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Lunedì, 18 Agosto 2025 - Ore 17:11 Fondatore e Direttore: Luca Maggitti.

Rosetani buoni per il mondo
JACOPO DEZI: LA VITA È UN GOL ALL’INCROCIO.
2025. Kevin De Bruyne e Jacopo Dezi, durante l’amichevole Napoli-Arezzo.
[Archivio Jacopo Dezi]


2015. Jacopo Dezi, Capitano dell’Italia, festeggia la Medaglia d’Oro vinta alle Universiadi in Corea del Sud.
[Archivio Jacopo Dezi]


2025. Jacopo Dezi e Gianluca Ginoble, a Treviso, dopo un concerto del Volo.
[Archivio Jacopo Dezi]


Dieci anni dopo la vittoria delle Universiadi da Capitano dell’Italia, intervista al calciatore rosetano ripercorrendone carriera ed emozioni, dalla scuola minibasket a Gianluca Ginoble, da Giulianova al Napoli, dall’Italia a coach Neven Spahija.

Roseto degli Abruzzi (TE)
Domenica, 03 Agosto 2025 - Ore 10:45

Ho conosciuto Jacopo Dezi nel 2014, in occasione della sua convocazione in Nazionale, intervistandolo. Undici anni dopo, ho avuto il piacere di una ulteriore conversazione, diventata sia un articolo uscito ieri sul quotidiano Il Messaggero sia questa intervista integrale.

Jacopo Dezi: cos’è, per te, il calcio? 
«Il calcio è tutto. È la mia vita, perché da tantissimi anni è entrato a far parte delle mie giornate, che sono in funzione dell’impegno in campo e quindi della domenica, anche se adesso si gioca pure in altri giorni. È la mia passione, che faccio ancora fatica a chiamare lavoro. È il motore di tutto».

Come mai hai iniziato a giocare a pallone, in una terra di pallacanestro come Roseto?
«A dire il vero pure io, come tutti i ragazzini di Roseto, ho cominciato a giocare a basket, con la Scuola Minibasket di Saverio Di Blasio. Poi però, dopo circa due mesi, mi accorsi che non era per me, perché io la palla amavo toccarla con i piedi. Quindi cambiai, andando alla scuola calcio».

Chi è il campione che ti ha fatto innamorare del calcio, da bambino? 
«Alex Del Piero. Io e mio fratello, da piccolini, al campetto o davanti casa, provavamo sempre il suo tiro a giro».

Tu classe 1992, Gianluca Ginoble classe 1995. Siete due “rosetani buoni per il mondo” e anche molto amici... e Gianluca era pure bravo a calcio. Se avesse giocato, in che ruolo vedresti bene in campo il rosetano del Volo? 
«Vero, con Gianluca siamo amici e ci sentiamo spesso. Quest’anno, a Treviso, dopo averlo ammirato insieme al Volo in un raduno del Napoli dove giocavo, sono riuscito finalmente a sentirlo in un concerto ed è stata una serata meravigliosa. Quando eravamo ragazzini, abbiamo frequentato la scuola calcio insieme e andavamo ad allenarci sullo stesso pulmino che veniva a prenderci. In campo? Lo vedrei bene in un 4-3-3, esterno alto a sinistra, lui che è guizzante e rapido».

Giocare a centrocampo significa – sempre e comunque – mettere ordine e guidare un gruppo. Tu, fuori dal campo, sei un tipo ordinato oppure più incline all’anarchia? 
«Sono un tipo ordinato sia dentro sia fuori dal campo. Secondo me, nello sport, la coesione e il rispetto dell’altro e dei materiali sono alla base di ogni gruppo vincente».

Quando ti chiamò il Napoli, prelevandoti dal Giulianova, cosa provasti? 
«Avevo soltanto 18 anni e, nella stagione precedente, avevo esordito col Giulianova in una squadra professionistica. Diciamo che mi è cambiata la vita, anche perché mi ritrovai in prima squadra senza conoscere nulla del calcio inteso come procuratori e tante altre cose. Mi ritrovai catapultato in un’altra realtà e ogni giorno ricevevo telefonate. Io ovviamente giravo tutto a mio papà, che è stato davvero prezioso. Insomma: la chiamata del Napoli fu una cosa inimmaginabile: un grandissimo sogno che si avverava».

Chi ti ha impressionato di più, fra i campioni della squadra partenopea con cui hai giocato? 
«Ho avuto la fortuna di essere del Napoli per molti anni e di ammirare campioni del calibro di Lavezzi, Cavani, Hamsik, Raul Albiol, Callejon, Insigne, Higuain, Mertens e di certo me ne sto scordando tanti. Quel che non dimentico è la loro umiltà, che è il tratto distintivo di tutti quelli forti davvero».

