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Sabato, 18 Maggio 2024 - Ore 11:27 Fondatore e Direttore: Luca Maggitti.

25 anni senza Faber (11.01.1999-11.01.2024)
LA TESI DI LAUREA DI GIORGIO DI BONAVENTURA PER RICORDARE FABRIZIO DE ANDRÉ / 3
Fabrizio De André.

Edgar Lee Masters.

Il terzo capitolo (La traduzione dell’Antologia di Spoon River in Italia). Nei prossimi giorni, gli altri capitoli.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Mercoledì, 17 Gennaio 2024 - Ore 15:15

Un quarto di secolo fa (11 gennaio 1999) passava a miglior vita, sulla soglia dei 59 anni e per le conseguenze di un tumore ai polmoni, uno dei più grandi cantautori della musica leggera italiana: Fabrizio De André.
Questo sito intende omaggiare l'inimitabile artista genovese pubblicando la tesi integrale - elaborata in Letteratura Comparata (Facoltà di Scienze della Comunicazione) nell'anno accademico 2019/2020 - discussa da Giorgio Di Bonaventura, ex cestista abruzzese, classe 1997, cresciuto nel settore giovanile del Moncalieri e successivamente visto in canotta Roseto (A2), Latina (A2), Cento (A2), Teramo (B) e Luiss Roma (B), quest'ultima la franchigia con cui, nella stagione 2022/2023, ha conquistato la promozione in A2. Giorgio è stato anche atleta della Nazionale di Basket 3x3, disputando tornei internazionali e il Mondiale Under 23 in Cina nel 2019.
Buona lettura.


GIORGIO DI BONAVENTURA
Il regista poetico-musicale De André e la collina di Spoon River


Indice, Introduzione, Capitolo Primo (Rapporto fra Letteratura e Musica).
http://www.roseto.com/scheda_news.php?id=21272

Capitolo Secondo (La vita di Edgar Lee Masters e L’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters).
http://www.roseto.com/scheda_news.php?id=21277


CAPITOLO TERZO
LA TRADUZIONE DELL’ANTOLOGIA DI SPOON RIVER IN ITALIA

L’Antologia di Spoon River del poeta statunitense Edgar Lee Masters, con le sue oltre sessanta edizioni in italiano, è il libro che ha avuto più lettori di qualsiasi altro testo della poesia contemporanea. Come abbiamo visto, la raccolta di poesie in verso libero, messa insieme tra il 1914 e il 1915 dal poeta-giurista dell’Illinois, racconta, sotto forma di toccanti epitaffi, la realtà cittadina in cui erano immersi gli abitanti dell’immaginaria Spoon River. Nel caso degli epitaffi sinceri di Masters, è opportuno ricordare che dal 1915, anno della prima pubblicazione negli U.S.A. dell’Antologia di Spoon River, non si contano le edizioni che sono state pubblicate nel mondo e ancor più complicato è arrivare a conoscere l’enorme numero di lettori. Come tutti sanno, la magnifica opera di Masters è stata data alle stampe in Italia solo nel 1943, tradotta per la prima volta dalla giovanissima Fernanda Pivano (1917-2009), ma la scoperta dell’Antologia di Spoon River da parte degli italiani avviene, in primis, grazie a Cesare Pavese (1908-1950), uno dei maggiori intellettuali italiani del XX secolo, il quale, alla ricerca di una libertà culturale negatagli in patria dal regime fascista, diviene avido lettore di autori d’oltreoceano e scrive una lettera, nel 1930, all’amico musicologo italo-americano Antonio Chiuminatto, conosciuto a Torino e allora residente in America, affinché «gli venga reperita, se possibile, un’edizione economica di Spoon River Anthology di Lee Masters»  (1). Entrato in possesso della tanto agognata copia, il ventitreenne piemontese Pavese, indefesso traduttore, espresse notevole apprezzamento per quell’Antologia zeppa di epitaffi, al punto da convincersi a tesserne le lodi con un articolo, pubblicato nel novembre del 1931, per la rivista La Cultura, diretta da Arrigo Cajumi. Il saggio è importante perché tende a tutelare Masters e soprattutto a riconoscere, oltre all’intrinseco valore sociale, lo spessore artistico dello Spoon River, visto che diversi critici letterari dell’epoca tendevano, in modo lezioso, a sottostimare palesemente la portata completa dell’ambiziosa opera, conferendole un valore esclusivamente documentario, etnico, ma in nessun caso poetico-letterario e artistico.
In particolare, il noto scrittore francese, l’americanista Régis Michaud (1880-1939) - benché ritenuto dallo stesso Pavese «la persona al mondo che ha sinora meglio giudicato di quella letteratura» (2) – lasciava intendere che

«la Spoon River Anthology è essenzialmente un’opera rappresentativa delle folle ingabbiate e livellate, refoulées, dal puritanesimo e dalla nuova civiltà degli Stati» (3).

