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Emanuele Di Nardo
Una volta fratelli: il basket e la crisi della Jugoslavia
1990: LA VITTORIA DELLO SPORT, LA MORTE DELLA NAZIONE.
Milan Kucan. Sostenitore di una linea riformatrice all’interno dell’apparato politico ed economico sloveno, a livello federale sostenne i diritti delle minoranze albanesi del Kosovo e il diritto delle nazioni all’autodeterminazione e al pluralismo politico, entrando così in contrasto con Milosevic.

Slobodan Milosevic, esponente del PCJ serbo che, nel 1986, lesse con estremo acume strategico l’insofferenza politica della Federazione jugoslava, facendosi portavoce delle recriminazioni nazionaliste serbe.

La tesi di laurea, a puntate, del giovane addetto stampa della Teate Basket Chieti. Puntata 7.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Giovedì, 19 Dicembre 2019 - Ore 19:15

III: 1990 – La vittoria dello sport, la morte della nazione

Per comprendere le cause e, soprattutto, la finalità degli scontri avvenuti al “Maksimir” di Zagabria nel maggio 1990, sarebbe opportuno fare un passo indietro e analizzare il clima politico d’inizio anno: a partire dal XIV congresso della Lega dei comunisti, e dai conseguenti sviluppi nelle singole Repubbliche, specie in Croazia dove il nazionalismo acquisiva sempre più consenso.

III.1: Il XIV congresso della Lega dei comunisti e l’ascesa di Tudjman

La Jugoslavia era poco più di un’idea romantica in agonia. Il primo segno forte di rottura all’interno dei vertici della Federazione ci fu in occasione del XIV congresso della Lega dei comunisti, il vero motore dello Stato. Il congresso avrebbe dovuto garantire un’insperata ma necessaria risoluzione dei problemi interni al Paese in seguito all’emergere delle istanze nazionaliste. In modo particolare, l’argomento principale fu la questione slovena, tutt’altro che sopita. Lo scoppio dei disordini nel Kosovo nel febbraio ’89 ed il conseguente intervento armato dell’esercito jugoslavo, autorizzato dalla Presidenza collegiale, acuì il malumore degli sloveni e, in modo particolare, del loro presidente, Milan Kučan.

Avevamo il timore che, dopo il Kosovo, sarebbe stato il nostro turno. Un’ottima motivazione per opporci ai serbi! Gli scioperanti non difendevano solo i diritti albanesi nel Kosovo bensì la Jugoslavia intera, Slovenia inclusa (1).

Con questo spirito Kučan prese parte al congresso, consapevole di dover arginare la dilagante politica nazionalista serba portata avanti da Milošević. I delegati sloveni presentarono una lunga lista di mozioni che vennero tempestivamente rigettate facendo serpeggiare tra i presenti il timore di quanto i serbi avessero il controllo totale della Lega. Dopo una pausa, il delegato Ribičič chiese la parola dichiarando che la Slovenia non avrebbe potuto accettare l’atteggiamento intransigente del comitato centrale nei suoi confronti e appurando che, in quelle circostanze, la soluzione più giusta fosse quella di abbandonare il congresso stesso. In realtà Kučan sarebbe stato più propenso ad un compromesso ma Milošević provò a minimizzare la protesta slovena per dimostrare che la Lega potesse esistere anche senza la Slovenia. Per farlo, però, necessitava del supporto delle altre Repubbliche, a partire dalla Croazia la quale minacciava l’uscita dall’aula dei suoi rappresentanti se non fosse stata recuperata la delegazione slovena e se i serbi non fossero scesi a compromessi. “Ecco come cominciò la crisi jugoslava: furono gli sloveni gli artefici della crisi!” (2) fu il commento del presidente del PC serbo in seguito all’abbandono dell’aula da parte anche della Croazia.

Apparve chiaro come il quadro politico fosse ormai compromesso e come fosse difficile portare avanti politiche nazionaliste di fronte ad un sostrato demografico assai eterogeneo e mescolato senza il rischio concreto di un conflitto armato. La domenica prima del 13, il 6 maggio 1990, si tennero le prime elezioni libere che premiarono l’Unione democratica croata (HDZ) di Franjo Tudjman: un militare ancor prima di un uomo politico dal profilo interessante. Durante la resistenza, aveva combattuto aspramente il governo ustascia di Ante Pavelić, con risultati così brillanti da ottenere la promozione a responsabile della formazione dei quadri dell’Armata jugoslava, prima della nomina a generale dell’esercito (il più giovane di sempre). Nel periodo maturo avrebbe rinnegato il suo trascorso comunista fino ad assumere posizioni autoritarie di destra.

La passione per lo sport, già palese nel periodo comunista con la presidenza del Partizan, sarebbe diventato strumento di campagna elettorale. Capì il valore mediatico di avere al suo fianco campioni a sostegno come i cestisti Dražen Petrović e Toni Kukoč o il calciatore Zvonimir Boban che, come vedremo, saranno protagonisti della politica nello sport (3).

NOTE
1 “Jugoslavia. Morte di una nazione” –prodotto dalla BBC, tradotto dalla RAI nel 1999 e condotto da Andrea Purgatori (https://www.youtube.com/watch?v=gs6qQnqP1fo&t=2332s).
2  Ivi
3 G. Riva, L’ultimo rigore di Faruk, cit, pag. 42.

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