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Musica
LIETO FINE, IL DISCO DI MARC LUIS.
La copertina di ‘Lieto Fine’ di Marc Luis.

Francesco D’Emilio e Marc Washington.

Marc Washington, Giorgio Di Bonaventura e Francesco D’Emilio.

Intervista a Marc Washington e Francesco D’Emilio, amici cresciuti insieme a Roseto, che hanno realizzato un lavoro rap da 8 brani durante il lockdown, senza mai incontrarsi e vivendo rispettivamente negli Stati Uniti e in Italia.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Sabato, 18 Luglio 2020 - Ore 18:30

Questa è la storia di un disco rap figlio del lockdown e di una grande amicizia. La storia di due ventenni divisi dal mare che la tecnologia ha saputo tenere uniti nella loro urgenza di comunicare emozioni. Questa è la storia di Marc Washington – in arte Marc Luis – che scrive e canta e di Francesco D’Emilio, Ciccio per gli amici, che produce le basi per i rap di Marc Luis.

«“Lieto Fine” è la mia storia, parla di me e di come ho vissuto determinate situazioni e superato ostacoli. E come tutto, tra alti e bassi, può avere un lieto fine». Marc Washington parla piano e ti spiazza, perché è moro ma parla con musicalità rosetana.

E sorride – non deride, sorride – quando provo a capirci qualcosa, chiedendo a lui – fra rapper e trapper e i loro testi grondanti pistole, soldi, donne e droghe. I testi di Marc, rispetto a certi sproloqui, sembrano invece leopardiani, carichi di introspezione. Niente monte Tabor, per questo 22enne nato a West Palm Beach e cresciuto a Roseto degli Abruzzi, ma l’infinito di Oceano Atlantico e Mare Adriatico a cullarne sogni e speranze.

Perché se nasci in Florida e cresci in Abruzzo, per poi a 17 anni – nel 2015 – tornare in America a Greensboro, North Carolina (non esattamente il più tranquillo dei posti, anche se Marc studia alla East Carolina University), forse intorno ai 20 anni hai già fatto il pieno di emozioni vere e vuoi raccontarle rispettandole, visto che la tua passione, oltre al basket, è la musica. La canzone diventa quindi trasporto e verità, per cui la reazione normale a un colpo di pistola è trovare riparo.

Le basi le compone Francesco D’Emilio, 21enne di Roseto, anche lui matto per il basket e con qualche presenza negli Sharks di A2, studente di Matematica da tre anni all’Università di Bologna, che riflette: «Le mie passioni extra scolastiche sono sempre state il basket, sport che pratico da ormai 12 anni, e la musica. Chiunque mi conosce sa che passo la maggior parte del tempo in cui sono da solo con le cuffiette. Ascolto di tutto: dal rap all’indie, dal pop elettronico al cantautorato e alla musica techno».

Marc e Ciccio sono cresciuti insieme nel Lido delle Rose, poi però Marc è tornato negli Stati Uniti e la voglia di scrivere canzoni sembrava affievolita per lasciare spazio ad altri progetti di vita, fra studio e amore. Qualcosa è andato storto – alti e bassi, ricordate? – e la pandemia mondiale dovuta al Coronavirus Covid-19 ha rinchiuso il mondo fra quattro mura. E allora? Allora Ciccio ha pensato che doveva aiutare il suo migliore amico per farlo tornare a scrivere, per non disperdere quel talento: «“Lieto Fine” è nato spontaneamente, in un certo senso è un progetto figlio della quarantena. Avevamo già un po’ di tracce pronte – paradossalmente, nessuna di quelle è nel disco! – e un giorno ci siamo detti: OK, proviamoci, vediamo come va.  Le difficoltà sono state veramente tante: Marc era in America, a migliaia di chilometri di distanza e con 6 ore di fuso orario a condire il tutto, quindi i processi erano abbastanza macchinosi. Non potendo stare in studio insieme, gli mandavo le basi, lui me le rimandava con il testo e la voce e io gliele rimandavo una volta mixate e masterizzate. Non è stato facile, perché le fasce d’orario per sentirci erano molto piccole e dovevamo cercare di concentrare tutto in quel poco tempo. In questo senso la quarantena ci ha aiutati a realizzare questo disco».