Pavese si oppone fortemente al confinamento dello Spoon River nell’ambito del documento culturale etnico; le osservazioni del giovane intellettuale in pratica chiariscono che la polemica antipuritana non è affatto la trave portante dell’opera, individuando saggiamente il suo focus creativo

«nell’ardore invece da puritano con cui sono affrontati, oltre il particolare momento storico, il problema del senso dell’esistenza e il problema delle proprie azioni: ardore e problemi essenzialmente morali e di non lontano sapore biblico»  (4).

E le affermazioni che seguono rappresentano una testimonianza anche del grande rispetto che egli nutriva per lo slancio umano mostrato da Masters:

«Un libro che comincia con un’elegia sul cimitero e va avanti con mariti scontenti, mogli adultere, scapoli scontrosi e bambini nati morti, e dove pressoché tutti si lamentano di aver mancata la vita, potrebbe anche parere, a sfogliarlo, una rassegna di casi clinici. La differenza sta soltanto nell’occhio del poeta che guarda i suoi morti, non con compiacenza malsana, o polemica, […] ma con una consapevolezza austera e fraterna del dolore, di tutti, della vanità di tutti, e a tutti fa pronunciare la confessione, a tutti strappa una risposta definitiva, non per cavarne un documento scientifico o sociale, ma soltanto per sete di verità umana. […] Voglio dire, insomma, che […] tale non è affatto il libro nel suo spirito, che contempla invece e accompagna, valendosi del suo potente oggettivismo, le innumerevoli sconfitte, gli sforzi, le battaglie, e le rare vittorie, della vita contro la morte, […] di cui è campo questo villaggetto provinciale che è la terra» (5).

Insomma, a dispetto non solo dei critici letterari, che pensavano di minimizzare o addirittura misconoscere la dimensione poetica contenuta nell’Antologia di Spoon River, ma anche della propaganda fascista che, non amando far circolare testi stranieri, tendeva a presentare Masters come un contenitore di orrori e specchio per una società bestiale, Pavese, nel saggio, prospetta coraggiosamente, visto il periodo, la suddetta raccolta di poesie come una lucida critica al mondo puritano, riconoscendo al poeta-avvocato il grande merito di aver raffigurato, con inesorabile oggettività, la realtà delle cose, rimarcando la grande ispirazione che assicura all’opera una valenza poetica indiscutibile e sentenziando perentoriamente: «Tutto è vigorosamente vivo, materiato, attuale, in una parola, tutto è poesia»  (6). Precisato ciò, come si passa dall’entusiasmo di Pavese per l’Antologia di Spoon River alla sua pubblicazione, in traduzione grazie all’opera di Fernanda Pivano, con l’editore Einaudi? Il passo è stato tutt’altro che breve, tutt’altro che semplice. Intanto, è opportuno ricordare che la luminosissima carriera letteraria di Fernanda Pivano inizia proprio con la traduzione dello Spoon River, avvenuta, in pieno regime fascista, nel 1943; ma chi era Fernanda Pivano? E come scopre la fatidica Antologia scritta da Masters, che cambierà letteralmente la sua vita? Nata a Genova il 18 luglio 1917, seconda di due fratelli, “Nanda” è figlia di Newton (detto Riccardo) Pivano, agente di cambio e appassionato di storia, letteratura, arte e politica, e Mary Smallwood Boggia, elegante signora di origini scozzesi che, da subito, trasmette ai due virgulti la passione per le lingue, inglese e francese in primis. Nel 1929, la famiglia Pivano, descritta come vittoriana e rispettabile, si trasferisce a Torino ed è proprio nella capitale sabauda che Nanda prosegue il suo percorso formativo, culturale e umano. Arrivata alle scuole superiori, frequenta il Liceo Classico D’Azeglio, avendo come compagno di banco Primo Levi (1919-1987) e conoscendo, nell’anno scolastico 1934/1935, come giovanissimo supplente d’italiano, proprio Pavese; da lì a pochissimo, esattamente il 15 maggio 1935, il ventisettenne insegnante, accusato di antifascismo, viene arrestato e poi, com’era nelle classiche abitudini del regime mussoliniano, condannato a vivere tre anni di confino, di isolamento a Brancaleone Calabro, un piccolo paese di tremila anime in provincia di Reggio Calabria. Cesare Pavese, che tra l’altro verrà citato da Francesco De Gregori nel famoso brano Alice (album Alice non lo sa, 1973) dove il cantautore romano, romanzando un episodio realmente accaduto in gioventù all’intellettuale - cioè Pavese che ha un appuntamento con una ballerina, lei non si presenta, lui l’aspetta per ore sotto la pioggia, si ammala di pleurite e rimane a letto per tre mesi – canta

