s Mirror di St. Louis, inizialmente con lo pseudonimo di Webster Ford e poi, a partire dal 20 novembre 1914, con il vero nome dell’autore. L’opera suscitò grande fermento in America, cosa che ovviamente contribuì al suo successo e alla sua grande diffusione, visto che fu tradotta in molte lingue, tra cui, diversi decenni più tardi a causa dell’ostracismo fascista, quella italiana. Premesso ciò, la domanda sorge spontanea: è possibile individuare, anche in modalità schematica, le cause, i motivi, le benevole circostanze che hanno favorito la creazione di questo miracolo letterario d’inizio Novecento, tra l’altro esplicitato in maniera così originale, visto che l’autore - per raccontare avvenimenti relativi a persone ancora in vita, o scomparse da poco, accaduti in un immaginario luogo chiamato Spoon River - ha utilizzato, oltre a nomi di fantasia, dei suggestivi epitaffi? Come nasce, quindi, questa raccolta di 244 poesie in verso libero, dove ognuna di esse racconta la storia cruda, reale degli abitanti che ora riposano tutti sulla verde collina del cimitero di Spoon River? Come si evince chiaramente dalla consultazione della maggior parte delle fonti interessate all’argomento, possiamo affermare che, almeno in merito a tre cause, esiste da parte degli studiosi un consenso largamente condiviso: in primis, una forte motivazione personale e professionale dell’ambizioso Masters, canalizzata a concretizzare le sue qualità poetico-letterarie attraverso la realizzazione di un’opera capace di «rappresentare il macrocosmo descrivendo il microcosmo» (7) ; in secundis, la cruciale scoperta, da parte dell’autore stesso, della Antologia Palatina, avvenuta nel giugno del 1909; ultima ma non ultima, la visita, risalente al 10 maggio 1914, della madre Emma al figlio in quel di Chicago, dove Edgar Lee si era trasferito nel 1891, un incontro, per lo sviluppo dell’agognato progetto artistico, estremamente significativo, tra l’altro enfatizzato anche dalla traduttrice dell’opera in italiano, Fernanda Pivano, nella “intervista immaginaria” pubblicata nel 1971. Proviamo ora a focalizzare la nostra attenzione su queste tre circostanze che, connesse insieme, possono offrire uno scenario più che plausibile per inquadrare l’origine dello Spoon River. La sensazione che Masters potesse essere maturo per dare forma al suo progetto di comporre una prosa capace di narrare pregi e difetti dei villaggi di provincia era supportata non solo dal talento e dall’età dell’autore – non dimentichiamo infatti che il poeta-giurista scrive le sue poesie più famose all’età di 45 anni – ma anche dal suo vivo desiderio di realizzare un prodotto in grado di cancellare le delusioni delle pubblicazioni precedenti, quando il letterato, dopo l’insuccesso di A Book of Verses (1898), aveva addirittura deciso di adottare due pseudonimi, Dexter Wallace per The Blood of the Prophets (1905) e Webster Ford per Songs and Sonnets (1910) e Songs and Sonnets II (1912), per assorbire in incognito gli eventuali, nuovi fiaschi. Inoltre, al tema universale della descrizione della vita di provincia, egli sapeva di poterne aggiungere almeno altri due, altrettanto trasversali ed emotivamente coinvolgenti, con cui aveva grande confidenza e familiarità: il primo aveva a che fare con la sua figura di legale, il secondo riguardava il suo ossessivo rapporto con la morte. Andiamo per ordine: Masters, esercitando la professione di avvocato nello studio del padre a Petersburg e frequentando personalmente le aule del tribunale del paese, ha modo di raccogliere tutte quelle storie vere che costituiranno la base dell’antologia poetica; questo prezioso patrimonio di conoscenze specifiche - inerente a fatti realmente accaduti - consentirà all’ispirato “cantore dell’Illinois” di restituire voce alle anime del cimitero immaginario di Spoon River, mettendo loro in bocca parole così umane, dirette e sincere da creare interesse e scalpore non solo in chi quelle storie avrebbe preferito opportunamente nasconderle ma, in generale, anche nell’America perbenista, puritana e borghese del primo Novecento. Trattiamo ora il secondo tema, quello relativo alla morte. Intanto, in aggiunta alla passione per i classici del mondo greco, Masters ha sempre mostrato grande interesse letterario per la tragedia inglese, che oltre a narrare la lotta di uomini valorosi pronti a combattere contro un destino spesso sfavorevole, per non dire ingrato, contiene anche una galleria infinita di immagini e sentimenti legati alla morte; d’altra parte, proprio la scelta dello pseudonimo Webster Ford, che unisce due tra i più ispirati drammaturghi inglesi vissuti tra il XVI e il XVII secolo, cioè John Webster e John Ford, rappresenta una prova evidente della profonda ammirazione che il poeta-giurista nutriva per il periodo elisabettiano. Ma aldilà dell’incisiva componente letteraria, e quindi della risaputa e già menzionata passione che Masters aveva per autori inglesi come Swinburne e Keats ma anche statunitensi come Bryant e il sinistro Poe, perché parliamo di ossessione per la morte? Non dobbiamo dimenticare che l’idea della dipartita fu sempre al fianco dell’adolescenza di Edgar Lee: a dieci anni assistette alla tremenda agonia del fratello minore Alex, stroncato dalla difterite dopo settimane di inenarrabili sofferenze, mentre a undici, il suo amico fraterno, George Mitchell Miller, perdeva la vita drammaticamente nel tentativo maldestro di salire, per gioco, sopra un treno in corsa.
Al caro compagno scomparso, individuabile nello Spoon River come Johnnie Sayre, Masters dedica i seguenti versi, memorabili e toccanti:

