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Serie A2 Est – Roseto Sharks
STEFANO BIZZOZI: VI RACCONTO ARISTIDE MOUAHA.
Aristide Mouaha e coach Stefano Bizzozi, lo scorso campionato in Serie B con la squadra della HSC Roma.

Intervista al coach che lo ha portato in Italia e allenato lo scorso campionato in cadetteria.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Venerdì, 18 Ottobre 2019 - Ore 19:45

Un semplice GRAZIE non basterà mai per questi 3 anni. Nonostante i cazziatoni, gli insulti e tutto, volevi solo tirare fuori il meglio di me.
“Un Padre fuori dal campo, un grande allenatore in campo ma al di là di tutto un UOMO a 360° della parola”, ecco quello che sei stato, che sei e che rimarrai sempre per me.
GRAZIE.
(Aristide Mouaha a Stefano Bizzozi, Facebook, 13 luglio 2019.)


Ho conosciuto coach Stefano Bizzozi quando venne in Abruzzo ad allenare il Teramo in Serie B1, nella stagione 1998/1999. Il giovane Matteo Malaventura (che ha avuto una brillante carriera e nel frattempo ha smesso) doveva diventare il nuovo Bodiroga giocando play e Matteo Panichi (attuale preparatore fisico dell’Italia) un califfo della cadetteria, dopo le stagioni nella massima serie ed essere stato “il difensore personale” di Danilovic alla Virtus Bologna. In entrambi i casi, la Legge di Murphy si mise di traverso e Stefano Bizzozi fu rimpiazzato da Marcello Perazzetti.

Dopo quella parentesi, ho rivisto Stefano un paio di volte, l’ultima delle quali ad Avellino – dove lavorava come vice – quando mi mostrò sul telefonino le belle cose che faceva in Africa. Io, che avevo scritto del progetto di Bruno Cerella che oggi si chiama Slums Dunk, apprezzai molto ciò che stava facendo.

Stimo Stefano, perché è una di quelle persone che non vive solo di basket e che oltre al campo conosce altre dimensioni dell’essere umano. Così, la settimana successiva alla tripla vincente scagliata a Caserta da Aristide Mouaha – che lui ha portato in Italia – l’ho contattato per una chiacchierata finalizzata a conoscere meglio “Aristìd” (io lo chiamo Arìstide, sdrucciolo, ma capisco che l’accento giusto è quello di Stefano).

Coach Bizzozi, che lo scorso campionato ha allenato in B Mouaha alla HSC Roma e oggi è il responsabile tecnico del Settore Giovanile e Capo Allenatore degli Under 18 di Pallacanestro Varese e Varese Academy, ha volentieri risposto.

Stefano, ben risentito. Allora, quest’anno tifi un po’ Roseto in A2...
«Con Aristide Mouaha e Joel Fokou, certo!».

Li hai portati tu in Italia, dal Camerun...
«Di più, li ho visti crescere. Negli anni, con la mia associazione “Sports Around the World”, abbiamo fatto numerosi lavori di solidarietà attraverso il basket laggiù, asfaltando campi, mettendo luci, ridipingendo canestri. È un po’ casa mia e quei ragazzi erano nel quartiere popoloso e un po’ difficile di Biyem-assi, nella capitale Yaoundé. Da parecchi anni sono impegnato in Camerun, anche per il mio lavoro con la Nazionale Femminile della quale sono supervisore e selezionatore dal 2009, così 4 anni fa li ho portati in Italia, grazie al prezioso lavoro di Samuela Isopi, marchigiana, ambasciatrice italiana in Camerun all’epoca e oggi in Repubblica Centrafricana con un ruolo ancor più importante di coordinamento diplomatico».

L’ambasciatrice ti ha aiutato?
«Lei venne a sapere del mio lavoro e mi disse che sarebbe stato giusto dare una chance a quei ragazzi, mediante un aiuto concreto. Io, che aspettavo il momento per dare loro un’opportunità, presi al volo l’assist e, anche spinto dalle loro famiglie, riuscii a portare questi ragazzi in Italia».

Quindi non li hai reclutati, perché il tuo impegno è andato ben oltre l’ambito sportivo...
«Nessun reclutamento. Io ho solo agito affinché a questi ragazzi giovanissimi venisse data una opportunità di studio in Italia, coniugato all’attività sportiva della pallacanestro».