«Cesare perduto nella pioggia sta aspettando da sei ore il suo amore ballerina. E rimane lì, a bagnarsi ancora un po’, e il tram di mezzanotte se ne va»,

rappresenterà un vero e proprio detonatore per la svolta umana e soprattutto professionale di Fernanda Pivano. Infatti, quando l’allora giovanissimo Pavese, che si è laureato con una tesi sul poeta statunitense Walt Whitman, che mastica l’inglese e che si adopera come traduttore, è nominato supplente di latino e italiano al Liceo Classico D’Azeglio di Torino, la prima a rafforzare, tra i banchi, la propria passione per la letteratura italiana e a gioire di quella coinvolgente presenza è proprio Nanda che racconta, nei suoi preziosi Diari (1917-1973), i primi, emozionanti incontri vissuti nelle aule con quel professore, tra l’altro allievo del docente Augusto Monti:

«Pavese era giovane giovane, già con la cirromania e già con quel modo di coprirsi la bocca con una mano nei momenti di imbarazzo, già con la bellissima voce che avrebbe fatto invidia ad un attore, un po’ atona, un po’ soffocata, sempre sommessa, fascinosa mentre leggeva Dante o Guido Guinizelli e li rendeva chiari come la luce delle stelle. […] In quel momento noi allieve eravamo sopraffatte dall’emozione al pensiero di avere in classe un poeta, un poeta vero, con un libro di poesie pubblicate da un editore famoso; le poesie le avevo lette molto più tardi, ma il personaggio era lì, inaccessibile per noi quasi bambine, il poeta che dialogava con Guinizelli, che aveva la sua fotografia su una rivista importante, che viveva una vita segreta misteriosamente connessa con l’antifascismo» (7).
Come già anticipato, da lì a pochi mesi la vita di Pavese muta drasticamente: il professore finisce in carcere, accusato di antifascismo, e, dopo la galera, viene condannato al confino per tre anni. Insomma, un grande uomo di cultura che, mortificato nel corpo e nello spirito dallo spietato ostracismo del regime, è costretto a ritirarsi in stato di arresto in punta allo stivale (Brancaleone Calabro), reietto perché intellettuale libero e soprattutto sospettato di frequentare il gruppo a contatto con il docente progressista, di famiglia ebraica, Leone Ginzburg (1909-1944), quest’ultimo redattore a Torino della casa editrice Einaudi, animatore della Resistenza, coraggioso organizzatore delle formazioni partigiane Giustizia e Libertà e destinato a morire nel braccio tedesco del carcere di Regina Coeli, precisamente il 5 febbraio 1944, dopo torture feroci operate dai nazisti, a cui i fascisti lo avevano consegnato, visto che si rifiutava di collaborare. Un piccolo inciso: in data 8 maggio 1943, proprio Leone Ginzburg, da Pizzoli, un comune situato nei monti abruzzesi vicino L’Aquila, dove era stato anch’egli confinato in ottemperanza alle leggi razziali emanate nel 1938 da Mussolini, e dove, tra intuibili difficoltà, provava a svolgere la sua attività di redattore editoriale, così scriveva alla casa editrice di Giulio Einaudi, che era riuscita da poco tempo nell’impresa di pubblicare l’Antologia di Spoon River di Masters, tradotta dalla Pivano:

«Ho ricevuto parecchie Vostre nuove pubblicazioni dalla Vostra sede di Torino. Dei due volumetti dell’Universale, quello di Lee Masters è superiore a ogni elogio e avrà sicuramente un successo trionfale: l’introduzione è un po’ retorica, forse, ma è retorica di quella fina» (8).