Padre, non puoi immaginare con che angoscia / la mia disubbidienza m’abbia straziato il cuore, / nell’istante in cui la ruota impietosa del locomotore / mi sprofondava  nella carne ululante della gamba. / Mentre mi trasportavano dalla vedova Morris, / lo sguardo si è posato, giù nella valle, sulla scuola / che marinavo per saltare sui treni in corsa e farmi / viaggi a ufo. Ho pregato di non morire prima / di poterti chiedere perdono. Le tue lacrime, poi le tue / parole di conforto rotte dai singhiozzi! Ho tratto / una felicità sconfinata dalla consolazione di quei / momenti. Quanta saggezza nella frase che hai fatto / incidere per me: “Scampato alle sciagure del domani”. (8)

Passiamo ora alla scoperta delle epigrafi e degli epitaffi dell’Antologia Palatina, in particolare quelle più datate, che rimandano al periodo classico della letteratura greca. Il fautore dell’invito a leggere Selects Epigrams from the Greek Anthology, opera pubblicata a Londra nel 1906, fu l’editore William Marion Reedy, direttore del settimanale Reedy’s Mirror; alla luce di quanto accaduto successivamente, la lettura del testo contribuì a modificare il percorso tecnico del progetto, visto che l’idea di partenza di un romanzo si trasformò in un’antologia, scritta in versi sciolti, una forma poco apprezzata dai critici d’inizio Novecento. L’ipotesi che l’interiorizzazione del testo abbia profondamente ispirato Masters è sostenuta anche da Cesare Pavese, uno dei maggiori estimatori del poeta-giurista, soprattutto per il coraggio di guardare alla società americana senza ipocrisie, biasimandone – proprio attraverso le voci dello Spoon River – l’incapacità di lottare collettivamente contro le ingiustizie sociali:

«Naturalmente vien subito da pensare che ci sia qui un influsso dell’Antologia Palatina. E, a parte lo spirito che, in quegli addii ellenistici alla vita, di vergini, di naviganti, di cortigiane, di guerrieri, di filosofi, di contadini e di poeti, è un tenero o stoico rimpianto per la luce del sole […] a parte lo spirito, non è impossibile che Lee Masters da quegli epigrammi abbia tratta l’idea formale del suo libro: il titolo e lo stampo dell’epigrafe, rapida, sentenziosa, classica» (9) .

