Lo vedi stagliarsi all’orizzonte, imponente, geniale, tanto da far sembrare le montagne circostanti delle umili collinette. 6.000 metri. Eppure, visto dall’alto, il Kilimanjaro sembra soltanto un brufolo sul volto della Madre Terra.
Dinanzi a tale meraviglia noi venivamo investiti da particolari sensazioni, tutte collegate, necessarie, e conseguenti all’accettazione del rischio. Tutti questi brividi che ci attraversavano con scadenza fissa, quasi con prevedibile tempismo, sebbene logicamente accettate non avevano ancora una spiegazione razionale. Non sapevamo a chi attribuire la responsabilità dell’accaduto… ed è a questo punto che abbiamo iniziate a chiamarle Dio.
Codardamente, perché non si può dare una risposta cosi facile ed elusiva ad una domanda ben più profonda.
Dio non può essere soltanto un esercizio di retorica. Però è facile percepire una sorta di spiritualità personale quando ci si trova immersi in paesaggi sublimi, e quindi, per definizione, non a misura d’uomo. Un Dio che non ha fatto catechismo, che nulla c’entra con le religioni e con i valori terreni, bensì un Dio personale, che si esprime attraverso la profonda convinzione nello spirito della Natura e nel riconoscimento delle leggi che la governano. Il pre-sentimento era quello di sentirsi burattini manovrati da una mano gentile che ci guidava attraverso onde di felicità e pozzanghere di paura. Ed è pericoloso. Declinare la propria responsabilità, sapendo che c’è qualcuno che ci protegge ci rende completamente imprudenti. Ma solo essendo incoscienti riuscivamo ad ottenere riposo per le nostre anime in pena.
È come tornare bambini.
Correre a petto nudo nella foresta, per vedere chi riesce a scalare per primo quel baobab, in barba alle statistiche non troppo confortanti sull’incidenza della malaria.
Nuotare in pieno oceano nella notte, sentendo murene e granchi sotto i piedi, sapendo che c’è anche la possibilità di fare incontri con qualche squalo.
Oppure rincorrere a piedi bufali e giraffe, ignorando che nei paraggi possa esserci qualche leopardo.
Soccorrere persone vittime di un incidente stradale, nonostante le ferite aperte nelle nostre mani, e il rischio per un possibile contagio da HIV.
Chiudere gli occhi e sentire il vento sul bordo di un cratere…
Ecco che cosa si è portati a fare quando si è troppo fiduciosi.
“E guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere…”, ma ti giuro, caro Lucio, che è poi davvero tanto difficile morire, nonostante sia così facile pensarlo…
Il rischio. Componente base della vita.
In fondo la regola è: non chiedere mai il permesso. Al limite, dopo, chiedi il perdono.
Come fare un bagno sotto le cascate del Kilimanjaro, tra parassiti e batteri, nell’acqua gelida, per poi tornare a casa con un tremendo raffreddore e puntini rossi su tutto il corpo. Ma tanto poi passerà, e se non passerà sarà un bel ricordo che porteremo dietro per tutta la vita…
“Hakuna matata”, dicono loro: nessun problema.
Del resto, la mia anima non fa mai gli interessi del corpo…
Ad esempio adesso ho i sintomi della malattia del sonno... non riesco a riposarmi, sono debole, apatico, ma so che non è nulla di fisicamente preoccupante, conosco la mia malattia.
«Immaginate un luogo in cui il cielo non vi sovrasta, vi attraversa; l’aria non si respira, si assapora, il tempo scorre, non corre ed il sistema nervoso si sistema, non s’innervosisce.
Un luogo dove la gente non t’incrocia, ti saluta, dove tutto è vero, anche le cose spiacevoli, perché tutto è vita.
Il mal d’Africa è uno stato dell’anima, prima ancora che uno stato mentale.
È qualcosa che pulsa nello stomaco ed esiste a prescindere dalla cattiva digestione del vecchio, pesante continente o di una giovane, fresca noce di cocco.
Mal d’Africa è imparare a perdere tempo scrutando un geco dalla testa bianca fare le flessioni.
Mal d’Africa è disegnare con gli occhi il contorno di un baobab che si staglia sullo sfondo del cielo basso e turchese.
Mal d’Africa è osservare un meccanico che non sa da dove cominciare a riparare il motore della vostra auto.
Imparare che non è vero che se non si desidera tutto non si otterrà nulla, che accontentarsi non è sempre una sconfitta e che vivere alla giornata è un buon metodo per aggiornare l’esistenza.
Capire la propria diversità e accettare quella degli altri, in un luogo dove nemmeno quel visionario di Gesù avrebbe potuto affermare che gli uomini sono tutti uguali».
[Freddie Del Curatolo, brano tratto da "Il mal d'Africa", pubblicato nel 2008 sul portale www.malindikenya.net e pubblicato nel libro "Malindi Italia" (Edizioni Liberodiscrivere 2009) e "Safari Bar" (GVE Editore, 2013).]
Il mio mal d'Africa non è nostalgia. È sete.
Di sorrisi, di voci che chiamano il mio nome e non di suonerie che strillano prepotenza; di sguardi che servono a capire e non a schivare ciò che non capisco. Sete di tante contraddizioni da intravederne la coerenza Assoluta.
Il mio mal d'Africa è un bisogno improvviso; s'intromette, luminoso, nei miei pensieri come il gioco e la voce di un bambino nel bel mezzo di un discorso noioso; noncurante di tutto e di tutti, mi distrae senza mezze misure.
È gioia esplosiva e magone straziante, con la forza di onde imponenti; di quei cavalloni che all'improvviso ti risucchiano, ti rigirano e fanno perdere il senso dell'orientamento e più cerchi un appiglio, le dita conficcate nella sabbia, più ti rendi conto che nulla può servire, se non lasciarti andare, rigirarti e roteare senza senso, senza sapere se ti basterà il fiato, ma godendoti tutta la Vita che ti scorre nel corpo in quel momento di pura energia.
Il Mal d’Africa, se è quello vero, è un bene incurabile.
Tanzania, 2009.
ROSETO.com > Archivio
CARLITO CORAZON GITANO
7 novembre 2007
PER TUTTI QUELLI CHE HANNO GLI OCCHI ED UN CUORE CHE NON BASTA AGLI OCCHI…
Carlo Tacconelli ci racconta la storia del suo viaggio nel deserto del Sahara.
15 luglio 2008
DIARIO DI UN PELLEGRINO BEATLESIANO
Carlo Tacconelli ci racconta la sua trasferta in Terra d’Albione per assistere al concerto di ‘Sua Maestà’ Paul McCartney.
18 marzo 2013
VENEZUELA: PANNELLI SOLARI E FRAGOLE ANDINE.
Carlo Tacconelli in Venezuela, nel 2008, per un laboratorio di autocostruzione con i contadini delle Ande.
19 marzo 2013
KENYA: NAIROBI DA MATTI...
Carlo Tacconelli in Kenya, nel 2009, alle prese con la scoperta del Continente Nero.