Ma torniamo al rapporto fra Pavese e la Pivano, fondamentale per lo snodo di tutta la vicenda: nell’estate del 1938, con l’intellettuale sabaudo che aveva scontato il periodo di isolamento sociale ed era rientrato dal confino, i due s’incontrarono a Torino. Fernanda Pivano, terminato il Liceo Classico, si era iscritta al primo anno della facoltà di Lettere ed esternò al suo ex professore di essere già desiderosa di poter sostenere una tesi sul poeta inglese Percy Bysshe Shelley (1792-1822); Pavese chiese al Gôgnin (musetto), come scherzosamente la chiamava, perché non avesse desiderio di scrivere una tesi in letteratura americana e lei aveva replicato alla domanda con un’altra domanda: «Ma che differenza c’è tra la letteratura americana e quella inglese?» (9). Fu cosi che Pavese, senza rispondere, decise di lasciarle in portineria, la sera stessa, quattro capisaldi della letteratura statunitense: Spoon River Anthology di Masters, A farewell to arms di Ernest Hemingway, Leaves of grass di Walt Whitman e l’autobiografia di Sherwood Anderson, quest’ultimo uno scrittore dedito soprattutto al racconto breve. Alla luce di quello che accadrà da lì a pochi anni, possiamo certamente affermare che queste opere recapitate tempestivamente dal suo mentore cambieranno per sempre la vita della giovane Nanda ma anche il corso della cultura e dell’editoria italiana. Per la cronaca, se è innegabile che Pivano e Pavese condividevano la passione, l’interesse per l’approfondimento di una cultura distante dal mondo accademico, i due non condivisero l’amore: infatti, la Pivano, infatuata dell’architetto Ettore Sottsass junior che poi sposò nel 1949 e da cui si separò verso la metà degli anni Settanta, rifiutò per ben due volte la richiesta di matrimonio del suo ex professore, nel 1940 e nel 1945, date che Pavese stesso annotò sul frontespizio della sua opera Feria d’agosto (1946). Ma torniamo a bomba; entrata finalmente in possesso dei libri americani, ecco cosa riporta, sui suoi Diari, la futura traduttrice e scopritrice di vari talenti della Beat Generation:

«Io ho letto disciplinatamente Walt Whitman; ma di Sherwood Anderson e di Edgar Lee Masters, come tutti gli adolescenti di questo mondo, mi sono innamorata, e mi sono messa a tradurre Spoon River di nascosto, con una paura terribile che qualcuno se ne accorgesse e mi prendesse in giro» (10).

Quindi, quello che avvenne con la raccolta di poesie in verso libero, pubblicata da Edgar Lee Masters nel lontano 1915, fu una vera e propria folgorazione per l’ex allieva di Cesare Pavese, come si evince perfettamente dai suggestivi e toccanti ricordi della traduttrice e scrittrice genovese:

Ma l’Antologia di Spoon River la aprii proprio alla metà, e trovai una poesia che finiva così: «mentre la baciavo con l’anima sulle labbra, l’anima d’improvviso mi fuggì». Chissà perché questi versi mi mozzarono il fiato: è così difficile spiegare le reazioni degli adolescenti. […] In questi personaggi che non erano riusciti a farsi «capire» e non avevano «capito», dal loro dramma di poveri esseri umani travolti da un destino incontrollabile, scaturiva un fascino sempre più sottile a misura che imparavo a riconoscerli; e per riconoscerli meglio presi a tradurli, quasi per imprimermeli in mente (11).

Colta da un impulso incontrollabile, per diversi anni la Pivano traduce e ritraduce gli stessi ritratti, finché diventano parte di lei. Approfondendo lo studio dell’opera, Nanda ha modo di contestualizzare al meglio il mondo che ispirava quegli epitaffi – quindi la società americana, a cavallo fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, finita sotto la lente d’ingrandimento di Masters - che lei aveva iniziato a tradurre ed interiorizzare in maniera compulsiva, senza mai dire nulla a Pavese perché temeva di essere presa in giro, e soprattutto di individuare molto più nitidamente i temi di quei versi, così scarni ma così umani e coinvolgenti:

«la rivolta al conformismo, la brutale franchezza, la disperazione, la denuncia della falsa morale, l’ironia antimilitarista, anticapitalista, antibigottista: la necessità e l’impossibilità di comunicazione» (12).