A sottolineare il peso specifico ricoperto dalla lettura dell’Antologia Palatina nello sviluppo del progetto artistico cullato da tempo dall’avvocato stregato dalla poesia, le parole scritte, nel 1918, da Masters; infatti, nel dedicare proprio all’editore Reedy - lungimirante a mettergli fra le mani, quasi dieci anni prima, quella miscellanea di epigrammi greci - un’inedita raccolta di poesie, intitolata Toward the Gulf, egli scriveva:

«Sei stato tu che hai attirato la mia attenzione, nel giugno del 1909, sulla Greek Anthology. Ed è stato grazie alla contemplazione di quegli epitaffi che la mia mano si è mossa inconsciamente verso Hod Putt, Serepta The Scold, Amanda Barker, Ollie McGee e The Unknown»  (10).

Quindi, che Masters si sentì così affascinato da quell’opera al punto da concepire il proposito di comporre una moderna antologia proprio sulla base di quel modello, è cosa incontrovertibile; la considerazione successiva è che non si può parlare di un’operazione “copia e incolla”, visto che il poeta, pur conservando il verso dell’antologia greca, ne rinnova i canoni, adottando una forma prosaica che ignora deliberatamente sia la rima che il ritmo, senza però mai penalizzare «la solennità tragica e definitiva di quelle poche frasi, poste a concludere una vita» (11)  che ritroviamo nello Spoon River. Come osservava argutamente nei suoi Diari (1917-1973) la Pivano:

«l’Antologia gli aveva suggerito di scrivere qualcosa che fosse “meno del verso ma più della prosa”; qualcosa però che non fosse soltanto “una ripresa formale degli epigrammi greci, ironici e teneri, satirici e partecipi, intesi come esperimenti casuali su temi slegati l’uno dall’altro”, ma fosse “una rappresentazione epica della vita moderna”. […] Perché la differenza fondamentale tra gli epitaffi greci e quelli americani consiste proprio nella scelta di Masters di caratterizzazione portata fino all’estreme conseguenze, fino al vero e proprio racconto di tutta una vita. Gli epitaffi greci non colgono quasi mai la realtà di un individuo in un gesto concreto: la colgono a volte in uno stato d’animo; […] Gli epitaffi di Masters, invece, si servono di uno stato d’animo o di una caratteristica o di una coincidenza soltanto come spunti per ricostruire tutta un’esistenza e cristallizzarla in blocco nell’attimo della morte» (12).

Infine, come anticipato, arriviamo alla terza circostanza ritenuta determinante per l’ispirazione centrale dello Spoon River, cioè una visita che la mamma fece al poeta-giurista a Chicago nel 1914, e attraverso la quale egli venne a conoscenza di maldicenze, vizi e segreti degli abitanti di Petersburg e Lewistown; ma è lapalissiano che non una sola conversazione, ma piuttosto successivi ragguagli della madre, approfonditi e circostanziati, spinsero Masters, mentre gestiva il suo studio legale, a cristallizzare in versi i profili di quelle persone vittime di gossip e ipocrisie tipiche dell’ambiente puritano americano d’inizio secolo. Ecco quindi che ogni anima sepolta in collina racconta la propria storia, narrando meschinità e tradimenti, con i ricordi che tendono fatalmente a mischiarsi con le interpretazioni personali:
la risultante diventa un saggio impietoso sulla ineluttabile imperfezione umana, riscontrabile nella precaria qualità dei legami sociali che caratterizzano il modello di società americana studiata da Masters, dove sono sempre più frequenti opportunismi, sgambetti, ipocrisie e falsità varie. A tal proposito, molto eloquenti appaiono i versi della poesia intitolata Chase Henry, che descrive la figura del classico ubriacone di provincia:

In vita ero l'ubriacone del paese; / quando sono morto il prete non ha voluto / seppellirmi
in terra consacrata. / E questa, alla fine, è stata la mia fortuna. / La terra in cui sono sepolto / l’hanno poi comperata i protestanti, / per cui adesso il mio corpo giace accanto a quello / di Nicholas, il banchiere, e di sua moglie Priscilla. / Fate molta attenzione, voi anime sagge / e timorate, a quanto possa essere bizzarra la vita / che onora un morto vissuto vergognosamente. (13)
    