Marc sorride un po’ sotto i baffetti e chiosa: «È stata una grande soddisfazione realizzare questo progetto, perché mette in musica le emozioni di un ragazzo pieno di sogni e aspirazioni. E poi l’ho realizzato insieme a uno dei miei migliori amici, il che rende la cosa davvero speciale, visto che va oltre la musica». Ciccio gli fa eco: «Penso che non ci sia niente di più bello di dare vita ad una passione, e farlo con un “fratello” è la ciliegina sulla torta».

Amicizia è un termine serio. E solo per amicizia si può partire da zero a produrre basi, come spiega Ciccio: «Ho imparato da autodidatta. All’inizio guardavo dei tutorial per usare meglio i software. Il resto direi che è venuto con l’allenamento, passando ore e ore lì davanti. Per fortuna i programmi odierni sono molto intuitivi e questo aiuta parecchio. La cosa più difficile da imparare penso sia stata la fase di mixaggio e masterizzazione. Dietro a questi processi di solito ci sono team di ingegneri del suono che lavorano meticolosamente, mentre il nostro è stato un progetto “home made” del quale siamo soddisfatti, soprattutto in relazione alle attrezzature che abbiamo».

Idee chiare e volontà, anche se quasi senza mezzi. Vengono in mente certi garage che hanno partorito menti in grado di cambiare il mondo, anche se qui si parla di un disco che vuole soltanto, per dirla con Marc: «“Toccare” qualcuno con la mia musica e la mia storia, come la musica di altri artisti ha fatto con me». E, a proposito delle difficoltà di realizzare un disco stando in due continenti diversi e senza mai entrare in uno studio di registrazione, Marc spiega: «Tutte le canzoni sono state registrate a casa, in un piccolo armadio in camera mia, con un computer ed un microfono. Con il tempo, anche con un piccolo aiuto da parte dei miei amici negli States, ho imparato cose nuove per raggiungere un sound più professionale possibile».

Da un piccolo armadio del North Carolina a Roseto degli Abruzzi, dall’Oceano Atlantico al Mare Adriatico. Da una base alla voce, poi ancora base e voce da mettere insieme. Costruendo un disco e rinsaldando un’amicizia, come spiega Ciccio: «Ricordo che quando mi ha mandato il primo pezzo su una mia base mi sono quasi commosso! È stato emozionante e strano, ci sentivamo “vicini” nonostante la distanza: le mie emozioni vivevano nelle basi e le sue vivevano nei testi, quindi in realtà una parte di Marc era anche a Roseto, nel mio computer, e una parte di me era in America con lui».

Miracoli della tecnologia, miracoli dell’amicizia e della volontà di superare distanze e barriere, realizzando canzoni. E, a proposito, come si scrive un rap? Marc sorride e riflette: «Onestamente non so se c'è un vero e proprio modo per scrivere una canzone rap. Per me scrivere dei testi musicali è come tenere un diario in cui racconto ed esprimo le mie emozioni, i miei sogni, i miei obiettivi, quello che ho vissuto e visto nel corso della mia vita».

Rap ricco di  contenuti, insomma. Nonostante i tempi veloci, nonostante i modelli di riferimento vadano da un’altra parte. Ciccio la spiega così: «La musica e i processi di ascolto sono molto più veloci e, volendo generalizzare, un po’ meno profondi. Sia io che Marc, invece, cerchiamo dei contenuti nella musica. Difficilmente ascolto una canzone senza leggerne il testo, quindi l’obiettivo era fare un progetto che avesse dei contenuti per chi li cercasse. Del resto la passione e l’urgenza di raccontare e di sfogarsi sono state le ruote motrici del tutto e penso che la spontaneità di Marc sia evidente nel disco. La cosa affascinante è che abbiamo lasciato un pezzo di noi online e lì resterà sempre».

Saluto Marc e Ciccio – e con loro Giorgio Di Bonaventura – e penso a questi due ragazzi che vogliono fare musica approfondendo contenuti e utilizzando il rap.