Nel frattempo, la vita va avanti: Nanda, nel 1940, consegue a Torino il diploma di pianoforte al decimo anno di conservatorio e il 17 giugno dell’anno successivo si laurea con 110 e lode discutendo una tesi, premiata dal Centro di Studi Americani di Roma, che verte su Moby Dick di Herman Melville, uno dei libri preferiti di Pavese, dopo che un professore ne aveva rifiutata una sull’amato Whitman - quest’ultimo l’autore di Leaves of grass, proprio uno dei quattro testi che le erano stati recapitati dal suo ex professore - perché «argomento troppo scabroso per una brava signorina come lei» (13). Nel 1941, Nanda ascolta alla radio il famoso discorso, tenuto davanti al Congresso, di Franklin Delano Roosevelt in cui il 32° Presidente degli Stati Uniti elenca le quattro libertà fondamentali di cui ogni persona al mondo dovrebbe godere: libertà di espressione, libertà religiosa, il diritto ad un livello di vita sufficiente e la libertà dalla paura, quest’ultima contro l’aggressione fra nazioni, cosa che apre la strada alla creazione delle Nazioni Unite (1945). Da quel giorno, soprattutto considerando il clima repressivo che si viveva in Italia, la parola libertà diventa quella che meglio interpreta la sua idea di America; ma per tutti gli intellettuali non allineati con il regime, il punto era che bisognava essere estremamente prudenti, poiché nell’Italia autarchica delle camicie nere la letteratura statunitense, così allusiva di libertà negata, non poteva che essere ostacolata e boicottata.
Con il padre caduto in disgrazia economica, e l’incalzare della seconda guerra mondiale (1939-1945), dove l’Italia entra il 10 giugno 1940 perché il duce Mussolini, giudicando fatalmente il conflitto di breve durata, fiuta gli eventuali vantaggi di sedere al tavolo della pace tra i vincitori, la famiglia Pivano, nel 1942, è costretta a “sfollare” drammaticamente a Mondovì, dove Nanda continua clandestinamente l’attività di traduttrice, sempre sollecitata intellettualmente dalla corrispondenza con Pavese, quest’ultimo fresco di assunzione, con mansioni di impiegato di prima categoria, presso l’Einaudi di Torino, la casa editrice che nel 1941 aveva pubblicato proprio l’esordio narrativo dell’intellettuale, scritto nel 1939 e intitolato Paesi tuoi. Successivamente, in uno dei frequenti incontri fra l’allieva e l’ex maestro nato a Santo Stefano Belbo, in provincia di Cuneo, quest’ultimo trova in un cassetto il manoscritto dove, negli anni e a sua insaputa, la Pivano aveva riportato le preziose traduzioni dei versi della Spoon River Anthology di Masters, il libro che lo stesso Pavese le aveva prestato per consentirle di aprire una finestra sulla poesia statunitense:
Mi vergognavo come una ladra mentre lo sfogliava adagio, arricciando gli angoli del foglio con le lunghe dita nervose; e aspettavo con un gran batticuore che mi dicesse qualcosa. Ma disse soltanto: «Allora ha capito che differenza c’è tra la letteratura americana e quella inglese», e sorrise e si portò via il manoscritto. (14)
Agli inizi del 1943, lavorando all’interno della casa editrice Einaudi, Pavese colse l’opportunità di selezionare parte dei profili ritratti e proporne la pubblicazione; il problema era eludere l’inflessibile censura, il classico strumento di una cultura autarchica «quasi esclusivamente dedita alla celebrazione del regime e all’indebolimento cognitivo e coscienziale dei suoi sostenitori» (15), che non aveva nessuna voglia di “riscoprire” l’America.
Occorreva, insomma, uno stratagemma fantasioso: ecco allora che la prima edizione italiana del capolavoro di Masters esce, il 9 marzo 1943, con il titolo di Antologia di S. River, giocando sull’equivoco di fare riferimento ad un improbabile Santo, portatore nel nome di valori sacri del cristianesimo, al quale il temibile Minculpop - abbreviazione, spesso usata in termini dispregiativi, del Ministero della cultura popolare del governo che, nel Regno d'Italia, svolgeva i compiti riguardanti la cultura e l'organizzazione della propaganda del fascismo – non avrebbe mai negato l’agognato lasciapassare. Se pensiamo che, in quel delicato periodo, gli addetti alla censura presero la decisione di «proibire perfino i fumetti americani con l’eccezione di ‘Topolino’» (16), possiamo ben comprendere la soddisfazione della casa editrice Einaudi di aver aggirato lo scoglio che mirava a boicottare tutto ciò che proveniva da culture straniere, soprattutto se democratiche. Ma quando le cose sembravano mettersi per il meglio, arriva l’imprevisto: il Minculpop, che per usare un eufemismo detestava contraddirsi, decise che la copertina del libro - quest’ultimo contenente solo una selezione di 143 dei 244 epitaffi compilati originariamente - era da ritenersi immorale in quanto, fra i morti disegnati nell’atto di uscire dalle tombe di Spoon River, si poteva scorgere una donna con il seno scoperto e quindi la pubblicazione venne immediatamente ritirata, facendo temere il peggio. La Pivano, che aveva incassato il compenso di 1000 lire da Einaudi per la traduzione del poema di Masters – in pratica la stessa cifra che Pavese aveva preso anni prima (1941) con Moby Dick di Melville, perché in quegli anni davvero non si traduceva per denaro - così ricorda quei momenti:

«Einaudi era stato molto abile e aveva sfruttato a fondo il permesso di pubblicazione che aveva ottenuto; le autorità decisero che in realtà il sequestro era dovuto alla immoralità della copertina. Copertina che venne sostituita con insolita docilità; così il libro cominciò a circolare con un ritmo da best seller e molti ragazzi come me poterono accostarsi a queste poesie. […] Perché per noi che eravamo giovani allora, Spoon River significava molte cose: la schiettezza, la fede nella verità, l’orrore delle sovrastrutture. Forse significava amore per la poesia; certo significava amore per quella poesia» (17).

Ottenuto quindi il placet definitivo, con il Ministero della cultura popolare ingenuamente convinto di aver concesso la diffusione di un’opera letteraria dove era possibile rinvenire le massime di un non meglio identificato San River, l’Antologia di Spoon River diventò finalmente accessibile a tutti, godendo anche della tempestiva ed invitante recensione griffata da Cesare Pavese che, oltre ad essere un estimatore dell’opera di Masters da tempi non sospetti, saluta la pubblicazione del libro anche nel suo nuovo ruolo di funzionario della coraggiosa casa editrice torinese Einaudi con un saggio pubblicato su “Il Saggiatore” il 10 agosto 1943. Nell’articolo, l’intellettuale piemontese tesse le lodi della sua talentuosa allieva Fernanda Pivano, abile a proporre una traduzione che valorizza al meglio i versi asciutti ma così carichi di umanità proposti da Edgar Lee Masters quasi tre decenni prima:

«Se questa è, come pare, la prima fatica letteraria della Pivano, diremo che di rado un giovane ha saputo contenere a questo modo i suoi entusiasmi e castigare il suo piacere con tanta consapevolezza. Si direbbe la fatica di un esperto conoscitore, cui la lunga e amorosa consuetudine col testo ha insegnato a scegliere e trasfigurare, nella pacatezza del ricordo, i luoghi dell’anima. Qualcuna di queste poesie sembra diventata italiana a poco a poco, prima che nell’atto di tradurla, nell’insistente ricorrervi della memoria. Così il discorso che le accompagna, ricco di illuminazioni e riferimenti lampeggiati, pare che sottintenda un’avvenuta convinta assimilazione di gran parte della cultura che le produsse» (18).

