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Il Critico Condotto
UN UOMO FATTO IN CASA, IL PRIMO ROMANZO DI FRANCO AVALLONE.
La copertina del romanzo ‘Un uomo fatto in casa’ di Franco Avallone.

Simone Gambacorta.

Dylan Tardioli, protagonista del romanzo ‘Un uomo fatto in casa’ di Franco Avallone.

Simone Gambacorta, che ha nobilitato Roseto.com con la sua collaborazione, torna dopo 9 anni a illuminarci con i suoi contributi letterari.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Giovedì, 28 Aprile 2022 - Ore 15:45

Quando Franco Avallone mi ha telefonato, quel pomeriggio di qualche mese fa, non gli ho risposto. Stavo leggendo Un uomo fatto in casa, il suo romanzo (Mac).

Il protagonista, Dylan Tardioli, gli somiglia così tanto che alla fine era come se gli avessi parlato. Quindi andava bene così.

Tardioli è uno scrittore sessantenne che a un certo punto si è chiamato fuori, stanco di tutto e tutti. Questa cosa mi ha incuriosito. Capire quando farsi da parte (se per un periodo o per sempre) è una virtù che in alcuni casi può volgere al salvifico. Uno che la pensava così era, per esempio, Voltaire, lo racconta nelle Memorie.

Tornando al libro di Franco, siamo nel 2047 e il virus Arctos7 ha causato «trentacinque milioni di morti». Un minimo contatto ed è la fine. Arctos7 fa come la metà di Medardo, taglia in due il mondo. Uccide solo al di sopra del trentottesimo parallelo. Per evitare che si diffonda, c’è un esercito di otto milioni di soldati che cintura il globo e impedisce passaggi da un emisfero all’altro.

Gli «appestati» sopra (in casa), gli «immacolati» sotto (liberi). «Pechino sì e Shanghai no. Milano e Roma flagellate. Siracusa immacolata. Mosca un deserto, Rio de Janeiro un carnevale». Il mondo non è quello «salvato dai ragazzini», ma quello decapitato dagli allocchi: il virus è passato da loro all’orso polare e quindi all’uomo.

Più che per il discorso pandemico, è per l’idea di un mondo diviso e militarizzato che il libro di Avallone mi sembra spaventosamente “attuale” (attuale come può esserlo ciò che deborda da quella cronaca alla quale Franco, come giornalista, ha dedicato tutta la sua vita professionale).

Di fatto la distopia gli serve per amplificare una critica alla contemporaneità, che si sviluppa attraverso un trapianto di temi, problemi, figure e miti. Penso che Franco abbia scritto questo suo primo libro in un momento in cui aveva talmente presente il presente da essere riuscito a trasformarlo in un futuro prossimo dove la vita umana, che sempre presume la propria inamovibilità di specie, corre il rischio di diventare un passato remoto. Un po’ come (tanto per scomodare casi massimi) nella «dissipatio Humani Generis» o nella «catastrofe inaudita» cosiniana oppure ancora nell’«inverno nucleare» di Moravia.

I libri, lo sanno tutti, di bello hanno il fatto che quando li leggi diventano una specie di flipper che ti fa scattare in testa una serie di collegamenti anche acrobatici. Succede quando te ne vengono in mente altri, magari lontani e diversissimi da quello che stai leggendo.

Così, per un gioco di sponde e rimbalzi che non saprei spiegare, mi sono ricordato di quel racconto di Dagerman che inzia poco prima che avvenga un incidente stradale, con un montaggio di sguardi sulle inconsapevolezze parallele e diversamente innocenti di chi sta per morire e di chi sta per uccidere.

In qualsiasi istante viviamo tutti a nostra insaputa, non sappiamo che cosa accadrà in quello dopo. Mi si dirà che ho scoperto l’acqua calda perché è la vita che è così.

Infatti: è la vita che è così.

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Simone Gambacorta
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