In qualche modo, quindi, la visita della madre che lo aggiorna su quanto accaduto negli ultimi decenni nei due villaggi dove egli era cresciuto –Petersburg e poi Lewistown, dalla cui commistione Masters, affamato di storie di vita, crea il luogo immaginario Spoon River, che quindi di fantasioso aveva solo il nome - chiude definitivamente il cerchio, visto che il cantore, dopo l’immediata pubblicazione delle prime poesie, avvenuta sul Reedy’s Mirror del 29 maggio 1914, sempre compatibilmente con i suoi primari impegni di legale, inizia a comporre compulsivamente, assecondando la sua sacra vocazione e creando epitaffi dove capitava, tipo i menù delle trattorie, i giornali e i rovesci delle buste. Nacque così la Spoon River Anthology, pubblicata, come detto, dapprima a puntate sul settimanale di Reedy, griffati con lo pseudonimo Webster Ford, e poi, riunita in un volume dall’editore MacMillan di New York nel 1915, con il nome autentico dell’autore. La singolare pubblicazione - come detto una raccolta di componimenti in cui la poesia si adagia nella prosa e quest’ultima si magnifica nel verso libero, con cui ogni anima che riposa sulla collina del cimitero di Spoon River, presa dalle proprie passioni e da un’innegabile voglia di riscatto, racconta la propria verità sul passaggio terreno, senza ipocrisie o subdoli calcoli - ottiene un successo esorbitante per un libro di poesia, vendendo più di ottantamila copie in quattro anni. Prestando attenzione alle voci degli abitanti del cimitero di Spoon River si coglie appieno l’intento dell’autore di dipingere un affresco di una tipica cittadina di provincia americana degli inizi del Novecento, al netto del puritanesimo e delle ipocrisie. Le storie delle anime che parlano, attraverso le parole messe loro in bocca da Masters, inevitabilmente si intrecciano e quello che spesso emerge è la parzialità dei punti di vista. Ognuno racconta la propria storia e le vicende si sovrappongono, generando, a loro volta, ulteriori versioni: quello che, da lettore, si avverte sicuramente come catartico è che, finalmente, ogni ospite della collina di Spoon River può esprimere i propri pensieri in libertà, in barba alle stringenti convenzioni morali e alle mal sopportate regole sociali. Ma, se è vero che tutti sono liberi di parlare, è altrettanto innegabile che tutti sono ostaggi della morte, restando in eterno prigionieri della collina; e anche il vivo e vegeto Masters è costretto a pagare dazio, vittima anch’egli degli effetti legati alle voci che provengono da quella collina, visto che egli viene emarginato dai due villaggi, reo di aver pubblicato, seppur utilizzando nomi e cognomi di fantasia, storie reali riguardanti persone che quelle vicende avrebbero preferito di gran lunga far scivolare nell’oblio. Tra l’altro, Masters finì anche nel mirino del “fuoco amico”, visto che venne biasimato dalla madre, che probabilmente si pentì delle confidenze riportate al figlio nei suoi viaggi a Chicago, e dalla sua rigida e bigotta insegnante Mary Fisher (Emily Sparks nell’Antologia), che certamente ben poco apprezzò la definizione del suo ex allievo, nel poema a lei dedicato, di “vecchia zitella”:

Che fine avrà fatto il mio figliolo, il mio / figliolo - in quale angolo del mondo si sarà cacciato? / Di tutti i miei scolari quello che ho amato di più? - / Io, la maestra, la vecchia zitella dal cuore immacolato / che li trattava tutti come figli. / Ma lo conoscevo io, per davvero, quel figliolo / o me l’ero inventato, quello spirito ardente, / irrequieto, ambizioso? / Si, proprio tu, quel figliolo per cui / ho tanto pregato, e vegliato lunghe ore notturne, / ricordi la lettera che ti ho scritto / su quanto fosse stupendo l’amore di Cristo? / Che tu ne abbia fatto tesoro, oppure no, / dovunque tu sia, figliolo, / prenditi cura della tua anima, / perché dalla tua creta, e perfino dalle tue scorie, / si sprigioni il fuoco che hai dentro / e bruci fino a diventare luce, / nient’altro che luce! (14)

Sia la madre del poeta-avvocato che l’insegnante di letteratura inglese Mary Fisher - quest’ultima, aldilà della definizione poco elegante a lei riservata, molto risentita per l’opera concepita dal suo ex allievo - sono oggetto di riflessione da parte di Masters, che prende atto della loro disapprovazione:
«Sentivo che Mary Fisher non mi amava; non aveva fiducia in me e non mi stimava. So per certo che l’Antologia di Spoon River l’aveva sconvolta. Non le era piaciuta per niente. Idem per mia madre»  (15).