Da questo preciso momento, se il successo del libro diventa progressivamente inarrestabile, anche se per una versione definitiva - o quasi, visto che comunque mancheranno all’appello la Spooniade e l’Epilogo - bisognerà attendere il 1948, la vita di Fernanda Pivano, che nel frattempo, confermando vivacità intellettuale, ottiene una seconda laurea in filosofia con Nicola Abbagnano, di cui diventerà assistente presso la cattedra di pedagogia fino al 1960, è destinata a decollare, anche se non mancheranno i momenti di difficoltà. Infatti, quando, sempre da Giulio Einaudi, le viene commissionata la traduzione di Addio alle armi di  Hemingway - il romanzo che mortificava l’onore dell’esercito italiano, decimato dagli austro-tedeschi a Caporetto durante il primo conflitto mondiale - accade che il contratto, al termine di una perquisizione nella casa editrice, finisca nelle mani della Gestapo; così, leggendo il nome di Fernando Pivano, poiché era stato commesso un errore nella battitura della firma del documento, la polizia segreta nazista aveva arrestato il fratello di Nanda, Franco Pivano, facendogli passare un brutto quarto d’ora. Appena avuta notizia, per tirarlo fuori dai guai, la Pivano si precipitò coraggiosamente all’Hotel Nazionale di Torino, in pratica la sede delle famigerate SS, scagionando Franco, descritto «pallido come un morto, col viso coperto di sangue» (19); per cavarsela anche lei, aveva adottato la tecnica carbonara di negare tutto, oltre che non si capisce di che cosa si sarebbero dovuti offendere i tedeschi, che a Caporetto avevano vinto. Comunque, contrariamente a quanto risulta in diverse fonti, Nanda venne interrogata ma non fu mai arrestata e, per la cronaca, Einaudi non pubblicò Addio alle armi ma cedette i diritti alla Mondadori, che stampò il libro solo nel 1949.
Di sicuro, lo spiacevole episodio fece capire alla Pivano che ciò che il regime fascista considerava intollerabile non era soltanto la diffusione dei libri stranieri, ma anche il loro contenuto; il romanzo di Hemingway, A Farewell To Arms, che la giovane Nanda intendeva tradurre era - a partire già dall’eloquente titolo, Addio alle armi - un testo estremamente pacifista, che parlava di diserzione, quindi in totale rotta di collisione ideologica con le strategie autoritarie e militaresche di un regime, quello fascista, che per più di venti anni, in pratica dal 1922 al 1945, aveva negato all’Italia ogni forma di libertà, individuale e collettiva. Ad ogni modo, con la sospirata fine della seconda guerra mondiale, Nanda Pivano, per via della traduzione incessante di importanti romanzieri americani, tipo William Faulkner, Francis Scott Fitzgerald, Sherwood Anderson e Gertrude Stein, ha rappresentato un crocevia decisivo della cultura italiana, quando molti scoprirono, grazie prima di tutto al suo mentore Cesare Pavese, al critico letterario Elio Vittorini e al cinema d’oltreoceano, non soltanto l’America ma anche e soprattutto la voglia di libertà che proveniva da quelle terre lontane. Successivamente, la Pivano verrà ricordata anche come audace promotrice della pubblicazione e della diffusione delle opere della Beat Generation, consegnando alle luci della ribalta testi fondamentali come Sulla strada (1957) di Kerouac e Jukebox all’idrogeno (1965) di Ginsberg.
Tornando invece al triangolo Pavese-Pivano-Masters, si ritiene opportuno aggiungere una riflessione relativa al vero ruolo ricoperto dall’intellettuale sabaudo rispetto alla traduzione dell’opera, che per oltre un trentennio sarà un best seller. Tale riflessione è frutto della pregevole ricerca compiuta dal Professore di italiano Iuri Moscardi, ormai trapiantato per lavoro dal 2014 in America. Eseguendo un certosino lavoro di esame e collazione - vale a dire di un confronto del manoscritto, che è servito per elaborare le prime versioni della casa editrice Einaudi del testo, cioè quelle volute da Pavese e che presentano la firma di Pivano, con gli esiti delle prime edizioni a stampa - Moscardi ha definito le rispettive responsabilità dei due traduttori, giungendo alla conclusione che le loro diverse traduzioni tendono ad integrarsi nel testo finale. La disamina di Moscardi, in particolare «del riscontro e dall’analisi delle correzioni materialmente visibili nel dattiloscritto esaminato» (20), dimostra come di fatto Pavese - che nella pubblicazione, adempiendo al suo ruolo editoriale, avrebbe dovuto rappresentare soltanto il revisore – incise sul testo della prima traduzione:
Poiché la lezione della stampa non corrisponde esattamente a quella che si può ricostruire integrando nel testo le modifiche manoscritte dello scrittore, è evidente che le fasi del suo intervento furono due: la prima documentata dai suoi interventi manoscritti e la seconda fatta sulle bozze di stampa (andate perdute). […] Entrambe hanno evidenziato […] lo stesso modus operandi: sfoltimento dei versi con eliminazione delle parti ritenute superflue, modifiche alla scansione grafica dei testi, introduzione di termini connotati o ricercati (senza dimenticare la correzione degli errori sfuggiti alla revisione manoscritta di Pivano, fatta da Pavese soprattutto a mano). A differenza della traduttrice, Pavese opta per una traduzione meno aderente alla lezione originale: non si limita al singolo verso ma considera le poesie nella loro totalità, modificandole a seconda di un suo personale criterio in base al quale giudica che il senso dell’originale si trasmetta meglio. Le soluzioni di entrambi i curatori si mescolano e danno forma alla prima traduzione così come apparve a stampa, dimostrando un intervento attivo e spesso determinante anche da parte di Pavese. (21)