Per un attimo mi viene in mente “Lou X”, abruzzese nato a pochi chilometri da qui (Tortoreto) nel 1971 e che scombussolò il mondo del rap nei primi Anni ’90 – quando Marc e Ciccio non erano ancora nati – con brani come “Cinque minuti di paura”. Luigi Martelli – così all’anagrafe si chiama “Lou X” – cantava le storie tese, tesissime, di Pescara e dintorni e con la sua crew “Costa Nostra” spopolò ormai oltre un quarto di secolo fa. Ma è solo un pensiero frutto di qualche inflessione dialettale che stupisce del moro Marc Luis e che mi fa pensare a quando “Lou X” pubblicò il singolo “La Raje” (la rabbia, in dialetto abruzzese). Sono passati quasi 30 anni, le storie personali sono ben diverse, ma penso che i sogni e i bisogni di generazioni che magari non hanno nulla in comune possono continuare a usare la musica rap per dare corpo al proprio bisogno di vita realizzata.

Arrivato a fine intervista, una folgorazione attraverso due flashback. Sono le cose che mi (col)legano a Marc e Ciccio, che per età potrebbero essere miei figli e che non conosco se non di vista. I loro padri.

Quello di Ciccio si chiama Carlo, ed era il play euclideo (non mi sorprende che il figlio studi matematica) della squadra imbattibile della scuola media Fedele Romani di Roseto nella quale io ero il dodicesimo (non giocavo mai, fin da allora prendevo appunti), nei primi Anni ’80 del secolo scorso. Penso di aver visto il primo “no look pass” non in televisione, ma fatto da Carlo in contropiede.

Quello di Marc si chiama Ken. Ed è stato una “lepre” di eccezionale valore nel mondo dell’atletica leggera. Lo so perché un giorno – mentre pedalavo in bicicletta, sempre negli Anni ’80 del secolo scorso – un corridore nero mi superò sul lungomare facendomi sbandare. Era un fulmine scuro che aveva la potenza del treno di Strelnikov che fende la neve, nella mitica scena del film “Il Dottor Zivago”. Chiesi chi fosse quell’essere soprannaturale che si allenava a Roseto e mi dissero che era un mezzofondista che si era innamorato di una rosetana (Marc è il frutto di quell’amore). Ken è la persona che ha portato atleti come Said Aouita (Campione olimpico dei 5.000 metri alle Olimpiadi di Los Angeles 1984 e Campione ai Mondiali di Roma 1987), Noureddine Morceli (Campione olimpico sui 1.500 alle Olimpiadi di Atlanta 1996) a battere record, imponendo un ritmo forsennato nei primi giri che ha poi determinato prestazioni eccezionali. Ha aiutato anche altri atleti a salire sul tetto del mondo, come Sebastian Coe (due volte Campione olimpico dei 1.500 metri piani alle Olimpiadi di Mosca 1980 e Los Angeles 1984, vincitore di quattro medaglie olimpiche e capace di stabilire 12 record mondiali in gare di mezzofondo) e Sydney Maree (capace di battere il record mondiale sui 1.500 metri di Steve Ovett nel 1983), che di lui disse: «Grazie a Ken ho disputato gare memorabili. Era il migliore. So che non sarei arrivato a quel livello di performance se non avessi avuto al mio fianco una persona come lui». Ken, a sua volta, parlando del suo ruolo di lepre e del fatto che quando qualcuno abbatteva un record nazionale o mondiale lo chiamava per averlo al suo fianco nel giro di campo per la standing ovation, disse che era normale per lui sentirsi parte di quel record, di quel successo.

Ken, la lepre capace di migliorare i campioni sacrificando la sua carriera con altruismo e Carlo, il regista compassato che amava far giocare la squadra: i padri di Marc e Ciccio. Marc, che corre con le parole a ritmo forsennato come faceva suo padre in pista e Ciccio, che gestisce le basi affinché quel ritmo arrivi al cuore, come faceva suo padre sul parquet.

Ascoltate il lavoro di questi giovani artisti.

Marc Luis
LIETO FINE

My Story (Intro)
Drip
Piano
Beethoven
Parli
Solo Amici
Corro
Piove (Outro)


L’album su Spotify

https://open.spotify.com/album/0lS0uZWkGy1WqKBTUprpIk?si=qfSXU-p5R-C-chddr6Sp4A


L’album su YouTube

https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_kZd7KPSFvKGafa-DMysDCGhfJq5vBFuxo

Luca Maggitti
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