Masters quindi era consapevole che il suo obiettivo di descrivere l’umanità, narrando le vicende di un microcosmo, comportava un prezzo da pagare, visto che la comunità americana, perbenista e bigotta, si mostrava poco disponibile ad aiutare gli ultimi, si trattasse di un cieco, un ubriaco o un pazzo. Ecco il crudo ritratto che troviamo nel poema Jack il cieco:

Avevo suonato tutto il giorno alla fiera del paese. / Poi, rincasando, ‘Butch’ Weldy e Jack McGuire, / ciucchi fradici, m’hanno fatto suonare e risuonare / Susie Skinner, frustando i cavalli senza sosta, / fino a perderne il controllo. / Anche se cieco, ho tentato di saltare giù, / mentre la carrozza precipitava in un fosso, / e sono rimasto stritolato dalle ruote. / Qui dove mi trovo adesso c’è un cieco che ha una fronte / larga e bianca come una nuvola. E tutti quanti noi / che suoniamo il violino, dal più al meno bravo, / e i compositori di musica, e i cantastorie, / gli stiamo seduti ai piedi, / e lo ascoltiamo cantare la caduta di Troia. (16)

La denuncia di una società superficiale, miope, incapace di cogliere l’essenza delle cose, ispira il profilo addolorato di Serepta Mason che rivendica con passione la sua esistenza, rinfacciando ai suoi concittadini l’impossibilità di germogliare tra i venti contrari e malvagi che hanno turbato il suo fugace e infelice passaggio terreno:

Non fosse stato per l’asprezza del vento che ha strinato / i miei petali nell’unica parte di me che in paese / riuscivate a vedere, il fiore della mia vita / sarebbe sbocciato tutt’intorno.  Dalla cenere / protesto a gran voce: la parte fiorita di me, voi non l’avete / mai veduta! Voi che ancora siete al mondo / siete talmente stolti da non conoscere le strade del vento / e le forze occulte / che reggono gli alti e bassi della vita. (17)

Ma nello Spoon River - oltre ai ritratti che ci ricordano la fugacità della nostra esistenza e le ipocrisie legate ad una società incapace di solidarizzare con i suoi fratelli meno fortunati - troviamo anche slanci mirati a valorizzare l’importanza di accettare il rischio di compiere certe scelte, al fine di gustare fino in fondo il sapore della vita; ad esempio, nella toccante poesia intitolata George Gray assistiamo ad un rinnovato inno al famoso “carpe diem” reso celebre dal poeta Orazio, visto che i versi in essa contenuti rappresentano un inequivocabile invito all’afferrare il momento propizio ed evitare la puntuale flagellazione dei rimpianti. George Gray ha il grande merito di ricordarci che una vita condizionata dal timore è sinonimo di tortura:

Ho esaminato non so quante volte / la statua che mi hanno scolpito - /
una nave agli ormeggi con le vele ammainate. / Più che della mia destinazione, è l’immagine stessa / della mia vita. Alle offerte di amore ho risposto / sottraendomi ai suoi disinganni. Quando il dolore / ha bussato alla porta, ne ho avuto paura; al richiamo / dell'ambizione, ho provato terrore per le occasioni / che mi offriva. E senza mai smettere / di voler dare un senso alla mia vita. / Adesso lo so che le vele se non sono issate il vento / del destino non le gonfia, e poco importa la rotta / della nave. Dare un senso alla vita può farti uscire / di senno, ma senza senso la vita è una tortura, / una serie di irrequietezze e desideri imprecisi – / una nave che ha voglia di mare e che però lo teme. (18)