Sei stato un pioniere della solidarietà, mediante il basket, nel Continente Nero...
«Vado dal 2006 e con “Sports Around the World” abbiamo lavorato non solo in Camerun, ma pure in Swaziland, Ruanda, Congo. Abbiamo costruito campi di basket, ma anche un orfanotrofio...».

Così hai portato questi ragazzini a Roma, allenandoli poi alla HSC, fino alla Serie B.
«Abbiamo avuto 3 stagioni fantastiche, arrivando alle finali nazionali, salendo sul podio e vincendo un titolo. La scorsa stagione, con Giovanni Bruni a fare da chioccia – un po’ come Simone Pierich lì a Roseto – abbiamo fatto la Serie B con i migliori giovani, arrivando ai playoff».

Anche voi, come il Roseto potenziato dai giovani del vivaio della Stella Azzurra, siete stati una sorpresa nel vostro torneo?
«Alla prima di campionato, a Catania, un giocatore fece notare che i siti di scommesse ci davano a 6. Insomma: eravamo la squadra materasso. E invece siamo usciti ai playoff contro una corazzata come San Severo».

Così Aristide Mouaha, la scorsa estate, è passato dalla B della HSC Roma al Roseto Sharks in A2. Cosa ricordi di lui, partendo dal Camerun?
«Quando arrivavo in Africa, lui mi veniva a trovare e stava con me. Si sedeva e magari facevamo colazione insieme. Lui ha dentro una passione smisurata e una grande determinazione, perché quando devi fare 2 ore di cammino per andare a scuola e altre 2 per andare a giocare a basket, se non hai un fuoco speciale dentro non ce la fai a continuare. Anche perché magari ci sono soldi per fare solo un pasto al giorno...».

È di queste ore la presa di posizione del giocatore di calcio del Liverpool Sadio Mané, senegalese, che ha dichiarato: «Perché dovrei volere 10 Ferrari, 20 orologi con diamanti e due aerei? Cosa faranno questi oggetti per me e per il mondo. Ho avuto fame, ho lavorato nei campi, sono sopravvissuto a tempi difficili, ho giocato a piedi nudi e non sono andato a scuola. Oggi, con quello che guadagno, posso aiutare le persone». Qualcosa che ci fa riflettere, soprattutto da questa parte del mondo, perché guardando Mané o Mouaha in divisa giocare su un campo, insieme a tutti gli altri, ovviamente non riusciamo a fare differenza quanto a sacrifici iniziali e condizioni originarie...
«Esattamente. Io mi sono raccomandato con tutti i ragazzi che ho avuto affinché studino, non gettino via soldi in capi firmati, tatuaggi o altre spese inutili e supportino le loro famiglie laggiù. Perché se qui una manciata di euro sono poca cosa, da quelle parti possono significare benessere diffuso. Sento il dovere morale di fare questo, anche perché sono stato per loro un po’ un tutor. Ad esempio, banalmente, aiutando Aristide ad aprire il suo primo conto in banca».

E cosa direbbe il coach/tutor Bizzozi a Mouaha, commentando le sue brutte percentuali ai tiri liberi nelle prime due partite di campionato?
«Guarda, questa è una cosa assurda, accaduta anche nelle ultime partite della scorsa stagione e che non ha nulla a che vedere con questioni tecniche. Credo si sia innescato un circolo vizioso a livello psicologico, che Aristide può e deve spezzare. Parliamo di sfumature emotive. Lui deve essere più tranquillo, perché quei tiri sbagliati sono una sorta di avvisaglia circa la sua voglia di ripagare con tutto se stesso la fiducia che gli è stata data. Perciò deve stare sereno e non strafare. Luca, non dimenticarti che parliamo di un ragazzo d’oro e bravissimo, ma che fino a 4 anni fa magari giocava scalzo o con le ciabattine».

Hai ragione, Stefano. Lo sport ha questa bellissima forza di unire e rendere tutti uguali in campo, ma sta a noi capire i singoli percorsi e valutare le storie di ogni giocatore, al fine di meglio comprenderne la parabola. Grazie, coach.
«Grazie a te, alla prossima».

Luca Maggitti
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