Dieci anni fa, in Corea del Sud, hai vinto la Medaglia d’Oro alle Universiadi, con la maglia dell’Italia, da Capitano, battendo i padroni di casa. Che emozione è stata?
«Mette i brividi pensare che siano passati già 10 anni. Partimmo alla fine di giugno per il ritiro a Roma, nel bel mezzo delle vacanze, e non avevamo le facce giuste. Poi nacque qualcosa, l’ambiente si fece bello e ci caricammo. Io ebbi l’onore della fascia di capitano. Vivemmo in un grandissimo villaggio per gli atleti magnificamente organizzato e vincemmo l’Oro in trasferta: una emozione indelebile».
 
Hai giocato e segnato con l’Italia Under 21 e mister Prandelli ti ha pure convocato con l’Italia. Che sapore ha l’Azzurro?
«Rappresentare il proprio Paese è una cosa che inorgoglisce e io sono stato fortunato e onorato nel poterlo fare. Ricordo che dopo la partita contro l’Irlanda del Nord, appena sceso dall’aereo, lessi il messaggio del vicepresidente del Crotone, dove giocavo, che mi annunciava la convocazione di Prandelli: lo conservo gelosamente». 

Hai vinto da giovanissimo la Coppa Italia col Napoli e da veterano la Coppa Italia di C col Padova. Un ricordo per ciascuna vittoria? 
«Sono state due vittorie molto diverse. Col Napoli facevo soltanto parte della rosa, quindi non l’ho vinta da protagonista e non l’ho sentita proprio mia, anche se festeggiare con i compagni sul pullman scoperto passando tra tutta quella gente è stato qualcosa di magnifico. La Coppa vinta col Padova è stato un successo che mi sono goduto appieno, avendola vinta in trasferta contro il Sud Tirol, in finale a casa loro».

Hai tifato la Pallacanestro Roseto che ha vinto la Serie B 2024/2025 e seguito le partite della finale playoff insieme a coach Neven Spahija. Come vi siete conosciuti e cosa pensi dell’allenatore del “Roseto più forte di sempre”? 
«Ho tifato e tifo Roseto e mi sono riavvicinato alla pallacanestro, dopo tanti anni, grazie a Neven. Ci siamo conosciuti quando io giocavo a Padova, con lui che come sai allena la Reyer Venezia, alla trattoria da Olindo. Il giorno in cui l’ho visto entrare, mi sono avvicinato e gli ho detto soltanto tre parole: “Sono di Roseto”. Gli si sono illuminati gli occhi e mi ha risposto: “Lù timbàll! Còma stì?”. Poi ci siamo abbracciati e penso di poter dire che è nata una amicizia vera, perché dopo le chiacchiere di quel giorno siamo andati a pranzo e cena insieme diverse volte. In più, mi sono visto un sacco di partite del suo Venezia e questo mi ha riavvicinato al basket e fatto tornare al PalaMaggetti per tifare la Pallacanestro Roseto nella finale playoff contro Mestre».

Più di una semplice conoscenza. Un’amicizia vera, direi.
«Assolutamente sì e ne sono orgoglioso e onorato, perché non devo certo giudicare io Neven a livello professionale, parlando il suo palmares per lui. Ma ciò che mi ha davvero colpito moltissimo è la sua altissima qualità umana. Pensa che un giorno, a pranzo, mi ha detto una frase che mi ha fatto molto riflettere. Disse: “Io ho ormai qualche anno e ho capito che il mio tempo è prezioso e non lo regalo più a nessuno”. Questo mi ha fatto capire e apprezzare ancor di più l’importanza del tempo che passiamo insieme, facendomi capire che davvero tiene alla nostra amicizia».

Torniamo al calcio. È vero che ti avevano proposto anche di andare a giocare in America. Puoi dirci dove e perché hai declinato l’invito? 
«Sì, ho ricevuto una offerta dalla USL Championship – la loro Serie B – per giocare a Las Vegas. Tengo perciò a ringraziare il direttore sportivo, Gianleonardo Neglia, per avermi proposto questa grandissima opportunità che ho valutato con attenzione. Ci sono state finestre di mercato in cui ho avuto la possibilità di andare, ma alla fine non ci sono state le condizioni o, semplicemente, forse non era il momento. Diciamo che non si sono incastrate un po’ di cose, ma penso che ci sia sempre tempo per fare una bella esperienza all’estero. Intanto, pensiamo al presente».

Il presente è l’Arezzo di mister Bucchi, in Serie C. Con quali obiettivi?
«Migliorare quello che è stato fatto negli ultimi mesi della scorsa stagione. La Società sta facendo sforzi importanti, mettendoci a disposizione strutture e ogni altra cosa per fare bene, quindi adesso sta a noi ripagare questa grande fiducia, facendo il meglio possibile».

Luca Maggitti Di Tecco
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