Rimpianti misti ad odio caratterizzano la triste storia di Amanda Barker, una delle testimonianze più sinistre dello Spoon River: in poche parole, ma affilate come lame, la giovane racconta la sua gravidanza e la sua conseguente morte per parto, aggiungendo che il marito Henry la mise incinta nonostante sapesse che non era in grado di sopportare la gestazione, decretando volontariamente la prematura dipartita per appagare il suo odio:
 
Henry mi ha ingravidata / pur sapendo che, mettendo al mondo / una nuova vita, avrei perso la mia. / Così, giovanissima, ho varcato cancelli di cenere. / Al paese dove sono cresciuta credono, o viandante, / che Henry mi amasse come un marito devoto, / ma io da questa cenere dichiaro che mi ha ucciso / per dare sfogo al suo odio.  (19)

Sempre inevitabilmente di rimpianti, questa volta per un amore non vissuto, si parla nella struggente poesia intitolata Paul McNeely, dove quest’ultimo ricorda quando, giovane ma irrimediabilmente malato, elaborava mentalmente, dal capezzale, il suo desiderio di recuperare la salute per perdersi in un fremente abbraccio d’amore con la dolce Jane che lo accudiva amorevolmente negli ultimi, tragici momenti della sua vita:

Cara, cara e incantevole Jane, / t’insinuavi leggera nella stanza (dove io giacevo / in un letto, ammalato) con quella tua cuffia / da infermiera e i polsini di lino, e tenendomi / la mano dicevi, sorridendo: “Non sei così malato – / guarirai presto”. Il liquido pensiero dei tuoi occhi / è penetrato nei miei come la rugiada che scivola / nel cuore di un fiore. / Cara Jane, tutte le ricchezze dei McNeely / non basterebbero a ripagarti della cura / che ti sei presa di me, notte e giorno, giorno / e notte; e nemmeno a compensarti del tuo sorriso, o del calore / dell’anima che le tue piccole mani trasmettevano alla mia fronte. / Jane, fino al momento in cui nel buio che sovrasta / il cerchio della notte non si è spenta la mia fiamma, / ho sperato e vagheggiato di poter guarire, / di appoggiare la testa sui tuoi piccoli seni, / di stringerti forte in un abbraccio d'amore - / si è ricordato di te, nel suo testamento, mio padre, quando è morto, / cara, carissima Jane?  (20)

Persuaso che il silenzio intossichi l’esistenza, e cartina al tornasole utilizzata da Masters per denunciare il paradosso di una società bigotta e perbenista, dalla lapide posta sulla collina prende forma l’accusa di Dorcas Gustine - una figura vista da molti traduttori come maschile anche se il nome Dorcas è strettamente femminile – che non è amato dagli abitanti del paese perché onesto e schietto, come se per essere civili bisognerebbe essere ipocriti e spargere veleno alle spalle:

Non è che i miei compaesani mi amassero molto: / e questo perché dicevo fino in fondo quel che pensavo / e prendevo di petto chiunque mi facesse un’angheria, / senza nascondere nulla e senza covare / in segreto afflizioni o risentimenti. / Quante lodi ha ricevuto quel giovane spartano / che, nascosto il lupo sotto il proprio mantello, / se ne lasciò divorare senza emettere un gemito. / Io credo che ci voglia più coraggio, invece, a strapparselo di dosso, / il lupo, e combatterlo apertamente, anche in mezzo alla strada, / tra la polvere e urlando dal dolore. / La lingua può essere uno strumento inaffidabile - / ma il silenzio avvelena lo spirito. / Chi vuole darmi una strigliata faccia pure – a me sta bene così.  (21)

Un destino ancora più crudele è toccato a Minerva Jones, la poetessa del villaggio, una specie di proiezione femminile dell’autore stesso, ridicolizzata e mortificata per la sua goffa fisicità dall’ignoranza che la circondava; vittima di atroci brutalità da parte del rude Weldy, che la violenta come una preda di caccia, morirà agonizzante di aborto:

