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Emanuele Di Nardo
UNA VOLTA FRATELLI: IL BASKET E LA CRISI DELLA JUGOSLAVIA
Emanuele Di Nardo, il giorno della sua laurea, con la tesi.

Vlade Divac e il compianto Drazen Petrovic, insieme nella Jugoslavia.

Vlade Divac e Drazen Petrovic, in NBA con le divise, rispettivamente, di Los Angeles e Portland.

La tesi di laurea, a puntate, del giovane addetto stampa della Teate Basket Chieti. Sinossi dell’opera.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Giovedì, 31 Ottobre 2019 - Ore 19:08

Emanuele Di Nardo è un 24enne che lavora nel settore comunicazione della squadra di Serie B della Teate Basket Chieti.

Appassionato di basket, storia e comunicazione, ha saputo unire il tutto nella tesi che qualche giorno fa gli ha permesso di conseguire brillantemente (110 e lode) una laurea triennale alla Facoltà di Lettere, arti e scienze sociali dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara.

Il titolo della tesi è “Una volta fratelli: il basket e la crisi della Jugoslavia” e il relatore è il professor Francesco Caccamo, titolare della cattedra di “Storia dell’Europa orientale”.

Come nasce l’idea di una tesi così interessante e particolare? Emanuele ha risposto così: «È stata una circostanza precisa, della quale ricordo tutti i dettagli. Era domenica 17 settembre 2017 ed ero davanti la televisione, sintonizzato su Sky Sport 1, per assistere alla finale degli Europei al “Sinan Erdem” di Istanbul tra la Slovenia e la Serbia. Per la prima volta due nazionali della ex Jugoslavia si affrontavano in una finale di un campionato iridato. Subito scattò in me la domanda: “Se questi cestisti oggi giocassero ancora insieme, quanto sarebbero dominanti in un campo da basket?”. L’indomani i giornali specialistici di tutto il mondo versarono fiumi d’inchiostro sulla straordinarietà dell’evento sportivo appena accaduto e suscitarono in me la voglia di approfondire la tematica. Soprattutto il paragone tra Doncic e Petrovic mi ha stuzzicato l’appetito cestistico. Ne ho parlato mesi dopo con il mio relatore il quale, dopo un’iniziale esitazione trattandosi una tesi di laurea molto sperimentale e incentrata sulla pallacanestro, mi ha dato la fiducia necessaria per concretizzare l’idea».

Grazie alla disponibilità di Emanuele, Roseto.com pubblicherà a cadenza settimanale (ogni giovedì) la sua tesi, ritenendo l’argomento di grande interesse per tutti gli appassionati di basket.

Sul nostro sito sono già state pubblicate tesi relative al basket e ai suoi personaggi (ricordo quella su basket e televisione di Stefano D’Andreagiovanni e quella su Giovanni Giunco di Nicola Vannucci), per questo siamo lieti di accogliere anche la fatica di Emanuele, al quale inviamo un forte in bocca al lupo per il suo futuro.

Iniziamo con una sinossi della tesi, per poi, da giovedì prossimo, cominciare con il documento vero e proprio.


UNA VOLTA FRATELLI: IL BASKET E LA CRISI DELLA JUGOSLAVIA
Sinossi


“Se noi jugoslavi fossimo rimasti insieme, credo che avremmo battuto quel Dream Team statunitense”.

A parlare è Vlade Divac, ex giocatore professionista jugoslavo e uno dei primi europei in grado di affermarsi anche oltreoceano nell’NBA, la massima lega professionistica americana, senza considerare tutti i successi sportivi nel vecchio continente. In occasione delle Olimpiadi di Atlanta 1996, il pivot serbo espresse ai microfoni della TV olimpica un parere diffuso nell’ambiente cestistico europeo: se la Jugoslavia non avesse conosciuto la funesta stagione bellica degli anni Novanta e non si fosse divisa, avrebbe potuto giocarsi ad armi pari nel 1992 la medaglia olimpica contro il team USA ovvero la rappresentativa nazionale più forte, a detta dei maggiori esperti, di tutti i tempi.

Da tale considerazione parte la ricerca di questa tesi la quale si prefigge l’obiettivo di analizzare il contesto socio-politico jugoslavo immediatamente precedente allo scoppio dei conflitti in Slovenia e Croazia vedendo la pallacanestro (e in generale lo sport) come il riflesso della complessa società multietnica jugoslava e della sua parabola finale. Con l’entrata in scena del maresciallo Tito nel secondo dopoguerra, infatti, il regime comunista portò avanti una propaganda unitaria volta al rafforzamento del concetto di Jugoslavia, seppur nel rispetto delle individualità delle sei repubbliche attraverso lo slogan ormai celebre “Fratellanza e Unità”.

E il basket, così come tutte le altre pratiche sportive a livello professionistico, fungeva da collante per una compagine statale eterogenea e artificiale: in modo particolare lo sviluppo della pallacanestro jugoslava è legato a doppio filo con il regime comunista che ha reso questo sport un volano della propria propaganda, specie durante la Guerra Fredda tra gli USA e l’URSS, per compattare ulteriormente la federazione contro le forze disgregatrici esterne.

Per una serie di circostanze storiche per nulla controllabili dalla politica, negli anni Sessanta nasce una vera e propria generazione dorata destinata a scrivere pagine gloriose del basket jugoslavo e non solo, contribuendo ad avvalorare la propaganda del regime. Nel 1980 la morte di Tito sembrerebbe preannunciare la fine del “miracolo jugoslavo”, come dichiarano le testate giornalistiche di tutto il mondo, ma questo non accade per il momento, specie nella pallacanestro attraverso la quale la Jugoslavia continua a mettere in bacheca trofei e medaglie, dando l’impressione di essere invincibile.

Con gli anni Novanta l’eco della guerra non tarda tuttavia ad arrivare, gettando nello scompiglio un gruppo di uomini che fino a pochi mesi prima si consideravano fratelli uniti sotto la stessa bandiera e che adesso, invece, si ritrovano d’un tratto l’uno contro l’altro in campo da gioco così come nella vita. Nulla sarà come prima.

Tutti conoscono la triste vicenda dei due cestisti più rappresentativi di quella nazionale ovvero il serbo Vlade Divac ed il croato Dražen Petrović al termine dei campionati del mondo di Argentina ’90 ma forse in pochi riescono ad immaginare il dramma umano e personale di un’intera nazione, costretta a decidere da che parte stare senza nemmeno avere la possibilità di ribellarsi a tale scelta. Come dimostra, ad esempio, la storia di Jure Zdovc, sloveno con un passato anche virtussino qui in Italia, richiamato dalle autorità di Lubiana in patria all’indomani dell’indipendenza della sua Repubblica dalla federazione (25 giugno 1991), mentre si trovava a Roma per disputare gli Europei: se si fosse rifiutato, sarebbe stato dichiarato nemico pubblico e la sua famiglia sarebbe stata esposta a possibili ritorsioni. 

Nella ricerca si è cercato di verificare quanto e in che modo le divergenze politiche tra i vari nazionalismi abbiano influito sulle sorti della pallacanestro jugoslava, prendendo in esame le fonti dell’epoca e avvalendoci dell’ausilio della testimonianza diretta degli atleti che hanno vissuto sulla propria pelle quegli anni. In questa prospettiva si è tentato di ricostruire il clima dell’epoca sovrapponendo gli eventi politici e le manifestazioni sportive al fine di evidenziare una possibile influenza dei primi sull’equilibrio all’interno della squadra nazionale.

Emanuele Di Nardo


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