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Derby teatino a Bologna: Mancinelli VS Ricci.
PIPPO FESTEGGIA, MANCIO MASTICA AMARO, L’ABRUZZO APPLAUDE I SUOI TALENTI.
Giampaolo Ricci, durante il derby.
[Basket Inside / Stefano Ponticelli]


Stefano Mancinelli, durante il derby.
[Basket Inside / Stefano Ponticelli]


Emanuele Di Nardo, placata la tempesta mediatica petroniana, ci racconta – da Chieti – il derby delle due torri.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Venerdì, 27 Dicembre 2019 - Ore 19:00

25 dicembre 2019, Bologna. Mentre nel resto della penisola ci si prepara a trascorrere la giornata tra gli affetti familiari, riuniti intorno ad una tavola imbandita e scandendo le ore a suon di tombole e giochi di ruolo, nel capoluogo emiliano si festeggia una ricorrenza più importante del Natale: a distanza di dieci anni Basket City ha finalmente il suo derby in Serie A1.

La prima parte di stagione ha mostrato il reale valore delle due compagini: da un lato la Virtus di Sasha Djordjevic che continua a guidare la classifica dando l’impressione di essere una corazzata a tratti inespugnabile, dall’altra la Fortitudo di Antimo Martino che, da neopromossa sui generis, nonostante la primaria volontà di conquistare un’agevole salvezza, è ad un passo dallo staccare un incredibile pass per le Final Eight di Coppa Italia.

Nelle scorse settimane a lungo si è parlato del derby numero 106, dei suoi protagonisti e della sua lunga storia. Ma, lontano dai clamori e dagli sfottò che si sono consumati sotto le due torri, anche Chieti e, in generale l’Abruzzo, si apprestava a vivere con particolare trasporto “la” partita dell’anno: il derby tutto teatino tra Stefano Mancinelli e Giampaolo Ricci ha catalizzato le discussioni cestistiche degli ultimi giorni in città come forse non mai.

Da una parte il “Mancio”, il simbolo fortitudino per eccellenza, il capitano dalle mille battaglie, l’unico ad aver già disputato un derby, sia l’ultimo del 2009 in A1 sia quello di due anni fa in A2; dall’altro “Pippo”, un tipo da “la classe operaia va in paradiso”, un atleta che ogni allenatore vorrebbe nella sua squadra per spirito di abnegazione e qualità umane oltre che tecniche, al suo primo derby di Bologna. Un motivo in più per lasciare la tavola e sintonizzarsi davanti alla televisione.

Non c’è sconfitta nel cuore di chi lotta ma il risultato netto ed inequivocabile (94-62) lascia ben poco ottimismo nella mente della Fortitudo Bologna. Sebbene tutti fossero consapevoli del gap fisico e tecnico tra le due squadre, forse proprio l’eccessiva consapevolezza da parte dei biancoblù di essere deficitari rispetto ai propri avversari ha contribuito alla realizzazione di una prova grigia e amara. Davanti agli 8000 festanti, la Segafredo ha dato sfoggio della propria bellezza estetica unita ad una concretezza, per certi versi, di matrice slava. Infatti sono i due metronomi serbi, Markovic e Teodosic, ad imprimere sin dalle prime battute un ritmo martellante e sostenuto alla gara: il primo con assist da manuale per i propri lunghi, il secondo con la classe cristallina che lo contraddistingue, attraverso la quale sale subito in cattedra.

Ricci, partito in quintetto, mostra di aver impattato bene, specie in difesa dove annichilisce per tutta la partita un Leunen irriconoscibile. La partenza sprint della “VuNere” costringe Martino ad un timeout con il chiaro obiettivo di resettare una partenza troppo rilassata (16-5 al 5’). Ma, per quanto ci si aspettasse una gara accesa, nella realtà dei fatti abbiamo assistito ad un lungo, continuo, affascinante monologo virtussino che ha cancellato completamente gli avversari dal parquet. La Virtus si aggrappa alle sue granitiche certezze, annichilendo tramite una copertura difensiva disarmante una Fortitudo priva d’idee e poco dinamica: se, ad un errore offensivo, segue una transizione difensiva lenta è pressoché certo un canestro subito. Chiedere a Weems (9) ed Hunter (7) denunciati per maltrattamento sul ferro avversario. Con l’indice di valutazione che pende pesantemente a favore dei bianconeri (30/8) e con una prestazione offensiva opaca (3/16 al tiro), si chiude il primo periodo e, forse, la partita per la Pompea (22-11).

Nemmeno l’ingresso di Mancinelli scuote la Fortitudo, in evidente stato confusionale come dimostrano gli airball di Leunen e Cinciarini dal perimetro. Coach Martino, nel disperato tentativo di arginare le incursioni al ferro degli avversari, prepara una zona che, di fatto, permette a Teodosic di dare spettacolo con il suo movimento a ricciolo per imbeccare i compagni nei backdoor, del quale dispone il brevetto e per il quale non si è ancora trovata una soluzione. Così la Virtus vola sul +17 (33-16 al 15’).  1/11 da tre e 3/16 da due: queste le cifre (grigie) della “F scudata” che soccombe sul parquet. Ma, nell’agonia più totale, si registra un dato emblematico e chiarificatore dello stato d’animo della Fortitudo: nel secondo quarto, con gli avversari in fuga, non è stato commesso nemmeno un fallo dai biancoblù, visibilmente sfiduciati e spaesati. Mancinelli e compagni viaggiano con il 23% dal campo (7/30). Trovando conforto dalla lunetta (9/11), comunque il passivo rimane imbarazzante (45-25).

Dopo la pausa lunga, si registra un cambio tra le formazioni: si gioca la partita Weems-Fortitudo Bologna. Si perché l’esterno statunitense decide di porre il proprio marchio su un gara fino a quel momento positiva con un break che dire disarmante è poco (13 punti in successione). A fine partita per lui saranno 32, con solo tre errori al tiro, dedicati interamente al padre scomparso da poco. 32 punti messi quasi sempre in faccia a Pietro Aradori, attesissimo ex di giornata e incapace di arginare l’ondata generale di fischi sostituita poi, a partita chiusa (quando mai è stata aperta?), con irrisori applausi ad ogni libero segnato. Quest’oggi sono mancati alla Pompea i propri veterani, Leunen su tutti. Cinciarini fa quello che può, Sims ha tutt’altro che vita facile sotto le plance (65-46). Gli ultimi dieci minuti sono una pura formalità ma bastano alla Virtus per accrescere il proprio vantaggio e per schernire, in vero stile derby, gli avversari con un +32 (94-62) che sarà indimenticabile di sicuro per entrambe le tifoserie.

Si chiude il derby 106 di Basket City, i nostri due teatini tornano negli spogliatoi con stati d’animo evidentemente opposti. Il “Mancio” ferito nell’orgoglio fortitudino e pronto a spendere due parole di sostegno per tutti i suoi compagni da vero capitano, “Pippo” acclamato dai tifosi e ebbro di gioia. Ma aver avuto la possibilità di vederli entrambi lì, pronti a conquistarsi la città almeno per una notte, resterà il regalo più bello che Chieti e l’Abruzzo tutto potessero trovare sotto l’albero di Natale.

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Emanuele Di Nardo
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