Sono Minerva, la poetessa del paese. / Per questo mio corpo impacciato, l’occhio strabico e l’andatura / dondolante, quei bestioni dei miei compaesani m’hanno sempre / presa in giro e sbeffeggiata, soprattutto da quando ‘Butch’ Weldy, / dopo avermi a lungo braccata, mi ha messo sotto, / piantandomi poi in asso dal dottor Meyers. / E così la morte mi ha inghiottito, paralizzandomi un po' alla volta / dai piedi in su, come chi sprofonda in un fiume di ghiaccio. / Chissà se mai qualcuno al giornale / raccoglierà in un libro i versi che ho scritto… / Ero assetata d'amore! / Affamata di vita!  (22)

Avvicinandosi alla conclusione di questo succinto riepilogo relativo all’Antologia di Spoon River, è opportuno ricordare che il poema si conclude con tre composizioni conosciute come la Spooniade, un componimento epico incompiuto, tra l’altro già presente nell’edizione del 1915, a firma di un abitante del leggendario villaggio americano, il poeta-laureato Jonathan Swift Somers; l’Epilogo, un testo teatrale che rivela i particolari meno conosciuti del famoso cimitero e infine la Genesi di Spoon River, dove Masters svela i misteri della sua opera più celebre. Sicuramente possiamo definire lo Spoon River come una delle più commoventi e ispirate enciclopedie poetiche delle emozioni umane, dove le categorie degli esseri viventi vengono passate in rassegna, attraverso 19 vicende che vedono protagonisti 244 personaggi, in modo che, come precisa lo stesso Masters proprio nella Genesi di Spoon River, si ottenga un risultato gerarchico ben preciso:

«i pazzi, gli ubriachi e i falliti vengano prima, le persone dall’animo singolare abbiano il secondo posto, e gli eroi e gli spiriti illuminati giungano per ultimi, in una sorta di Divina Commedia, cosa che alcuni critici sufficientemente acuti notarono subito»  (23).

Questa precisazione è importante per chiarire la grandezza di Masters: infatti, fino a quel momento, i deceduti meritevoli di finire sui libri e di essere ricordati anche dopo tanto tempo dalla dipartita, erano tutti personaggi famosi. Lo Spoon River ci aiuta a capire come anche la quotidianità di persone semplici possa avere risvolti significativi, perché da quelle anime, spesso sofferenti, è possibile trarre insegnamenti in certi casi addirittura più educativi di quelli tramandati dalle presunte personalità blasonate. Fuori da ogni retorica, è davvero difficile rimanere indifferenti davanti ai versi composti da Masters, così lontani dalla ridondanza degli eroismi dell’anteguerra; leggendo le sue poesie, come l’intimista Mary McNeely, sembra quasi di poter ascoltare le voci sommesse dei protagonisti e di essere pronti a condividere con loro gli stessi inevitabili rimpianti:

Amare, / o viandante, vuol dire ritrovare / la propria anima attraverso l'anima / dell'amato.
Se l'amato se ne ritrae / tu, la tua anima è bell’e che perduta. / Sta scritto: “Ho un amico / ma il dolore non ha amici”. / Da qui, i lunghi anni solitari nella casa di mio padre, / facendo di tutto per ritrovare me stessa / e trasformarmi attraverso il dolore in un essere / superiore. Ma c'era lui, mio padre, con la sua / pena, seduto sotto i rami del cedro: / quella vista mi si è sprofondata nel cuore / infondendovi una quiete infinita. / Eterna pace a voi, / anime che avete saputo vivere una vita / candida e profumata, come le tuberose / che nascono dove più nera è la terra!  (24)