Insomma, Moscardi, indagando accuratamente, ha dimostrato - attraverso il suo studio intitolato “Cesare Pavese e la traduzione di ‘Spoon River’ di Fernanda Pivano” con cui nel 2012 si è aggiudicato a Santo Stefano Belbo, il paese natale dello scrittore, la ventinovesima edizione del Premio Pavese per la miglior tesi di laurea - che l’inquieto scrittore non fu il semplice revisore finale, come previsto da contratto con la casa editrice Einaudi di cui egli era diventato funzionario, ma svolse una preziosa funzione di supporto nella sistemazione del testo relativo alla traduzione dello Spoon River di Masters. Proprio alla luce di quanto argomentato dal Moscardi, appaiono inequivocabili le parole espresse dal poeta e traduttore Ballerini:
«Tra i patiti di Spoon River il lavoro di Moscardi ha suscitato un piccolo terremoto. Ne emerge infatti, con estrema chiarezza, che i ruoli dei due eroici apripista dell’avventura mastersiana non sono affatto separabili, come si è a lungo creduto, […] ma strettamente e indissolubilmente uniti» (22).
Comunque, questo “ritorno” a Pavese, scaturito dalle indagini conoscitive messe in atto dal Moscardi, oltre a ridistribuire legittimamente i meriti di un progetto di traduzione coraggioso ed innovativo, è rilevante perché, come osserva ancora il Ballerini, funge da ennesimo punto di ripartenza:

«un invito a cercare nuove ragioni di lettura, com’egli ha dimostrato nei tre saggi dedicati al poeta americano, e in tutto il suo lavoro di traduttore e prefatore»  (23).

Concludendo, non è escluso che Pavese, il quale non ha mai rivendicato per sé nessun merito, abbia rinunciato di proposito a comparire come traduttore ed editore del libro, con l’intenzione di offrire un’opportunità professionale alla donna che allora amava; obiettivo centrato, visto che quando Pavese, il 27 agosto 1950, si è dato la morte nell’albergo Roma di Torino con una dose eccessiva di sonnifero, Nanda Pivano era già diventata la traduttrice ufficiale di Hemingway, lo scrittore americano che ricevette il Pulitzer nel 1953 per Il vecchio e il mare e vinse il Nobel per la Letteratura nel 1954.

NOTE

(1)    Nü delle Storie, Alla scoperta di… Antologia di Spoon River, https://loggioneletterario.it/antologia-di-spoon-river/ .
(2)    Pavese, Saggi Letterari, cit., p. 51.
(3)    Ibid.
(4)    Ivi, p. 52.
(5)    Ivi, pp. 54-5.
(6)    Ibid.
(7)    Pivano, Diari (1917-1973), cit., p. 32.
(8)    L. Ginzburg, Lettere dal confino 1940-1943, Torino, Einaudi, 2004, p. 223.
(9)    Pivano, Diari (1917-1973), cit., p. 52.
(10)     Ibid.
(11)     F. Pivano, America rossa e nera, Firenze, Vallecchi Editore, 1964, p. 64.
(12)     Ivi, p. 65.
(13)     F. Pivano, The beat goes on, a cura di G. Harari, Milano, 2004, p. 28.
(14)     Pivano, America rossa e nera, cit., p. 65.
(15)     Ballerini, La coppia Pivano-Pavese: le origini della fortuna di “Spoon River” in Italia, in Antologia di Spoon River, Mondadori, cit., p. 716.
(16)     Ivi, p. 717.
(17)     Pivano, America rossa e nera, cit., p. 66.
(18)     Pavese, Saggi Letterari, cit., p. 62.
(19)    Pivano, Diari (1917-1973), cit., p. 63.
(20)     L. Ballerini, La coppia Pivano-Pavese: le origini della fortuna di “Spoon River” in Italia, in Masters, Antologia di Spoon River, Mondadori, cit., p. 727.
(21)     I. Moscardi, Cesare Pavese e la traduzione di Spoon River di Fernanda Pivano, tesi di laurea specialistica, Università degli Studi di Milano, 2012, p. 4.
(22)     Ballerini, La coppia Pivano-Pavese: le origini della fortuna di “Spoon River” in Italia, cit., p. 726.
(23)     Ivi, p. 728.


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