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Il Critico Condotto
WALTER PEDULLÀ: RIFLESSIONI SU UN INTELLETTUALE CHE ANDAVA VELOCE


Simone Gambacorta alle prese con l’uomo che fu anche Presidente della Rai e che ha dimostrato che pensare la letteratura è un modo per viverla. Forse il solo. La sua era una critica vivace e accelerante che funzionava come un flipper.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Mercoledì, 11 Giugno 2025 - Ore 20:30

Una riflessione un minimo complessiva su Walter Pedullà, scomparso il 26 dicembre del 2024, dovrebbe tenere conto, e rendere quanto più possibile presente agli occhi di tutti, un aspetto che, nel suo percorso di critico letterario, è stato reso da lui stesso talmente evidente da rischiare di scivolare, per paradosso, in secondo piano.

In tutti i suoi anni di lavoro e, si direbbe anche, anzi specialmente, in ciascuno dei suoi scritti, oltre che in ciascuno dei suoi interventi pubblici (la presentazione di un libro, la partecipazione a un convegno, addirittura una lezione o un seminario all'università), Pedullà ha dimostrato che ricercare è cercare: cercare le cose da trovare dentro le opere. 

Questo è stato il punto base del suo percorso. Il ricercare è cercare: non si dà ricerca senza la volontà di mettere le mani dentro un romanzo, dentro un racconto, direttamente dentro le opere, con un'aderenza sempre molto spinta all'oggetto dell'analisi. 

Era proprio un mettere sul tavolo la materia da fare a fette per vedere come era fatta dentro e per cercare poi di creare delle connessioni e trovare dei punti di significato che fossero (per usare una sua espressione) non banali.

In un articolo in suo ricordo (Corriere della Sera, 28 dicembre del 2024), Andrea Cortellessa, che di Pedullà è stato allievo, si chiede in che modo si possa condensare la sua esperienza in cattedra. 

Quello che si può dire, liberamente prendendo spunto dal bell'articolo di Cortellessa, è che forse Pedullà ha insegnato un rapporto con la letteratura, un modo di pensarla e di viverla: ha dimostrato che il pensarla è un modo per viverla. Forse il solo. 

Cortellessa ricorda anche che, al pari del suo maestro Giacomo Debenedetti, Pedullà non ha lasciato un metodo: e questo è senz'altro vero ed è forse il maggior regalo che abbia fatto ai suoi allievi, discepoli, ammiratori, lettori: non ha lasciato recinti, non ha lasciato schemi, ma ha lasciato appunto un certo tipo di rapporto con la letteratura. 

Forse il suo metodo/non metodo è stata la vivacità, una vivacità che aveva un doppio livello: era vivacità di sguardo ed era vivacità di parola.

Vivacità di sguardo: che cosa vuol dire? Nel suo modo di fare analisi, nel suo modo di portare avanti quel ricercare che era un cercare, la vivacità di sguardo si concentrava in un'ottica da flipper: cioè a dire nel mettere insieme, all'interno di uno stesso campo di ricerca (e c'è da credere che i livelli di concentrazione per lui fossero gli stessi in una recensione come in un saggio) momenti e parti diverse e distanti; metterle assieme attraverso rimbalzi, ritorni, lanci, traiettorie impreviste, lampi di attenzione. 

Poi la vivacità della parola: il suo stile critico era fatto di una scrittura colorata, effervescente, pimpante, sempre molto vivace, mai inutilmente adrenalinica. Una scrittura dove è sempre stata la spinta del concetto, presa nel gioco anche funambolico della parola, a dare luogo alle onde di una prosa di continuo spumeggiante. 

C'è da chiedersi come Pedullà ottenesse questa fusione tra vivacità di sguardo e vivacità di parola

Ebbene la otteneva con la velocità: con la velocità dei nessi e con la spinta accelerante delle connessioni. Accelerazione (come velocità) è sempre stata una parola centrale in Pedullà.

L'accelerazione come modo per imprimere velocità a un discorso, non nei meri termini della rapidità, ma nei termini della possibilità di giungere inaspettatamente, imprevedibilmente, a una conclusione altrimenti orfana di un sondaggio critico.

Oltre a questo, Pedullà è stato anche il critico del di più. Che cosa vuol dire? Vuol dire che tutta la sua vita è stata un andare verso un accrescimento. Vediamo in che modo. 

È stato professore e critico letterario (e critico letterario sia in senso militante che in ambito accademico, sempre però al nudo di toghe, tonache, pedanterie, feticismi tecnici). 

È stato presidente della Rai e presidente del Teatro Argentina. 

È stato giornalista e saggista. Ha fondato due riviste ("Il caffè illustrato" e "L'illuminista"), ha diretto con Nino Borsellino la Storia generale della letteratura italiana (dodici volumi) e ha diretto per il Poligrafico dello Stato la titanica collana Cento libri per mille anni. 

Chi è stato suo allievo all'Università, e lui stesso lo ricorda nel suo libro Il pallone di stoffa, rammenta come, oltre alle seguitissime lezioni, tenesse anche seminari lunghi come passeggiate. 

In quei seminari si andava alla ricerca non tanto di un libro o di un autore, ma del perché nel tale libro del tale autore a un certo punto sbucasse una tale parola. 

È evidente come in lui tutto fosse un raddoppiare, un accrescere, un buttare benzina sul fuoco, felicemente, con impegno e con divertimento, naturalmente nei termini palazzeschiani del suo modo di pensare e di vivere. 

Questo accrescimento di partecipazione alla vita è stato il suo saliente tratto di intellettuale ed è stato probabilmente anche il nocciolo della sua visione ideologica (generare il movimento per un progresso condiviso, democratico, dibattimentale). 

Anche questo è avvenuto sempre nell'ottica del flipper: tenendo cioè insieme parti diverse in modo veloce e accelerato (il solo modo per conoscere traiettorie nuove). 

Ma se ragioniamo un po' meglio sulla  quantità di cose che Pedullà ha fatto nella sua vita, possiamo giungere a un'altra conclusione ancora: Pedullà aveva capito che la quantità poteva essere qualità a patto che si fondasse sulla molteplicità di legami, cioè a patto che i collegamenti tra le cose e le relazioni tra le persone fossero più numerosi possibili (va da sé: sulla base di una selezione). 

Questo suo amore per il di più è sancito anche dal suo amore per Antonio Pizzuto, del quale amava ricordare l'idea di letteratura: "Aggiungere vita alla vita". Pedullà ricordava sovente questa frase. "Pochi scrittori italiani sono riusciti ad aggiungere tanta nuova vita quanto è riuscito a fare Pizzuto, organizzando in modo diverso, inedito, inaudito, le parole della nostra lingua". 

Queste parole (che traiamo da una intervista disponibile in rete) Pedullà le aveva in qualche modo tradotte in una formula che a sua volta aveva fatta sua e riadattata a se stesso: la vitalità, la libertà, la vivacità, l'accelerazione, la velocità. Il flipper, le traiettorie nuove. 

La sua stessa scrittura critica può essere racchiusa in una formula simile a quella di Pizzuto: aggiungere vitalità alla libertà (della letteratura) grazie alla vivacità di sguardo e di parola.

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Cultura
ADDIO A WALTER PEDULLÀ, CHE APRÌ L’ANNO SCOLASTICO 2002/2003 A ROSETO.
Un ricordo, pensando ai grandi nomi della cultura italiana e internazionale passati per il Lido delle Rose.
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Simone Gambacorta
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