In definitiva, quelle descritte dalla poesia di Masters - come abbiamo cercato di rappresentare riportando una decina delle composizioni create dall’ispirato “cantore dell’Illinois” - sono esistenze incompiute, lacerate, interrotte dalla crudeltà di una società miope, impreparata a solidarizzare con i più bisognosi e incapace di “pensare in universali” come facevano i Greci e gli Elisabettiani, questi ultimi sempre pronti a combattere contro le ingiustizie sociali, contro il dolore e contro la morte. Nei versi di Masters ritroviamo tutta la disperazione e la solitudine di un’umanità mortificata e stigmatizzata da una comunità americana - quella che l’autore analizza a cavallo fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, permeata di puritanesimo e bigottismo – che si dimostra nei fatti poco avvezza a sporcarsi le mani per la richiesta d’aiuto di un pazzo, di un ubriacone o di una prostituta. Non è un caso che il cantastorie italiano per eccellenza, al secolo Fabrizio De André, da sempre schierato a favore degli ultimi, si sia ispirato, nel 1971, a questi componimenti per il suo concept album Non al denaro non all’amore né al cielo, rivisitando i versi di Masters e creando originali melodie alle confessioni di nove anime, scelte fra le centinaia che dormono sull’ineluttabile collina di Spoon River. Anche Edgar Lee Masters, dopo essere morto di polmonite ma anche di solitudine, riposa su quella collina; la stessa collina che, oltre a narrare inganni ed ossessioni, ha restituito alla memoria - ma anche alla storia della poesia, visto che l’epitaffio che si trasforma in poesia può essere definito un atto artistico rivoluzionario – i desideri, i sogni e le speranze degli abitanti di Petersburg e Lewistown, uomini e donne a cui quella società egoista negò ogni singolo riconoscimento e che, grazie alla penna di Masters, hanno trovato un modo singolare per vivere in eterno. Concludendo, anche Masters, che appartiene al limbo della letteratura visto che viene ricordato da tutti per un solo straordinario libro, dimora sulla collina di Oakland, a Petersburg, con i suoi rimpianti e i suoi segreti incastonati tra le righe di quelle storie ruvide e sofferte, capaci di suscitare un vortice di emozioni catartiche che qualificano come irripetibile quella stella polare della poesia in prosa rappresentata magnificamente dall’Antologia di Spoon River.

NOTE
(1)    E. Montale, Celebre e sconosciuto l'autore di Spoon River, “Corriere della Sera”, 8 marzo 1950, p. 3.
(2)    L. Ballerini, La vita di Edgar Lee Masters, in Antologia di Spoon River, Milano, Oscar Moderni Mondadori, 2017, p. XXIX.
(3)    E. L. Masters, Across Spoon River. An Autobiography, Farrar & Rinehardt, New York 1936. Edizione di riferimento: a cura e con una introduzione di Ronald Primeau, University of Illinois Press, Urbana-Chicago 1991, p. 398.
(4)    P. H. Boynton, The Voice of Chicago: Edgard Lee Masters and Carl Sandburg, in Some Contemporary Americans, University of Chicago Press, Chicago 1924.
(5)    John Scopes era un professore che aveva illustrato ai suoi alunni le teorie di Darwin, una cosa che, in quel periodo, in molti stati era proibita. Scopes fu condannato con un’ammenda di 100 dollari ma il processo fu salutato come una grande vittoria dei liberals.
(6)    E. Montale, Celebre e sconosciuto l'autore di Spoon River, cit., p. 3.
(7)    F. Pivano, Un’intervista inventata, fascetta del disco Non al denaro non all’amore né al cielo di Fabrizio De André, Milano, Produttori Associati, 1971.
(8)    E. L. Masters, Antologia di Spoon River, Milano, Oscar Mondadori, 2017, p. 77.
(9)    C. Pavese, Saggi Letterari, Einaudi, 1982, p. 53.
(10)     E. L. Masters, Toward The Gulf, New York, MacMillan, 1918, p. VII.
(11)     Pavese, Saggi Letterari, cit., p. 53.
(12)     F. Pivano, Diari (1917-1973), Milano, Bompiani, 2008, pp. 54-5.
(13)     Masters, Antologia di Spoon River, Mondadori, cit., p. 23.
(14)     Ivi, p. 37.
(15)     Masters, Across Spoon River. An Autobiography, cit., p. 404.
(16)     Masters, Antologia di Spoon River, Mondadori, cit., p. 151.
(17)     Ivi, p. 17.
(18)     Ivi, p. 131.
(19)     Ivi, p. 19.
(20)     Ivi, p. 203.
(21)     Ivi, p. 89.
(22)     Ivi, p. 45.
(23)     Le parole e le cose, Letteratura e realtà, http://www.leparoleelecose.it/?p=23529.
(24)     Masters, Antologia di Spoon River, Mondadori, cit., p. 205.


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